Come da previsione, l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha determinato una serie di problemi complessi da risolvere. Sebbene l’arrivo dei vaccini rappresenti una “luce” in fondo al tunnel, emergono talune perplessità in ordine alla loro obbligatorietà e ai meccanismi di circolazione legati ad essi. Con riguardo al primo profilo, la dottrina prevalente iscrive nell’art. 32 Cost. il c.d. “principio della libertà del trattamento sanitario”. Dopo aver sancito, al comma 1, che la Repubblica italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, l’art. 32 Cost. prescrive al comma 2 che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. In aggiunta, anche per i trattamenti sanitari obbligatori, il “rispetto della persona umana” impone “limiti” inderogabili e irriducibili alla medesima legge, precludendo così qualsiasi intromissione motivata dall’esclusivo interesse della salute della singola persona.
A tale proposito, risulta sufficiente confrontare i disposti dell’ultimo periodo dell’art. 32 Cost. (“la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”) e del precedente (“nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”) con quello del primo comma (“la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”), per constatare che soltanto l’interesse collettivo potrebbe giustificare l’imposizione autoritativa all’uomo di un trattamento sanitario obbligatorio.
Di recente, tale considerazione ha trovato riscontro anche nelle dichiarazioni del Presidente della Corte costituzionale Giancarlo Coraggio (“la possibilità di trattamenti sanitari obbligatori è prevista dalla Costituzione, ma richiede una legge (…) Nelle nostre sentenze abbiamo scritto che, in primo luogo, serve la certezza dei dati scientifici, attestata dalle istituzioni sanitarie nazionali e internazionali competenti. In secondo luogo, è necessaria l’accertata responsabilità, per la tutela della salute e della vita dei cittadini, di un così pervasivo intervento”).
La questione odierna dell’obbligatorietà dei vaccini (sperimentati in meno di un anno con la speranza di debellare il Covid-19) chiama in “causa” il D.L. n. 73/2017, c.d. Decreto Lorenzin, con il quale furono resi obbligatori ben dodici vaccini per i minori di sedici anni. Con una pronuncia “epocale”, la Corte rigettava tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Veneto nei confronti di diverse diposizioni del decreto sopraindicato. La peculiarità di tale decisione risiede nella conferma da parte della Corte costituzionale del mancato contrasto dell’obbligo vaccinale con l’art. 32 Cost. (“la giurisprudenza di questa Corte in materia di vaccinazioni è salda nell’affermare che l’articolo 32 Costituzione postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività”). Occorre altresì ricordare che l’intervento normativo intendeva emanare disposizioni atte a “garantire in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette alla prevenzione, al contenimento e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica e di assicurare il costante mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica in termini di profilassi e di copertura vaccinale”.
Pertanto, se quattro anni fa, posizioni impositive sui vaccini trovavano giustificazione nella debole propagazione del morbillo, allo stato attuale la strada appare spianata. Tuttavia, la predetta questione suscita forti perplessità in termini di rispetto della dignità umana. A parere di chi scrive, tali dubbi dovrebbero essere spostati in ordine ai passaporti (o patenti immuno-sanitari), finalizzati a garantire il diritto di circolazione dei vaccinati rispetto ai non vaccinati. Da più di un anno, la dottrina affronta la tematica della violazione dei diritti costituzionali e dei principi fondamentali, evidenziandone la gravità.
L’introduzione di un passaporto vaccinale dovrebbe essere preceduta da un’attenta riflessione sulla portata, l’ampiezza e la temporaneità di restrizioni esclusive. Sulla base di tale modello, il Governo italiano ipotizza l’adozione di un passaporto che consenta la circolazione tra Regioni. Da tale scelta scaturirebbero conseguenze di natura non solo morale e sociale, ma anche economica. Gli oneri dei passaporti – a giudizio di chi scrive – potrebbero essere evitati (e investiti per ulteriori esigenze) sfruttando la tessera sanitaria, documento personale rilasciato a tutti i cittadini italiani aventi diritto alle prestazioni fornite dal Servizio nazionale sanitario (SNN).
Il sistema della differenziazione delle misure restrittive da regione a regione sulla base del colore, corrispondente al livello di rischio sanitario ravvisato nelle stesse, è stato introdotto dall’art. 2 del d.p.c.m. 2 novembre 2020. Tale meccanismo, dunque, necessita di essere analizzato e approfondito a livello normativo. La presenza di un passaporto vaccinale, dunque, scatenerebbe altri problemi, sommandosi a quelli esistenti aventi senz’altro assoluta precedenza (es. disoccupazione). L’ingresso di tale documento porterebbe poi alla nascita di due distinte categorie di cittadini: gli “immunizzati” e i “non immunizzati”. I passaporti vaccinali sarebbero rimedi tecnicamente preziosi, ma non giustificabili a livello giuridico, in quanto tali da compromettere il regime democratico-liberale. L’emergenza sanitaria da Covid-19 avrebbe dovuto offrirci preziosi insegnamenti. Alla luce di tale scenario, emerge un presente non così distante dal passato. Il riferimento è agli orrori del periodo bellico, dove i diritti fondamentali venivano “calpestati” drasticamente. All’epoca, la dignità umana era un valore sconosciuto e privo di riconoscimento. Oggi, è la stessa Costituzione, quale bussola inestimabile, a marcare la rilevanza ed il rispetto della stessa. Agli occhi dei cittadini, non è ancora chiaro quale sia la scelta migliore: guardare avanti, con l’intento di costruire un futuro più solido (lacerato dalla pandemia), o tornare indietro e rischiare di trasformare l’emergenza sanitaria in un’emergenza democratica senza possibilità di intervento. Tutto dipenderà dal peso che si vorrà attribuire alla “dignità”, un valore da riscoprire.