Caso Siri: l’ipocrisia dei garantisti e l’ipocrisia dei 5 stelle

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di Roberto Bin

Una volta di più sul caso Siri si sono levate le lamentele dei c.d. “garantisti”, che rifiutano con sdegno che sulla base di un sospetto o di una semplice accusa sia lecito trarre conseguenze “sanzionatorie” che comportino le dimissioni di un politico. Naturalmente è una bufala.

Una cosa è il principio costituzionale che impone di considerare innocente l’accusato si quando non sia definitiva la sentenza di condanna penale: tutt’altra cosa – e per mille volte lo si è ripetuto a proposito di Berlusconi, Dell’Utri, Previti ecc. – è l’onorabilità di una persona che riveste incarichi pubblici importantissimi, la cui specchiabilità non deve essere appannata dal sospetto di aver commesso un reato grave. Questo è il problema. E’ un problema vero, perché è necessario valutare caso per caso la serietà delle accuse. Ma questo non è il caso di Siri.

Armando Siri, come ci informa la voce a lui dedicata da Wikipedia, nel  2014, ben prima di essere nominato sottosegretario nel Governo Conte, aveva patteggiato una condanna a un anno e otto mesi di reclusione per bancarotta fraudolenta, in seguito al crack di MediaItalia, società da lui presieduta, indebitata per oltre 1 milione di euro. Il patteggiamento – checché ne dica Cantone – non equivale ad una condanna né implica un riconoscimento di colpa: ad esso l’imputato ricorre proprio per evitare che il processo arrivi a conclusione con la pronuncia di una condanna. Preferisce accettare una sanzione ridotta senza ulteriormente difendersi. Per cui Siri non può essere definito un mascalzone patentato, perché la “patente” – cioè la condanna – non c’è. Ma può essere dichiarato, come ha fatto Salvini, “una persona specchiata e onesta”? Pare che sia un grande tecnico del sistema fiscale (infatti, oltre che di bancarotta fraudolenta, era accusato di elusione fiscale per un valore di 162.000 euro) e che sia il consigliere economico di Salvini, ispiratore del progetto di flat tax, su cui ha scritto un libro. Non è dato sapere quali siano le sue competenze, ma queste nulla sembrano avere a che fare con le ampie deleghe conferitegli dal Ministro dei trasporti Toninelli – competemze che andavano dallo sviluppo urbano agli aeroporti. Andavano, perché a seguito delle nuove vicende, Toninelli, sdegnato, le deleghe le ha ritirate.

Qui sta il punto. Che il rigore ad intermittenza che il M5S mostra nei confronti dei politici “indagati”, suscitando lo sdegno del “garantisti”, sia francamente eccessivo e indifendibile, non può nascondere la vera responsabilità del Movimento e del suo leader. Perché hanno consentito la nomina di un sottosegretario il cui passato non era affatto immacolato? Dov’erano le anime belle al momento dell’accordo sulla composizione della compagine di Governo? È accettabile che entri nel Governo una persona con i trascorsi penali di Siri? Di tutto ciò oggi non si parla più, sembra che tutto si risolva nel problema delle indagini di cui oggi Siri è fatto segno, perché in effetti è difficile mantenere l’immagine di inflessibile purezza avendo pochi mesi fa approvato senza battere un ciglio l’ingresso di Siri nel Governo. O lo avevano approvato “salve intese”?

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