La crisi del governo Conte II: forme e tempistiche

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di Marco Cecili*

La crisi di governo che ci apprestiamo a seguire presenta, almeno nelle prime fasi, alcune interessanti questioni.

Il 25 gennaio sera è apparsa sul sito del Governo la “Convocazione del Consiglio dei ministri n. 94”, con il quale si preannunciava che “il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, comunicherà ai ministri la volontà di recarsi al Quirinale per rassegnare le sue dimissioni. A seguire, il Presidente Conte si recherà dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella”.

Queste dimissioni annunciate il giorno precedente rispetto all’effettiva presentazione rappresentano una distonia all’interno dei rapporti tra Governo e Presidente della Repubblica.

L’atto con il quale deve obbligatoriamente iniziare una crisi di governo è la presentazione delle dimissioni del Presidente del Consiglio dei ministri al capo dello Stato. Le dimissioni sono solitamente presentate dopo che il premier le ha comunicate al Consiglio dei ministri. Dopo le dimissioni il premier suole darne avviso alle Camere, che interrompono i propri lavori. Alcuni autori (Bozzi, 1960) hanno sostenuto che per le crisi “parlamentari” non sarebbero necessarie le dimissioni e il Presidente della Repubblica avrebbe l’obbligo di iniziare la procedura per la formazione del nuovo governo dopo il voto negativo sulla sussistenza del rapporto fiduciario in un ramo del Parlamento, ma tale ipotesi non è sostenibile (anche vedendo la prassi): è la presentazionedelle dimissioni che riconsegna al capo dello Stato il proprio ruolo di commissarie aux crises. Il Parlamento con il proprio atto di sfiducia verso il Gabinetto farebbe valere, utilizzando delle categorie privatistiche, un diritto relativo, in cui l’assemblea avrebbe una pretesa alle dimissioni, mentre l’esecutivo avrebbe un “obbligo di dimettersi”.

L’esercizio dei poteri presidenziali presuppone, in genere, un’attività preliminare o concomitante di carattere informativo-consultivo, in senso “prevalentemente recettivo”. Il Presidente della Repubblica è tenuto, cioè, a raccogliere quelle notizie, opinioni e pareri che possono concorrere a formare le sue valutazioni nel compiere le sue scelte, esercitare controlli, mediare, nell’attuare insomma, con piena cognizione di causa, i molteplici e differenziati interventi connessi all’adempimento delle sue funzioni.

In questa crisi le tempistiche sono state anticipate da un comunicato di Palazzo Chigi, che ha spostato il Quirinale dalla centralità che dovrebbe avere nella gestione delle crisi governative. Si è realizzata una lesione delle regole di correttezza costituzionale. La struttura della nostra Costituzione attribuisce al Presidente la gestione della crisi, che ne decide le tempistiche. Prima dell’annuncio di Zampetti delle dimissioni del Presidente Conte, erano stati già convocati i gruppi parlamentari e le conferenze dei Presidenti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato. La dichiarazione del Quirinale sulla crisi è stata politicamente irrilevante, il che stona con il quadro costituzionale e con le prassi in tema di crisi di governo.

Inoltre, la decisone di anticipare la volontà di dimettersi prima dello svolgimento del Consiglio dei ministri appare una scelta ultronea rispetto al ruolo di “primus inter pares” che ricopre il Presidente del Consiglio (e quindi poco corretta nei confronti dei ministri).

Il Presidente della Repubblica appare propenso a non accelerare la crisi e ciò pare confermato dal calendario delle consultazioni (di ben tre giorni). Rispetto al passato (ad esempio nel 2019 in un giorno e mezzo Mattarella terminò di ascoltare i consultati e il centro-destra si era addirittura presentato separato, a differenza di oggi), il Quirinale sta tentando di decongestionare la crisi, concedendo più tempo per tentare accordi tra i partiti. Probabilmente un incarico sarà conferito venerdì, in modo che l’incaricato possa sfruttare anche il fine settimana, con una crisi che durerà (“ufficialmente”) almeno una settimana. Va sottolineato, però, che Italia Viva ha ritirato le ministre lo scorso 13 gennaio (momento che non a caso il sito del Quirinale ha riportato nella pagina “Consultazioni 2021”) e Conte, dopo aver ottenuto la fiducia, ha atteso circa una settimana prima di dimettersi. La crisi potrebbe tenere banco, quindi, per più di 20 giorni. Tempo che è stato e sarà sfruttato per cercare di allargare la maggioranza.

Bisogna sottolineare che la costituzione del nuovo gruppo al Senato “Europeisti – MAIE – Centro Democratico” ha comportato la modifica del calendario delle consultazioni. Inizialmente, il Gruppo misto doveva essere sentito in maniera asimmetrica: a quello del Senato erano attribuite ben 2 ore (10:30-12:30), mentre a quello della Camera solo 45 minuti. Con la formazione del gruppo “Europeisti”, l’esigenza è cambiata e così è stato modificato il calendario. Certo è assai singolare una modifica ad un calendario già pubblicato, a seguito di un gruppo parlamentare nato a consultazioni già programmate.

Le considerazioni precedenti delineano il ruolo che il capo dello Stato si trova a svolgere: un contributo essenziale e insostituibile al recupero delle piene funzionalità del sistema. Egli deve poter vagliare le proposte di soluzione avanzate dai partiti, ma deve anche individuare i nodi problematici che rendono difficoltosa la ricomposizione di una maggioranza sufficientemente compatta. Viene così a delinearsi un vero e proprio “potere presidenziale della crisi”, in cui il capo dello Stato debba poter godere della più ampia discrezionalità possibile. Il capo dello Stato ha il compito di restaurare l’operatività del raccordo Governo-Parlamento e di conseguenza ha il dovere di superare le crisi politiche nel più breve tempo possibile e deve cercare di assecondare il coagularsi di una nuova maggioranza. Ma per fare tutto ciò è necessario che sia il Presidente della Repubblica a gestire le tempistiche della crisi e non Palazzo Chigi.

* Assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato presso l’Università di Firenze

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