di Antonio Ramenghi
La controprova di quanto sostenuto in alcuni articoli di questo giornale circa l’inutilità del referendum lombardo-veneto e la sua vera natura è arrivata assai prima di quanto ci si potesse aspettare. Ed è arrivata innanzi tutto dalla Lombardia e dal suo presidente Roberto Maroni. Reduce dal disastroso esperimento del voto via ipad, Maroni ha annunciato di volersi aggregare al presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, nella trattativa da quest’ultimo già avviata con il governo in relazione alle autonomie da assegnare alle Regioni, secondo quanto previsto dalla Costituzione.
Bene, benissimo. Ma c’è un piccolo non trascurabile dettaglio: Maroni ha speso per il referendum qualcosa come circa 50 milioni di euro di tutti i lombardi mentre Bonaccini ha speso solo il costo del biglietto del treno per Roma dove ha iniziato il confronto con Gentiloni & C.
Adesso Maroni, dopo contanta spesa e cotanta campagna elettorale, decide di prendere un freccia rossa a Milano, che fermato a Bologna, farà salire Bonaccini, e insieme i due arriveranno a Roma e insieme, sugli stessi argomenti e con la medesima “forza contrattuale” , si confronteranno con il governo.
Una corsa di treno contro 50 milioni. Poi uno dice che la Lombardia è benissimo amministrata.
Il bello è che non andrà diversamente anche con il presidente del Veneto, Luca Zaia, acclamato vincitore. Lui ha speso meno rispetto a Maroni (ma siamo comunque nell’ordine di 12-14 milioni di euro). Non solo ha speso meno ma ha anche ottenuto un risultato assai più largo di Maroni al punto da sentirsi autorizzato ad alzare la posta: “Non mi basta più l’autonomia, voglio che il Veneto diventi Regione a statuto speciale come la Sicilia”. A parte il fatto che tale obiettivo non era materia di referendum, Zaia, passati i due giorni di ubriacatura da urne, ha prontamente fatto marcia indietro sulla richiesta di statuto speciale. Tratterà con il governo su tutte, proprio tutte, le possibili autonomie regionali.
E va beh! Vuoi vedere che magari Zaia prende un Freccia Argento a Venezia, scende a Bologna sale sul Freccia Rossa di Bonaccini e Maroni e insieme, il trio, busserà alla porta di Gentiloni? Alla faccia dei 64 milioni e dei lombardi e dei veneti che hanno pagato.
Questo è il risultato del trionfale (!) referendum lombardo-veneto per quanto riguarda l’oggetto in discussione, l’autonomia appunto, già prevista in Costituzione e mai realizzata dai governi di destra, di centro e di centrosinistra, né mai neppure decisamente richiesta quando la Lega era al governo con fior di ministri, schiere di sottosegretari, ecc. ecc.
Se poi invece ci si dimentica dell’oggetto (più autonomia alle regioni), e si guarda alla ricaduta politica di questa inutile e costosissima consultazione, allora le cose cambiano.
La Lega, come era nelle reali intenzioni dei due promotori, ha finanziato a spese di tutti i cittadini una gigantesca propaganda elettorale. Resa più facile dall’atteggiamento di quei partiti che pur contrari al referendum si sono ritirati o addirittura si sono accodati sperando di ottenere qualche vantaggio elettorale o anche solo timorosi di essere “scavalcati” dalla Lega. Il caso più clamoroso ce lo ha offerto il Pd che non ha saputo tenere una posizione chiara, con sindaci che sostenevano il sì apertamente e quelli contrari che facevano i pesci in barile. Alla fine della fiera la Lega, a spese di tutti, ha raccolto un risultato politico formidabile soprattutto a danno del principale avversario, appunto il Pd. Tanto che, proiettando i risultati del referendum sulle elezioni politiche, risulterebbe, secondo gli esperti, che il Pd nelle due regioni non vincerebbe un collegio che uno.
Questi abbiamo e questi ci dobbiamo tenere