Le preoccupazioni di Mattarella sono le nostre

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di Roberto Bin

Gli appelli del Presidente della Repubblica al senso di responsabilità dei partiti e l’invito a preoccuparsi delle sorti del Paese, piuttosto che ai propri interessi tattici, dovrebbero essere sottoscritti da tutti. Ma siamo in Italia, un paese a forma di stadio calcistico, ove dai tempi dei guelfi e dei ghibellini (ma ancora da prima, se si scava un po’) il clima da rissa tra opposte tifoserie domina su qualsiasi riflessione pacata.

Ho pubblicato in questo giornale due brevi articoli in cui sostenevo l’ipotesi di un accordo di governo tra il M5S e il PD, sottolineando con forza che c’è una bella differenza tra un accordo e un’alleanza, e mi sono piovute addosso – più sui “social” che sui commenti di questo giornale – critiche pesantissime e anche qualche insulto (“ma chi sta dietro a questo giornale?” si è chiesto persino qualcuno…). Un po’ i critici hanno inteso difendere il PD, che si sarebbe sacrificato negli ultimi anni in nome della “responsabilità” e che avrebbe perciò pagato con il risultato delle elezioni e con i veri e propri insulti piovuti addosso da molte parti, specie dal M5S; un po’ si è voluto gridare basta ai governi dominati da quei “facinorosi del PD”, auspicando che finalmente governino “quelli cha hanno vinto”. Allora incominciamo da qui.

Chi ha vinto le elezioni?

A questa domanda i più rispondono: il M5S e la Lega. Sì, il M5S ha ottenuto una valanga di voti ed è il primo partito (non la prima coalizione, perché questa sarebbe il centro-destra): ma non ha abbastanza seggi da poter governare da solo. La Lega ha guadagnato voti e ha superato FI: ma è il terzo partito (ha meno voti anche del PD) e può dire di “aver vinto” solo se calcolata nell’ambito della sua coalizione e resta ben saldamente unita ai suoi alleati, cioè al centro-destra. L’unico dato certo è che il PD ha perso, pur restando il secondo partito in parlamento. Non c’è da discutere, sono numeri.

Ci sono dei vincitori, dunque, ma nessuno dei partiti o delle coalizioni può pensare o pretendere di governare da solo: il che vuol dire che sarà comunque necessario un accordo politico tra più partiti. Qualcuno sta dicendo che è meglio andare a nuove elezioni. Meglio per chi? Forse il M5S può sperare di guadagnare ancora qualche seggio? E lo può fare anche la Lega? È certo un’ipotesi, ma è anche davvero credibile?

Al più presto si andrebbe a votare a giugno, il che vorrebbe dire che le camere, che faticosamente si costituiranno nei prossimi giorni, probabilmente non prima dei primi di aprile (dopo Pasqua), dovrebbero essere sciolte entro il 10 maggio per poter votare – diciamo – domenica 24 giugno. Se no probabilmente si dovrebbe votare a ottobre, visto che la campagna elettorale (che dura almeno 45 giorni) non può certo iniziare ad agosto; o forse addirittura nella prossima primavera, assieme alle europee. Nel frattempo? Nel frattempo resterebbe in carica il Governo Gentiloni per una “ordinaria amministrazione” che verrebbe ad essere incredibilmente estesa, perché gli “affari urgenti” si moltiplicherebbero a dismisura.

Sono possibili Governi di minoranza?

Per rispondere a questa domanda bisogna considerare alcuni aspetti. Il Governo entra nell’esercizio delle sue funzioni al momento della nomina da parte del Presidente della Repubblica e del giuramento: ma entro 10 giorni deve presentarsi alle Camere e ottenere la fiducia. La mozione di fiducia è approvata a maggioranza relativa, ossia con metà più uno dei voti validi. Alla Camera è sempre stato semplice, perché gli astenuti, le schede bianche ecc. non sono considerati voti validi: per cui se la mozione ottiene, mettiamo, 150 voti, e i contrari sono 149, la mozione è approvata, anche se gli altri 331 deputati si astengono. Anche al Senato ora funziona così (come mi ha fatto cortesemente notare un lettore: nella prima stesura avevo dimenticato la riforma del Regolamento votata nel dicembre scorso: solo i voti favorevoli e contrari ora sono considerati voti validamente espressi; chi si astiene è però contato come presente, ai fini del calcolo del numero legale. Finalmente da questa legislatura le regole di Camera e Senato sono eguali!).

Che succede se il Governo non ottiene la fiducia?

Questa è un’ipotesi da non sottovalutare: se il Governo si presenta alle Camere ma non ottiene la fiducia, deve dimettersi e si riapre la crisi. Se questa si conclude con il nuovo scioglimento delle Camere, il Governo battuto – e che mai ha ottenuto la fiducia del Parlamento – resterebbe in carica per l’ordinaria amministrazione sino a dopo le nuove elezioni e la nomina del nuovo Governo.

Questo è un dato che non può essere trascurato dal Presidente della Repubblica, perché, al di là del nome del Presidente del Consiglio nominato, c’è il rischio che Gentiloni, che pure un voto di fiducia lo ha avuto, venga sostituto sine die da un capo del Governo che mai ha ottenuto il voto parlamentare.

Si può nominare un Governo “al buio”?

Ecco perché una delle ipotesi che Mattarella non può considerare è di nominare un Governo “al buio”, ossia senza la certezza di una maggioranza parlamentare che lo appoggi. Questa è invece un’ipotesi molto popolare presso il M5S, sia al vertice che nella base; e mi sembra un’ipotesi ben accolta anche da Salvini. Essa invece va assolutamente scartata: c’è un brutto precedente nel 1987, quando Cossiga nominò il Governo Fanfani VI, monocolore DC, che non aveva speranze di ottenere la fiducia, e questo per non far gestire le elezioni al Governo Craxi, dimissionario. Una situazione davvero brutta.

Si ritorna al “mandato esplorativo”?

Quando il Presidente della Repubblica, dopo aver svolto le consultazioni, non riesce a intravvedere la soluzione della crisi, tradizionalmente affida un “incarico esplorativo” ad autorità istituzionale, tipo il presidente di una delle Camere. Dev’essere chiaro che il mandato esplorativo non è mai affidato ad un esponente politico che ambisca a formare il Governo (Cossiga, per es., nel caso prima citato, affidò il mandato a Nilde Jotti, presidente della Camera, un’esponente comunista, come tale allora “fuori dai giochi”). Diverso è il c.d. “pre-incarico”, che viene affidato a chi ha buone chance di sciogliere i nodi politici e tesserà l’alleanza, e quindi ambisce ad essere nominato.

Se non c’è maggioranza, è colpa del sistema elettorale?

Il quadro è complicato, perché una maggioranza “naturale” non c’è e non c’è neppure un clima favorevole agli accordi. Troppi insulti sono volati, troppe accuse infamanti e delegittimanti. Forse anche un po’ di inconsapevolezza sugli elementi di base che servono per candidarsi alla guida politica di un paese grande complicato come il nostro. Di Maio e Salvini, i “vincitori”, pensano davvero di poter guidare – senza allearsi tra loro o con altri – governi di minoranza?

C’è una strana idea che vaga, che la minoranza in fondo governa in tante parti del mondo, e che quindi sarebbe giusto che ciò accadesse anche da noi. Si confondono così due fatti molto diversi: l’uno è che nessun leader attuale esprime davvero la maggioranza dei consensi del paese che governa; l’altro è che i sistemi elettorali operano, con strategie molto diverse, in modo che i leader possano però ottenere una maggioranza nei parlamenti che li sostengono. Il sistema elettorale diventa perciò l’imputato principale.

È vero che in Francia Macron governa solo grazie al secondo turno, che lui ha brillantemente vinto contro Le Pen, dopo aver ottenuto al primo turno soltanto il 32,6% dei voti, più o meno gli stessi del M5S in Italia. Già, ma se Di Maio fosse andato al ballottaggio – contro chi, poi: Salvini? Gentiloni? – avrebbe davvero vinto? È un’ipotesi, ma per raggiungere il risultato francese non basterebbe introdurre un sistema elettorale a doppio turno, ma sarebbe necessario anche un sistema di tipo presidenziale, in cui gli elettori votano per il Presidente della Repubblica, che guida anche l’esecutivo. Una riforma costituzionale assai vasta ci vorrebbe, non come quella proposta da Renzi-Boschi, ma più simile al pasticcio che propose Berlusconi nel 2006. Non vedo la strada molto praticabile. Negli altri Paesi (Gran Bretagna, Germania, Spagna ecc.) i sistemi elettorali sono molto diversi, e sono tutti diversi da quello italiano, ma nessuno garantisce un bel niente in fatto di “governabilità”, come l’attuale frangente dimostra in ognuno di essi.

Un “governo di scopo” per modificare la legge elettorale?

Un sistema sociale disgregato e diviso non può essere riparato da un sistema elettorale. Credere che si possa fare un “governo di scopo”, che proponga l’ennesima riforma del sistema elettorale è un’idea da abbandonare. Le leggi elettorali sono difficilissime da modificare, perché chi le dovrebbe votare ha interessi e obiettivi troppo diversi per coagulare una maggioranza: e non vi è nessuna garanzia che il risultato possa essere migliore della legge attuale, che, in fondo, non è poi così male.

Per cui il “governo di scopo” o il “governo di tutti” minaccia di essere l’ennesimo Governo senza un programma politico preciso, impedito dai veti incrociati, di mera sopravvivenza: sostanzialmente un altro Governo “tecnico”. Non ne abbiamo un bel ricordo.

Quello di cui avremmo invece bisogno è di un governo pienamente politico, che sia capace di riaggregare il paese attorno ad alcuni obiettivi “alti”, di grande rilevanza, chiaramente distinguibili e comprensibili. Il che non vuole dire affatto che devono essere obiettivi che vanno bene a tutti. Ma non è affatto detto che per definire e perseguire obiettivi di questo tipo si debba avere una maggioranza “monocolore”: anzi, l’accordo politico, il contratto di governo, può essere lo strumento più adeguato proprio perché impegna forze politiche che sono e vogliono restare diverse.

Ricapitolando: le sue e le nostre preoccupazioni

L’invito alla responsabilità che ripete il Presidente della Repubblica ha un senso preciso. Ricorda l’analogo appello che fece il Presidente della Repubblica tedesco Steinmeier alla SPD dopo il fallimento del tentativo della Merkel di formare una coalizione con Verdi e Liberali (la coalizione Jamaica): superate la visione egoistica di partito e pensate a farvi carico delle esigenze del Paese. I nostri stipendi, le nostre pensioni, i nostri servizi sanitari e scolastici, i nostri risparmi e investimenti corrono seri rischi di essere colpiti: un Governo che governi ragionevolmente è una necessità. Stare all’opposizione fa senz’altro bene, come le odierne fortune elettorali di M5S e Lega dimostrano: fa bene al partito, ma non al Paese, se ciò significa lasciarlo senza Governo o dare il Governo in mano ai goliardi. Perché i programmi elettorali sono stati scritti da goliardi, non erano cose serie; e da goliardi è l’atteggiamento oggi assunto dai “vincitori” che insistono a dire che un accordo politico lo si può fare, fermo restando che il programma elettorale e la “squadra di governo” presentati e votati dagli elettori sono intangibili. Come può un partito candidarsi a guidare il Governo dichiarando: «Il prossimo obiettivo è abolire i vitalizi», vitalizi che non esistono più da anni se non per coloro che li hanno maturati in un lontano passato e comportano una spesa irrisoria?

Responsabilità significa accettare di smettere di scambiarsi insulti, sprecarsi in sparate propagandistiche, sedere attorno ad un tavolo e giungere ad un accordo su alcuni punti programmatici comuni, senza diktat, senza spirito di rivalsa, cercando la convergenza su poche azioni ritenute necessarie per il Paese. Non significa rinunciare ad essere diversi: i contratti si fanno tra persone che sono e vogliono restare diverse, che sono anche giustamente diffidenti. Per questo vanno scritti, e scritti con molta attenzione.

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6 commenti su “Le preoccupazioni di Mattarella sono le nostre”

  1. Professore, anche a seguito della nuova modifica al regolamento del Senato gli astenuti sono conteggiati come contrari?

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  2. “Se non c’è maggioranza, è colpa del sistema elettorale?”
    In tutte e democrazie la maggioranza si forma nel Parlamento, indipendentemente dal sistema elettorale, e addirittura indipendentemente dal tipo di governo, parlamentare o presidenziale. Paragonare le politiche italiane con e presidenziali francesi è fuorviante. L’errore italiano è che si accetta che una maggioranza si possa formare in via del Nazzareno.
    “Un “governo di scopo” per modificare la legge elettorale?”
    L’ipotesi suppone che si sappia verso quale modello di legge elettorale orientarsi? Le due precedenti leggi sono state censurate (tardivamente e mollemente) dalla Corte costituzionale. Quella vigente rischia una sorte similare, o per decisione dei giudici o per decisione dell’elettorato chiamato a pronunciarsi attraverso un referendum abrogativo. Il Parlamento, formalmente competente in materia, rischia solo di combinare un quarto disastro.
    I principi costituzionali più importanti che qualsiasi normativa elettorale dovrebbe rispettare sono i diritti elettorali attivi e passivi (art. 48, 49, 51, i quali esprimono una modalità dell’esercizio della sovranità del popolo dell’art. 1). Nel dibattito pubblico, nell’analisi dei costituzionalisti e dei politologi e nelle sentenza della Consulta questa problematica giuridica è stata soverchiata dal dilemma tutto politico e contingente fra governabilità e rappresentatività. La mia critica della normativa positiva, del dibattito accademico e della giurisprudenza costituzionale (1/2014 e 35/2017) è che tutti sottovalutano il vizio delle liste bloccate. Le liste bloccate non sono solo una restrizione delle libertà elettorali, ma generano anche dei problemi politici, perché limitano la responsabilità individuale degli eletti. Utilizzate ormai per eleggere la quarta legislatura consecutiva hanno generato nelle forze politiche delle caste monolitiche chiuse che si riproducono per cooptazione. Solo degli eletti liberi da vincoli, responsabili a scadenza davanti al loro elettorato, sono in grado di sostenere un governo stabile, rappresentativo degli interessi della nazione.

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  3. Credo che la convergenza sui temi sarà difficile, nonostante sia fondamentale. Sentendo i dibattiti successi al voto, l’eccessivo protagonismo del leader di partito si sta legittimando in maniera preponderante. Da qui a vedere un contratto sui temi utili per il Paese la strada è lunga, anche perché non ritengo neppure facile stabilire i temi stessi da fissare nel programma di governo, data l’irrealizzabilità di quelli affrontati durante la campagna elettorale. Pur tutta via spero in un governo di maggioranza.

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  4. So bene che la legge Mattarella ha introdotto le liste bloccate per la quota proporzionale del 25%. DA ALLORA le contesto, sempre per le stesse ragioni. Il referendum intendeva abolire le preferenze MULTIPLE che, in questo paese, venivano utilizzate come codice per il voto di scambio. La preferenza unica, costituzionalmente e logicamente sufficiente, non comporta lo stesso rischio di abuso. Non capisco perché il diritto di preferenza individuale sancito dalla Costituzione debba essere abolito del tutto e essere sostituito con una preferenza i lista bloccata. Il ragionamento conduce inesorabilmente all’abolizione de libero mandato, perno della democrazia rappresentativa. Infatti il M5S e FI lo chiedono espressamente. Se si tratta di selezionare i candidati fra i più capaci e i più onesti, basta ovviamente la facoltà di stabilire l’elenco dei candidati sulla lista del partito. Non c’è ALCUNA ragione per estendere questo potere alla determinazione dell’ordine di elezione. Questo spetta esclusivamente agli elettori, in base agli articoli 1, 48, 49 e 51. Chi preferisce liste bloccate (magari con pluri-candidature e uninominali congiunti) alla preferenza unica preferisce la dittatura (secondo la definizione di Kenneth Arrow), o quantomeno la partitocrazia, il potere delle nomenclature per cooptazione, alla democrazia. Beati voi!

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