Debito pubblico, patrimoniale e pensioni “d’oro”: il sottile filo dell’eguaglianza

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di Glauco Nori

Il caso, che ha provocato la sentenza della Corte costituzionale n. 18/2019, avrebbe meritato una attenzione maggiore dai mezzi di informazione di quella che ha ricevuto.

“E’ evidente che l’ordinamento finanziario-contabile prevede, in via gradata: a) l’immediata copertura del deficit entro l’anno successivo al suo formarsi; b) il rientro entro il triennio  successivo (in chiaro collegamento con la programmazione triennale) all’esercizio in cui il disavanzo viene alla luce; c) il rientro in un tempo comunque anteriore alla scadenza del mandato elettorale nel corso del quale tale disavanzo si è verificato” (n. 5.1 della sentenza).

L’art. 243-bis, prima delle modifiche portate dalla legge n. 205/2017, aveva consentito al consiglio dell’ente locale di deliberare un piano di riequilibrio finanziario pluriennale della durata massima di dieci anni (comma 5), norma sulla quale la Corte non si è pronunciata perché estranea al giudizio.

Date queste premesse normative, era prevedibile la dichiarazione della illegittimità costituzionale della norma impugnata che aveva consentito “la lunghissima dilazione temporale”. Uno dei motivi è stato visto dalla Corte nella violazione degli “elementari principi di equità intergenerazionale, atteso che sugli amministrati futuri verranno a gravare sia risalenti quote di deficit, sia la restituzione dei prestiti autorizzati nel corso della procedura di rientro”.

Per la consistenza attuale del debito e per le previsioni che si sentono fare, arriverà il momento che alla Corte costituzionale sia richiesto di verificare se in casi analoghi non possa vedersi la violazione del principio di uguaglianza.

Dai termini in cui le questioni sono state proposte e dalla motivazione adottata dalla Corte si ha l’impressione che dubbi sull’uguaglianza siano profilabili solo tra soggetti titolari di rapporti giuridici. Nel caso esaminato le generazioni future non potevano esserlo perché formate da soggetti non individuabili.

In questo senso è orientata la teoria tradizionale, sorta quando le esigenze di tutela giuridica erano diverse. Argomenti non si possono desumere dall’art.81 Cost. fondato, come è, su criteri prevalentemente contabili. E’, invece, utile il diritto civile sulla premessa, della quale non si dovrebbe dubitare, che si debba tenere conto dell’ordinamento giudico nel suo complesso e non  del solo diritto costituzionale.

Secondo l’art. 320 c.c. i genitori rappresentano i figli nascituri “e ne amministrano i beni”. “Capaci di succedere”, insieme ai concepiti al tempo dell’apertura della successione” sono anche “i figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore benché non ancora concepiti”. L’art. 643 prevede la rappresentanza del nascituro “per la tutela dei suoi diritti successori”.

Tutti questi diritti “sono subordinati all’evento della nascita” (art.1).

Perché possa essere coinvolto in un rapporto giuridico non è, dunque, necessario che il soggetto già esista ma che l’esistenza sia prevista e successivamente si realizzi. Il fatto che tutte le norme si riferiscano a singoli, non ad una pluralità indistinta, non può essere considerato preclusivo se la norma in discussione, per come è strutturata, è applicabile a più soggetti indistinti, componenti di una collettività omogenea.

Il debito pubblico dal punto di vista formale è a carico dell’ente che lo ha formato, ma dal punto di vista economico grava sui soggetti che dovranno fornire all’ente i mezzi per pagarlo.

Con il debito – l’osservazione è banale ma, visto come vanno le cose, vale la pena di farla – ci si procura per l’utilizzo immediato mezzi finanziari che non sono disponibili. Ma quale utilizzo: per il consumo o per l’investimento?

Nel primo caso si avrebbe che la restituzione, almeno in parte, viene posta a carico di chi non lo ha utilizzato. Se è per un investimento la restituzione nel tempo graverà su chi ne risente anche i benefici.

Con il debito per il consumo ad essere violato dovrebbe essere il principio di uguaglianza. Il consumo si esaurisce nell’anno: di conseguenza viene rimborsato in gran parte, se non integralmente, da chi dalle somme impiegate non ha avuto nessun vantaggio. Il fatto che i soggetti pregiudicati non siano subito individuabili non cambia i termini della questione perché lo saranno in un futuro più o meno breve.

Si dirà: che c’è di diverso con l’argomentazione della Corte costituzionale? C’è che, quando si tratta di diritto di uguaglianza, i criteri dovrebbero (si ripete, dovrebbero) essere più rigorosi.

Che sia un diritto spesso trascurato, non dovrebbe meravigliare. Il senso dello Stato del cittadino italiano, inteso come attitudine al rispetto della legge, in Italia, e non da adesso, lascia molto a desiderare ed ogni cittadino se lo porta con sé anche quando fa parte degli organi che propongono le leggi e che le deliberano. Si comporta come da singolo: non si attiene alle norme quando ha un interesse in  quel momento considerato prevalente.

Gli esempi non mancano.

Si sta pensando una tassa sul patrimonio, una tassa indistinta, applicabile a tutti i patrimoni di una certa natura. Tenuto conto dei precedenti, si può fare l’esempio dei conti in banca. Si tratta, in genere, di redditi risparmiati sui quali sono state pagate le imposte. La Repubblica dovrebbe incoraggiare e tutelare il risparmio in tutte le sue forme: lo dice chiaramente l’art 47 Cost. Tassarlo autonomamente è una forma di tutela? L’imposta viene applicata perché non è stato consumato tutto il reddito.

In Italia l’imposta sul patrimonio è stata sempre straordinaria, applicata in situazioni considerate di emergenza e la Corte costituzionale in alcune di queste occasioni ha riconosciuto legittime misure straordinarie, anche di legittimità dubbia, purché non ripetitive. Non è da escludere che la Corte torni ad orientarsi come  per l’imposta sui depositi bancari.

Anche in questi casi potrebbe sorgere una questione di uguaglianza.

Il patrimonio tassato potrebbe essere pervenuto per successione ereditaria, quindi formato da altri senza il contributo del successore rispetto al quale non può essere definito come suo risparmio. Lo stesso trattamento tributario non dovrebbe essere applicato a chi il patrimonio se l’è creato risparmiando. Si potrebbe obiettare che anche quello ereditario è il prodotto di un risparmio, ma di un soggetto diverso da quello che subisce l’imposta. Le due situazioni non sembra che possano essere messe sullo stesso piano: nel secondo caso il patrimonio è prodotto dal risparmio del soggetto tassato che lo ha formato con un  reddito sul quale ha pagato le imposte.

Questa obiezione in più occasioni è stata superata, ma è arrivato forse il momento di riprenderla in esame per verificare se il principio di uguaglianza non vada inteso in senso più rigoroso.

Qualche cosa di analogo si sta verificando anche a proposito delle c.d. pensioni d’oro.

Nel calcolo di quelle statali il limite massimo di anzianità è di quaranta anni. Applicare la stessa riduzione quando l’anzianità effettiva è stata di quaranta anni e quando è stata superiore, talvolta anche di molto, incide sull’uguaglianza perché nel secondo caso si applica la stessa riduzione anche a chi ha subito già una decurtazione per non essere stata presa in  considerazione tutta la sua anzianità di servizio, duplicando l’onere.

 Una questione analoga sorge anche sotto un profilo diverso.  La riduzione è espressamente esclusa per le pensioni liquidate integralmente col criterio contributivo (art.261.3 della legge n.145/2018) perché, come si sente dire, ognuno se l’è pagata. Se ne deve dedurre che la riduzione non possa portare la pensione al di sotto dell’importo calcolato col criterio contributivo: anche questa ognuno se l’è pagata. È riconosciuto anche nel contratto di governo (punto 26) dove la “maggiore equità sociale” è richiamata per il taglio “delle c.d. pensioni d’oro non giustificate dai contributi versati”. Il principio non può valere solo per le pensioni liquidate integralmente col criterio contributivo. Anche per le altre l’importo, liquidato con lo stesso criterio, gli interessati se lo sono pagato.

Al contratto tutte e due le formazioni di governo continuano a richiamarsi; dovrebbero farlo anche per le clausole, per così dire, a favore di terzo che hanno voluto inserirvi.

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