Caro Travaglio, per essere democratica, la legge elettorale deve prevedere le preferenze?

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di Roberto Bin

A seguire Travaglio e Libertà e giustizia, sembrerebbe che la risposta alla domanda del titolo debba essere positiva. Si invoca una legge elettorale che restituisca agli elettori il potere di scegliere gli eletti e ci liberi da un Parlamento di “nominati”. ll direttore del Fatto Quotidiano e una delegazione del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale hanno consegnato al presidente del Senato le 160.000 firme raccolte contro il Rosatellum: “un secco ‘no’ dei cittadini ai nominati e all’ ennesima legge elettorale a rischio di incostituzionalità che toglie il potere di scelta agli italiani e lo consegna alle segreterie dei partiti”; “nel Rosatellum… non c’è traccia delle preferenze: ci sarà una quota maggioritaria e una quota proporzionale, in cui però i partiti proporranno i loro listini bloccati” (così si legge nel sito di Libertà e giustizia).

Trovo la cosa sorprendente, per tre diverse ragioni.

La prima è che nessuna delle grandi democrazie europee sarebbe davvero democratica, perché in esse le preferenze sono del tutto ignote. Sono a rischio anzitutto Regno Unito e Francia, che optano per un sistema uninominale, in cui i candidati che si affrontano in ogni collegio sono ovviamente designati dal loro partito di appartenenza: di preferenze non si potrebbe neppure parlare, dunque, il potere di designazione del proprio candidato essendo strettamente trattenuto dalle segreterie dei partiti. Ma neppure Germania e Spagna si salverebbero. In Germania i candidati sono eletti dalle assemblee di partito. In Spagna i partiti presentano liste bloccate, in cui i candidati sono eletti nell’ordine in cui il partito intende disporli: proprio come vorrebbe il Rosatellum. Insomma, il sistema per cui è l’elettore ad esprimere la preferenza per il candidato non è conosciuto negli altri grandi paesi. Eppure in nessuno di essi si chiamerebbero “nominati” i candidati proposti dai partiti.

La seconda ragione di stupore è che il sistema delle preferenze, che aveva contrassegnato in precedenza la legge elettorale italiana, è stato fatto fuori a furor di popolo dagli italiani nel referendum del 9 giugno 1991. Il 95,57% dei votanti (che rappresentarono il 62,50% dei potenziali elettori) si espresse per la purificazione della disciplina elettorale dalla vergogna di un sistema che aveva permesso brogli, voti di scambio e corruzione. Per ragioni tecniche di formulazione del quesito (come spiega la stessa Corte costituzionale nella sent. 47/1991, con cui dichiarò ammissibile il quesito referendario) le preferenze non furono radicalmente cancellate ma ridotte ad una sola, richiedendo che essa fosse espressamente formulata dall’elettore (infatti, la possibilità di indicarla con il solo numero di ciascun candidato preferito favoriva la riconoscibilità delle schede attraverso le sequenze numeriche tracciate nelle schede; il che però si può ottenere anche scrivendo la preferenza con l’ausilio di un normografo, come pure è capitato). Come si fa a sostenere oggi che è anticostituzionale e antidemocratico un sistema elettorale che non prevede un meccanismo – le preferenze – che era stato ieri cancellato dall’ordinamento per volontà del popolo sovrano?

La terza ragione di sorpresa deriva da quanto aveva affermato la Corte costituzionale nella sent. 1/2014, con cui era stata dichiarata illegittima la legge elettorale voluta dal centro-destra e destinata a passare alla storia con il nome di Porcellum. Spesso quella sentenza viene invece richiamata a sostegno della necessità costituzionale delle preferenze, ma non è affatto così. Ecco che cosa scrisse la Corte:

In definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione. Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati o senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali).

Il passo riportato in neretto è l’argomento chiave: sistemi come quello spagnolo, in cui le liste bloccate sono riferite a circoscrizioni dalla “dimensioni territorialmente ridotte”, in cui i candidati sono così pochi da consentire la loro “conoscibilità” da parte degli elettori, e quindi l’effettività della scelta e la libertà di voto, non contrastano con la Costituzione, così come non contrastano con essa i sistemi uninominali (come quello britannico e quello francese). L’Europa delle grandi democrazie è dunque salva, e lo è anche il Rosatellum, che prevede collegi plurinominali ancora più piccoli di quelli spagnoli.

Ora, il problema non è tanto quello di spiegare tutto questo a Travaglio, ma far capire alle tante ottime persone che si riconoscono in Libertà e giustizia che questa foga, tutta italiana, di criminalizzare i partiti, come se fossero la fonte di ogni male, e di definire “nominati” tutti coloro che essi propongono e noi eleggiamo, è davvero nefasta, fa parte di quella deriva populista e antidemocratica che a loro stessi fa sicuramente orrore. Non c’è democrazia senza partiti. Se i nostri funzionano male, è alla loro riforma che bisogna seriamente puntare, anche per garantire agli elettori che chi verrà eletto grazie alla designazione di un partito non decida poco dopo di abbandonare la formazione in cui è stato eletto e gli impegni elettorali assunti attraverso di essa, per inseguire proprie mire e interessi personali – senza però abbandonare lo scranno parlamentare ottenuto con i nostri voti.

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5 commenti su “Caro Travaglio, per essere democratica, la legge elettorale deve prevedere le preferenze?”

    • Immagino lei sia un profondo conoscitore della storia del costituzionalismo moderno e abbia perso la vista studiando il Commentario alla Costituzione di Piero Calamandrei, o sbaglio?

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  1. beh per quanto sarebbe bello, sapere certamente che i parlamentari siano controllati da tale vincolo. Sarebbe l’alienazione dei diritti fondamentali. E come se io chiedessi a Lei di pensare inderogabilmente e in coscienza, a modo mio, e in virù di ciò approvare tutto ciò che Io ritengo sia coretto. provi ad’attuare questo principio con un corpo elettorale, e sopratutto a giustificare una Sua scelta, ergo voto, su quesiti morali ad’altri soggetto i quali, oltre tutto, hanno opinioni diverse già tra loro, sarebbe una carneficina.
    Qui non si parla del precetto di mantenimento di promesse ma della visione, tutta italiana, nel vedere i candidati come dei nominati del partito, dei poteri forti. beh e chi dovrebbe nominare i candidati del proprio partito, Mosé con le tavole dal monte Sinai ogni cinque anni o scioglimento delle camere…?! Ogni partito, quasi tutti, oltre tutto, fa le “primarie”. senza parlare dei congressi, per il rinnovo dell’Autorità leggittimanta a nominare, nel nome del parito e dei suoi elettori, un copro di candidati.
    Penso che il Dott. Bin stia confrontando i psuedo deliri di un Travaglio, ormai così pieno di se che non vede distante di ventottanni, e la realtà. Una realtà che sembra essere divenuta troppo complessa. per riprendere le “ultime parole” famose: Io non vedo un futuro per l’Italia, ma per gli Italiani. perché per quanto l’Italia sia bella, essa è priva di un popolo che sappia sia aprezzare la propria storia (veda Pomepei) e che è oltre tutto troppo impeganta a guardare verso il futuro, da non poter comprendere che il futuro è di per sé un presente al quanto vicino. ripenso agli anni della mia giovinezza, ad oggi. un futuro nei miei occhi, a quell’età, che ora è già passato. per gli italiani vedo un futuro, perché possono scappare, ma per l’Italia no!” cit. Montanelli.
    Con il vicolo di mandato torneremmo al ventennio a mio avviso, preferisco alla perfetta dittuatura la più delle imperfette democrazie .

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  2. Ho scoperto solo ora quest’articoli. Ignorando per un attimo l’avversario & attenendomi unicamente alla questione discussa della presenza costituzionalmente indispensabile di preferenze individuali nella L elettorale, contesto energicamente tutti i tre gli argomenti invocati dal prof. Bin. Correttamente riformulata la questione si riferisce solo ai sistema proporzionali di lista. Non riconoscere la diversità dei sistemi uninominali è fuorviante; sono infatti per definizione nominativi (tranne rare eccezioni di sistemi che permettono liste con due candidati per eleggere un solo rappresentante), indipendentemente dalle motivazioni di voto degli elettori e dalla formula (first past the post, doppio turno/runoff o voto trasferibile/instant runoff) utilizzata. Essendo i vari sistemi uninominali rigorosamente individuali, sono da questo punto di vista conformi. Il secondo argomento è talmente fasullo che è necessario contestarlo solo perché si continua a ripeterlo da oltre 20 anni: la campagna referendaria di 30 anni fa ha abolito la preferenza multipla utilizzata nel paese degli abusi come codice di riconoscimento del voto “comprato”, un argomento che peraltro il rimpianto non troppo italiano prof. Sartori ha affermato di non aver mai compreso. Diciamo che sia l’abuso sia l’argomento contrario sono molto italiani. Il terzo argomento è ineccepibile, ma solo all’interno del diritto positivo. La giurisprudenza suprema messa in grande difficoltà dai ricorsi prima contro la L 270/2015 poi contro la L 52/2015 ha adottato una pessima argomentazione: l’abuso sarebbe tollerabile, se le liste non sono troppo lunghe o se non riguardano tutti i seggi da assegnare. Se no, infatti, le L elettorali della Germania e della Spagna, e tante altre in Europa, sarebbero incostituzionali. Infatti lo sono. Tutto è dovuto ad una giurisprudenza tedesca degli anni 50 quando Gerhard Leibholz, fautore negli anni 30 della democrazia liberale e quindi dell’elezione individuale inscindibile dalla garanzia di libero mandato, diventato giudice costituzionale della nuova repubblica ha cambiato idea di 180 gradi seguendo l’opinione (illiberale & incoerente) di Hans Kelsen secondo il quale il libero mandato sarebbe una grossolana finzione e che durante la legislatura i deputati potrebbero benissimo essere interscambiabili per decisione della non meglio definita o regolamentata direzione del partito. Altri paesi, in cui si vota per e si eleggono solo individui, non sono cascati nella stessa trappola: i sistemi a collegio uninominale, più inclusivi se a doppio turno, ma anche i sistemi più proporzionali con circoscrizioni più o meno ampie e a voto individuale, senza (Irlanda) o con liste (Finlandia, Svizzera, Lussemburgo). Gli altri sistemi proporzionali che prevedono non solo un’assegnazione dei seggi per lista, ma pure un voto di lista, rimangono conformi ai principi elettorali europei condivisi solo se ammettono un voto di preferenza almeno facoltativo, unico o plurale, che determina l’ordine di elezione dei singoli candidati.

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