Si commetterebbe davvero un grave errore se qualcuno, guardando i numerosi talk show predisposti dalle emittenti televisive dalla mattinata sino alla sera inoltrata, pensasse seriamente di farsi una idea plausibile dello stato dei rapporti tra le forze politiche, dell’azione del Governo, delle ragioni che inducono il Parlamento ad assumere una decisione piuttosto che l’altra, della effettiva portata dei pronunciamenti giudiziari, di quello che accade nei diversi versanti in Europa e nel mondo. Mi capita meno di captare i programmi di approfondimento radiofonico e, per la verità, quando succede le sensazioni provate sono sostanzialmente identiche (sebbene non vedere qualche volta rappresenta un vantaggio degli ascoltatori rispetto ai telespettatori). Le litanie degli ospiti, quasi sempre pronti a dormire poco, alzarsi presto e dormire tardi, dunque disponibili e perciò fissi; le affermazioni che si fanno da parte del ceto politico e da qualche tempo la stessa conduzione del dibattito in questo o quello studio; le “facce” e la gestualità sofferente di titolati intellettuali di contorno (che tuttavia ritornano imperterriti), hanno finito per sfiancare anche il più fedele spettatore, trasformandolo, in un vizioso guardone! Per un semplice elementare motivo: in quelle sedi di “approfondimento colto” (che non dovrebbero replicare i luoghi classici delle politica a partire dalle aule parlamentari che sono e rappresentano quel che esce dal “sentimento” popolare più viscerale), nessuno ascolta l’altro interlocutore, ciascun interviene parlando “ai suoi”, nella migliore delle ipotesi alla replica si preferisce l’invettiva e qualche volta l’abbandono plateale della “tribuna” accompagnato quasi sempre dal “si deve vergognare”! Di più: si ha l’impressione che chi viene invitato per intervenire (per non dire di chi conduce) non sempre abbia troppe competenze da fare valere e neppure abbia voglia di essere prudente su terreni che non si conoscono e nei quali ci si avventura con una sicumera imbarazzante che è la ragione stessa della presenza di taluno al programma. Potrebbe trattarsi solo di un felice impatto mediatico valutato con criteri che francamente non conosco e che pure ci saranno.
Ho persino l’impressione – questo il senso ultimo della nota – che tutto questo chiacchiericcio concitato contribuisca a farsi idee sbagliate e non aiuti in alcun modo l’orientamento consapevole anche degli spettatori-elettori più disponibili a cercare di comprendere prima di esprimersi in occasione di una tornata elettorale prossima o lontana che sia nel tempo. Fortunatamente, sia pure a pagamento, almeno nei momenti di più acuta esasperazione visiva e fonica, è possibile transitare su una partita di calcio o di tennis magari in replica.
Resta la sensazione di osservare un Paese volgare e supponente che non è affatto meglio di chi lo rappresenta nelle sedi istituzionali destinato oltretutto a non aver alcun mezzo alternativo da contrapporre, si fa per dire, al dilagare in ogni campo dei c.d. social.
E’ proprio così… come ha scritto il D’Andrea! U.S.
Il problema non sono gli show televisivi, nemmeno i media in generale, ma l’intero discorso pubblico – fatto non solo dai protagonisti politici, ma anche da commentatori, giornalisti, opinionisti ed auto-dichiarati esperti con CV di decine di pagine. Servirebbe un’analisi per sapere in quale misura quel dibattito è finanziato dalla mano pubblica e da quali interessi privati. Mentre altrove si parla di fatti, di dati statistici ed di effetti prevedibili, qua si parla se va bene di dichiarazioni, esternazioni, annunci e messaggi digitali, più spesso di intenzioni, di ipotetiche contromosse, di calcoli di opportunità mediatica e politica. Per fortuna la rete permette a chi lo desidera e ne è capace di informarsi per altre vie, raramente domestiche.