Requiem per una defunta… C’era una volta la riserva di legge in materia elettorale

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di Giovanni Tarli Barbieri

Lo strano caso di un comunicato stampa della Cassazione che stabilisce criteri per l’assegnazione dei c.d. “seggi supplementari” al Parlamento europeo che potrebbero essere proclamati a seguito delle elezioni del 26 maggio 2019.

Nel suo Rapporto finale della missione di valutazione elettorale dell’ODIHR (Office for Democratic Institutions and Human Rights) sulle elezioni politiche italiane del marzo 2018 si afferma che «il quadro normativo costituisce una base adeguata per lo svolgimento di elezioni democratiche, ma è frammentato e molti aspetti del processo elettorale non sono disciplinati dalla legge», e che «il quadro normativo che disciplina le elezioni dovrebbe essere riesaminato per colmare le lacune ancora esistenti, rilevate nel presente rapporto e in quelli precedenti dell’ODIHR. Sarebbe opportuno prendere in considerazione la possibilità di integrare i regolamenti nella legislazione elettorale, in modo da garantire la certezza e la coerenza del diritto» (p. 5).

Chissà cosa potrebbe dire l’ODIHR a proposito della vicenda dell’assegnazione dei c.d. “seggi supplementari” al Parlamento europeo che potrebbero essere proclamati a seguito delle elezioni del 26 maggio 2019.

Come è noto, la decisione del Consiglio europeo 2018/937 del 28 giugno 2018, in attuazione dell’art. 14, par. 2, del Trattato sull’Unione europea (TUE), ha ripartito tra gli Stati membri i numero dei parlamentari da eleggere, assegnandone 76 all’Italia (art. 3, par. 1). Sulla base di questa previsione, il D.P.R. 22 marzo 2019 ha provveduto ad assegnare i seggi alle cinque circoscrizioni del territorio nazionale.

Tuttavia, la stessa decisione ha previsto che «nel caso in cui il Regno Unito sia ancora uno Stato membro dell’Unione all’inizio della legislatura 2019-2024, il numero dei rappresentanti al Parlamento europeo eletti per ciascuno Stato membro che si insedieranno sarà quello previsto all’articolo 3 della decisione 2013/312/UE del Consiglio europeo, fino a quando il recesso del Regno Unito dall’Unione non sarà divenuto giuridicamente efficace» (art. 3, par. 2, primo periodo).

Dunque, in questa seconda ipotesi, che è quella concretamente verificatasi dopo la proroga del recesso del Regno Unito al 31 ottobre 2019 (Decisione del Consiglio europeo 2019/584 del Consiglio europeo dell’11 aprile 2019), all’Italia spettano 73 parlamentari, come nelle elezioni europee del 2014. Tuttavia, come specificato nello stesso art. 3, comma 2, «una volta che il recesso del Regno Unito dall’Unione sarà divenuto giuridicamente efficace, il numero dei rappresentanti al Parlamento europeo eletti in ciascuno Stato membro sarà quello stabilito al paragrafo 1 del presente articolo».

È quindi previsto che, a seguito della Brexit, a fronte dell’uscita dei 73 parlamentari europei eletti nel Regno Unito, subentreranno 27 nuovi eletti, tre dei quali spettanti all’Italia.

Come saranno eletti questi “seggi supplementari”?

La legge elettorale (l. 18/1979) non prevede alcunché al riguardo e il Parlamento italiano si è ben guardato dal disciplinare questa materia, nonostante che la decisione del Consiglio europeo sopra riportata sia stata adottata quasi un anno fa. Cosicché, il silenzio della legge è stato “surrogato” dalla Corte di Cassazione, la quale in un comunicato stampa in data 21 maggio 2019 ha indicato a quali principi si atterrà nell’individuazione dei tre seggi aggiuntivi.

In particolare, in esso si afferma che, in forza della richiamata decisione del Consiglio europeo, i seggi spettanti all’Italia sono 76, solo 73 dei quali si insedieranno subito, poiché i restanti tre potranno farlo solo a Brexit avvenuta.

Quanto al riparto dei seggi vengono individuati i seguenti criteri:

«a) individuazione delle tre liste che a livello nazionale hanno ottenuto seggi con i minori resti utilizzati o, in mancanza, con i minori resti non utilizzati;

  1. b) sottrazione ad ognuna di dette tre liste di un seggio, individuato nell’ambito delle tre circoscrizioni cui è stato assegnato un seggio supplementare per effetto dell’aumento dei parlamentari da 73 a 76.

A tal fine, qualora le tre liste abbiano ottenuto seggi in ognuna delle tre circoscrizioni così individuate, si sottrarrà un seggio per circoscrizione cominciando da quella in cui lo stesso è stato ottenuto, da una qualsiasi delle tre liste, con il decimale più basso o, in mancanza, con la minore parte decimale del quoziente di attribuzione non utilizzato.

Ove una o più liste non abbiano ottenuto seggi in tutte e tre le circoscrizioni, si comincerà dalla lista o dalle liste che ne hanno avuti in una sola o in due delle tre circoscrizioni interessate dall’aumento dei seggi.

Nel caso in cui a seguito dell’applicazione dei criteri di cui sopra, rimanessero ancora dei seggi da individuare, essi saranno ricercati nelle circoscrizioni in cui le liste interessate abbiano comunque ottenuto seggi».

È da rimarcare che questi criteri sono stati stabiliti «in assenza di ulteriori disposizioni normative regolatrici della fattispecie».

Pur trovandoci in una stagione politico-istituzionale in cui le disinvolture in materia di produzione normativa si susseguono, la vicenda in esame appare davvero clamorosa e si potrebbe perfino ironizzare su un comunicato stampa della Cassazione “in luogo” di una legge.

Ma non è il caso di farlo, posto che questa vicenda sul piano del rispetto di principi costituzionali fondamentali, e segnatamente del rispetto della riserva di legge in materia elettorale, appare quantomeno problematica.

Che in materia elettorale sussista una riserva di legge non appare dubbio vista la «obiettiva rilevanza istituzionale» della legislazione elettorale, per cui sono riservate al Parlamento non solo «le scelte di fondo relative al sistema elettorale, ma tutte le determinazioni che abbiano un rilievo nella disciplina della materia elettorale» (Cervati), data anche l’esigenza del più ampio confronto tra le forze politiche e di un’affermazione forte di trasparenza degli intenti del legislatore e degli effetti dei suoi atti (Passaglia). Non a caso, l’art. 72, comma 4, Cost., pone una “riserva di assemblea” per l’approvazione delle leggi in materia elettorale, precludendo che le stesse siano approvate direttamente dalle Commissioni parlamentari.

Tuttavia, nella vicenda in questione il Parlamento non è intervenuto né il Governo si è arrogato poteri normativi (primari o secondari) di sorta.

L’inerzia del legislatore appare grave: come insegna la dottrina, la riserva di legge, oltre a limite per il potere esecutivo, si atteggia come «limite allo stesso legislatore, vincolato a porre direttamente e compiutamente la disciplina della materia riservata» (Carlassare).

Così, in presenza di un vuoto normativo, forse a fini di trasparenza, prima dell’esito elettorale, la Cassazione ha “predeterminato” i criteri di assegnazione dei seggi supplementari, che peraltro potrebbero rimanere del tutto “potenziali” qualora la Brexit non dovesse concretizzarsi. E, si noti, nel farlo ha seguito criteri plausibili ma certo non univocamente desumibili dalla legge elettorale vigente. In effetti, poiché altre soluzioni erano possibili (e forse altrettanto plausibili), è del tutto probabile che, in caso di Brexit, sorgano contestazioni o recriminazioni.

Un ultimo punto: non è la prima volta che per il Parlamento europeo si pone il problema di “seggi supplementari”.

Infatti, in attuazione delle modifiche al Protocollo sulle disposizioni transitorie, allegato al Trattato di Lisbona, in forza del quale, in relazione alla legislatura 2009-2014, il Parlamento europeo è stato integrato con 18 nuovi componenti (tra cui uno spettante all’Italia), fu approvata dal Parlamento una apposita legge (l. 2/2011).

Si tratta di un precedente ancora una volta fortemente discutibile, poiché la l. 2/2011 aveva efficacia retroattiva, laddove poneva le regole per l’assegnazione di un seggio alla stregua dei risultati di elezioni già svolte (e, si noti, regole parzialmente diverse da quelle fatte proprie dalla Cassazione). Peraltro, tale legge era in qualche modo più “guidata” dalla normativa europea  che indicava, per l’individuazione del seggio, tre possibili opzioni (elezioni ad hoc; designazione sulla base dei risultati delle ultime elezioni per il Parlamento europeo; nomina da parte dei rispettivi Parlamenti nazionali al proprio interno, ferma restando l’incompatibilità tra le due cariche).

Proprio questo precedente avrebbe dovuto suggerire al legislatore di approvare una normativa di carattere generale sui “seggi supplementari”, anche perché i Trattati europei non prevedono un numero fisso di componenti del Parlamento europeo; forse però solo immaginare una prospettiva del genere, al cospetto del caos imperante nella produzione normativa italiana, è semplicemente ingenuo e illusorio.

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3 commenti su “Requiem per una defunta… C’era una volta la riserva di legge in materia elettorale”

  1. L’informazione preventiva della Corte di Cassazione è errata, ma anche la sua critica. 1) La norma positiva c’è. 2)Non ci sono seggi vacanti da proclamare in secondo tempo. 3) Non esiste il problema di come eleggerli. La decisione del Consiglio UE 2018/937 del 28 giugno 2018 è chiara ed inequivocabile all’art.3 par.2 c.3 “Tutti i rappresentanti al Parlamento europeo che occupano i seggi supplementari risultanti dalla differenza tra il numero dei seggi assegnati in base al primo comma e quelli assegnati in base al secondo comma si insediano al Parlamento europeo contemporaneamente.”. Quindi in esito alle elezioni del 26 maggio 2019 s devono essere proclamati tutti i 76 membri del PE spettanti all’Italia, anche perché è il numero fissato nel D.P.R del 22 marzo 2019. Se il D.P.R. non viene rettificato vanno proclamati 76 deputati, per 3 di loro si pone soltanto il problema di partecipazione alle votazioni, ma poiché si insediano sono parlamentari europei e hanno diritto alle relative indennità. Comunque i tre aggiuntivi devono essere trattati ai fini della proclamazione come gli altri 73. Con sentenza del Consiglio di Stato sezione Quinta n. 2886/2011 è stato dichiarato tacitamente abrogato l’art. 21 c. 1 n. 3) della legge n. 18/1979 e s.m.i e quindi i seggi non possono lasciare la circoscrizione cui sono stati assegnati in rapporto alla popolazione residente. Una soluzione, che avrebbe richiesto un intervento legislativo, invece della scorciatoia di un parere del Consiglio di Stato Sez. 1 n. 4748/13 del 5 dicembre 2013,poichè rinviando all’art.83 d.p.r. n361/1957 il suo testo è cambiato ed ora con la legge n.165/2017 vi può essere teoricamente traslazione di seggi da circoscrizione elettorale ad altra.

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    • Non condivido le argomentazioni di Felice C. Besostri.
      La determinazione del numero dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia è disciplinata dalla decisione 937/2018 (UE) del Consiglio europeo la quale, è vero, assegna all’Italia 76 seggi (art. 3, par. 1), ma nel caso in cui il Regno Unito sia ancora membro dell’Unione europea all’inizio della legislatura 2019-2024 non sia divenuto efficace, «il numero dei rappresentanti al Parlamento europeo eletti per ciascuno Stato membro che si insedieranno sarà quello previsto all’articolo 3 della decisione 2013/312/UE del Consiglio europeo» (par. 2). Questo significa che in questa seconda ipotesi i seggi sono 73, tanto che gli altri sono qualificati espressamente come «supplementari»,
      Non mi pare sostenibile quindi che i seggi spettanti all’Italia siano comunque 76, né quindi che i tre in più siano già parlamentari, con pienezza di status (e quindi anche di retribuzione), destinati a essere proclamati insieme agli altri, ma impossibilitati a esercitare le loro funzioni a tempo indeterminato (non essendo infatti certo il verificarsi della Brexit). Sul punto, il secondo capoverso dello stesso par. 2 precisa che i seggi supplementari «si insediano al Parlamento europeo contemporaneamente», ma questa previsione significa che costoro si insedieranno tutti insieme quando il recesso del Regno Unito diventerà efficace e non contemporaneamente ai 751 eletti il 26 maggio scorso; anche perché, diversamente, la composizione del Parlamento europeo prima del recesso non sarebbe né quella di cui alla decisione del 2013 (che prevede 751 seggi in totale, compreso quelli spettanti al Regno Unito) né quella di cui all’art. 3 della decisione del 2018 (705 seggi in totale, senza quelli spettanti al Regno Unito).
      Dal mio punto di vista rimangono quindi tutte le perplessità sulla vicenda del Comunicato stampa della Cassazione. Osservo poi, come giustamente è stato sottolineato, che in Francia, la questione dei seggi supplementari è stata affrontata da una apposita “leggina” approvata pochi giorni prima dell’appuntamento elettorale (N. Lupo, Per eleggere quanti parlamentari europei si vota domenica 26 maggio? A proposito di un (necessario) comunicato stampa della Corte di Cassazione, in http://www.forumcostituzionale.it, 24 maggio 2019).
      Non entro nel merito della seconda problematica, del resto non affrontata nel mio contributo, se non per osservare che sicuramente anche la problematica del meccanismo di traslazione dei seggi dal livello nazionale al livello circoscrizionale, a seguito dell’entrata in vigore della l. 165/2017, avrebbe dovuto essere affrontata a livello legislativo: su questo punto, ma solo su questo punto, concordo con Besostri.

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  2. Condivido il senso dell’articolo. La legge elettorale per il Parlamento europeo n. 18/1979 è stata scritta male e modificata peggio. Questo ha comportato ricorsi che sono culminati con la sentenza del Consiglio di Stato n. 2886/2011, con la quale è stata de facto modificata la legge elettorale per quanto riguarda la ripartizione nelle circoscrizioni dei seggi assegnati alle liste. Sentenza a mio parere opinabile, perché sostenendo la tesi dell’abrogazione implicita si è sostituita al legislatore (il quale comunque ha le sue colpe di avere emesso una legge non perfettamente coerente), utilizzando un richiamo al d.p.r. 361/1957, che era stato evidentemente inserito per supplire alla normativa di dettaglio, non certo alla formula elettorale (tra l’altro, vincolando la formula elettorale per il Parlamento europeo – che deve essere proporzionale – a quella della Camera – che potrebbe essere anche maggioritaria – rischia di portare a conflitti o vuoti normativi insanabili).
    Stupisce che né il legislatore abbia provveduto per tempo a colmare il vuoto normativo sui seggi aggiuntivi (avrebbe p.es. potuto inserire una disposizione specifica nel decreto legge sulla Brexit), né il Ministero dell’Interno abbia pensato di chiedere un parere al Consiglio di Stato (come fatto nel 2013 per rendere applicabile anche alle future elezioni la sentenza succitata), né vi abbia pensato l’Ufficio centrale nazionale presso la Corte di Cassazione, riducendosi ad emettere un comunicato stampa! (Ma nella gerarchia delle fonti normativi, dove si collocano i comunicati stampa? Almeno mi sarei aspettato una deliberazione dell’Ufficio centrale nazionale.)
    Tuttavia, a seguito delle diverse sentenze della Corte Costituzionale riguardo all’illegittimità di disposizioni normative su premi di maggioranza e ballottaggio, è ormai consolidata la prassi della magistratura di sostituirsi al legislatore in materia elettorale, sulla base di interpretazioni estensive di principi costituzionali o di abrogazioni implicite.
    (Comunque, per rispondere al commento precedente, la traslazione di seggi era possibile anche con le leggi elettorali precedenti alla 165/2017, c.d. Rosatellum.)

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