Sui casi Lillo-Renzi
e De Bortoli-Boschi

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di Antonio Ramenghi

Conosco Marco Lillo del “Fatto quotidiano” da tanti anni. L’ho visto al lavoro all’Espresso” nei dieci anni in cui sono stato vicedirettore del settimanale. Lillo è un ottimo giornalista e anche in questo ultimo episodio che lo vede autore dello scoop sulla telefonata tra i Renzi, padre e figlio, ha semplicemente fatto il suo mestiere.

Lillo ha avuto la trascrizione di quella telefonata e l’ha pubblicata nel suo libro “Di padre in figlio”. Sapendo benissimo, ne ha esperienza…, che pubblicando quel testo si esponeva a due rischi, direi a due certezze. La prima: essere sottoposto a inchiesta giudiziaria per rivelazione di atti giudiziari (anche se quella telefonata pare non compaia per ora in nessun atto giudiziario); la seconda essere accusato di aver utilizzato quella telefonata per meri scopi commerciali: promuovere e vendere più copie del suo libro.

La stessa accusa che è stata mossa a Ferruccio De Bortoli, per la notizia inserita nel suo ultimo libro “Poteri forti (o quasi)” in relazione alle pressioni di Maria Elena Boschi sull’amministratore delegato di Unicredit Ghizzoni, perché la sua banca salvasse la dissestata Banca Etruria in cui lavorava il fratello e il padre della Boschi ne era vicepresidente.

Effetti collaterali per giornalisti che fanno seriamente il proprio lavoro. Che è quello di scrivere le notizie che hanno. Senza porsi mai il problema del “a chi giova” la notizia che si sta per pubblicare. Quando il giornalista ha, trova, riceve, una notizia di interesse pubblico l’unica cosa che gli resta da fare prima di pubblicarla è di accertarsi della sua veridicità e poi di scriverla correttamente.

Allora la prima cosa da dire, sia sulla telefonata riportata da Lillo nel suo libro, che sulla notizia riportata da De Bortoli nel suo, è che entrambe sono vere, come dichiarato in vario modo, ma sostanzialmente confermate da Renzi figlio e da Maria Elena Boschi.
La seconda cosa altrettanto chiara è che entrambe le notizie sono di interesse pubblico. Non solo e non tanto per le reazioni che hanno suscitato nel mondo politico, ma soprattutto perché quelle notizie hanno permesso ai cittadini di conoscere dettagli, risvolti, particolari, di vicende di grande importanza.

In entrambi i casi si pone il tema delle fonti e cioè come il giornalista arriva alla notizia. Qui si apre un ventaglio davvero assai vasto. Si va dalla lettera anonima o più frequentemente dal plico anonimo (la forma forse tra le più faticose e insidiose perché bisogna trovare i riscontri, le pezze d’appoggio come diciamo in gergo), fino all’intervista, apparentemente facile ma che in realtà necessita  di una capacità non comune di fare la domanda giusta che ti apre la strada allo scoop.
In mezzo ci stanno le carte passate da un inquirente, le ricerche compiute da un concorrente sul mercato, la telefonata di un amico poliziotto, quella di un amico medico, quella di un anonimo lettore, ecc. ecc. Le fonti migliori sono quelle che ti sei cercato, facendo una inchiesta, scavando negli archivi, consultando i bilanci, sentendo decine di persone. E poi se ci si mette anche il fattore C. ben venga…

In ogni caso una volta verificata, la notizia va data ai lettori. 

Dopo verranno le dietrologie, ma chi se ne frega!
E Lillo che è caduto nella trappola perché Matteo Renzi sapeva che il padre era intercettato e gli ha fatto una scenata-sceneggiata telefonica a beneficio della propria immacolatezza. E De Bortoli che si tiene per anni la notizia delle pressioni su Ghizzoni da parte della Boschi, mentre sarebbe più realistico pensare che, dovendo scrivere un libro sui poteri ‘quasi forti’, De Bortoli abbia semplicemente fatto il giro delle sette chiese (ma ormai non sono neppure cinque) ed è andato anche da Ghizzoni per farsi raccontare, insieme ad altre storie, la vicenda della povera Banca Etruria vista dalla parte di Unicredit.

Da ultimo ma non ultimo, anzi oggi forse il primo tema: quello della pubblicazione delle intercettazioni. Che non è un problema che riguardi i giornalisti. I quali, come detto, accertata la fonte e l’attendibilità della stessa, non possono fare altro che pubblicare quanto hanno in mano. E sbaglierebbero gravemente se non lo facessero.

Il problema della pubblicazione delle intercettazioni non riguarda i giornalisti ed è inutile che i politici tentino di varare leggi che limitino la possibilità dei giornalisti di pubblicarle una volta in loro possesso: anche in questa occasione in alcune dichiarazioni è risuonata la voglia di bavaglio per la stampa.
Nel caso della telefonata dei Renzi il problema riguarda coloro che fanno le intercettazioni, quelli che le trascrivono, le leggono, le custodiscono (più o meno…), quando queste intercettazioni non sono ancora inserite in atti giudiziari (e per ora pare che sia così).

Quando invece le intercettazioni sono pubbliche, inserite in procedimenti giudiziari, allora limitarne la pubblicazione, come qualcuno vorrebbe, sarebbe un attentato alla libertà di stampa e di informazione.

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1 commento su “Sui casi Lillo-Renzi <br> e De Bortoli-Boschi”

  1. Dissento totalmente. Premesso che se vi era un interesse pubblico alla conoscenza della notizia non si comprende perché essa sia rimasta nel cassetto due mesi per essere pubblicata in un libro, il punto è che il diritto di cronaca non è, come ogni diritto fondamentale, un diritto assoluto che va sempre esercitato nel supremo interesse dei lettori (formula retorica dietro cui si nascondono spesso miserrimi interessi di bottega). Esso infatti incontra diversi interessi di pari livello, come nel caso del limite del segreto istruttorio, l’interesse alla realizzazione della giustizia, per evitare che la fuga di notizie sulle indagini in corso ne comprometta l’esito e, con esso, il buon andamento dell’amministrazione giudiziaria (art. 97 Cost.). È, pertanto, tenuto al c.d. segreto istruttorio (o giudiziario) chi viene a conoscenza di fatti, atti e documenti riguardanti il procedimento penale di cui a vario titolo ha notizia e di cui la legge vieta la pubblicazione (v. artt. 684 c.p.; 114, 115.1 e 329.3.b) c.p.p.).
    Per i giornalisti tale divieto “è totale (pubblicazione fatta da chiunque in qualsiasi modo) e non ammette eccezioni, né esoneri, né distinzioni tra atto ed atto” (C. Cost. 18/1966, 2). E non è vero che i veri giornalisti non nascondono le notizie ai loro lettori. Come ha scritto Giancarlo Loquenzi su FB proprio ieri il Washington Post ha rivelato come Donald Trump avesse deliberatamente rivelato alcune informazioni altamente classificate al ministro degli esteri russo. Nell’articolo il giornalista spiega che il giornale aveva anche molti altri dettagli della vicenda ma che preferiva tenerli protetti perchè troppo sensibili e potenzialmente pericolosi. Insomma l’autore dello scoop dice ai suoi lettori: sono costretto a nascondervi alcune notizie. Per fortuna vi sono ancora giornalisti che prima di pubblicare una notizia si pongono il problema se commettono reati e non ritengono che l’interesse del pubblico corrisponda sempre al pubblico interesse.

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