Tra green pass e norme Ue non c’è contrasto

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di Alessandro Gigliotti

Circola con forza, in questi ultimi giorni, la tesi secondo cui il noto green pass, la Certificazione verde COVID-19 rilasciata dal Ministero della Salute, sarebbe illegittimo per palese e macroscopica violazione di norme dell’ordinamento dell’Unione europ… in particolare del recente Regolamento (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2021 che disciplina le certificazioni a livello europeo. Altre tesi, anch’esse molto diffuse soprattutto nell’ambito dei social media, sostengono inoltre che il green pass non sarebbe obbligatorio e che pertanto i titolari di attività commerciali – in particolare i ristoratori – non sarebbero tenuti a richiedere ai loro clienti di esibirlo.

Le tesi suesposte, talvolta proposte come verità pressoché assolute ed incontrovertibili, non sono però fondate.

Occorre premettere, a scanso di equivoci, che chi scrive non intende sostenere in alcun modo l’assoluta legittimità costituzionale del green pass, o per meglio dire non intende escludere a priori che nell’attuale quadro normativo si possano ravvisare profili di incostituzionalità. Né tanto meno vuole esprime valutazioni in ordine alla sua opportunità, cosa che spetta ai decisori pubblici, sulla base delle indicazioni che pervengono dalle autorità sanitarie, le uniche in grado di valutare gli aspetti epidemiologici di ogni singola misura atta a contrastare l’emergenza in corso.

Obiettivo del seguente scritto è, semmai, dimostrare che alcune tesi in ordine ad una presunta incompatibilità tra diritto interno e diritto Ue non sono fondate.

Orbene, è opportuno anzitutto chiarire un primo aspetto: i green pass e le restrizioni disposte per i soggetti che ne sono sprovvisti sono due cose ben distinte, per quanto correlate.

Il cd. green pass è attualmente disciplinato ai sensi dell’art. 9 del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, il quale lo definisce come documento che comprova «lo stato di avvenuta vaccinazione contro il SARS-CoV-2 o guarigione dall’infezione da SARS-CoV-2, ovvero l’effettuazione di un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus SARS-CoV-2”. È quindi un documento, cartaceo o digitale, rilasciato dalle autorità sanitarie ai soggetti i quali: 1) abbiano completato il percorso vaccinale contro il virus SARS-CoV-2; 2) siano guariti dall’infezione causata dal medesimo virus; 3) abbiano effettuato un test molecolare o antigenico con esito negativo in ordine all’infezione dal richiamato virus.

Le restrizioni disposte per i soggetti sprovvisti di Certificazione verde sono invece successive e, nel dettaglio, sono state introdotte attraverso l’art. 3 del decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, attualmente all’esame della Camera dei deputati per la conversione in legge. L’art. 3 ha novellato il già citato decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, introducendo un nuovo art. 9-bis, il quale dispone che, a decorrere dal 6 agosto 2021, nelle zone bianche l’accesso a determinati servizi ed attività è consentito esclusivamente ai soggetti muniti delle Certificazioni verdi: si tratta, tra l’altro, di servizi di ristorazione al chiuso, spettacoli aperti al pubblico, musei e mostre, piscine e palestre, sagre e ferie, convegni e congressi, centri termali, centri culturali e sociali, sale gioco e concorsi pubblici.

L’art. 9-bis, peraltro, precisa espressamente che le restrizioni non si applicano né ai soggetti esclusi per età dalla campagna vaccinale – al momento, i soggetti minori di 12 anni – né a coloro i quali siano esenti dalla medesima campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica. In sostanza, le restrizioni si applicano solo ai soggetti che sono in condizione di vaccinarsi e non anche a coloro che, per le ragioni di cui si è detto, non sono coinvolti dalla campagna vaccinale e, pertanto, non hanno modo di ottenere il green pass (salvo sottoporsi a test molecolare o antigenico o essere guariti dall’infezione).

La necessità di mettere l’accento sulla distinzione tra Certificazioni verdi e restrizioni, apparentemente irrilevante se non addirittura bizantina, apparirà chiara tra un momento. Una delle tesi sostenute da coloro che lamentano l’illegittimità del green pass, infatti, si basa su una disposizione recentemente introdotta dal decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, che modifica il comma 8 dell’art. 9 del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, al fine di precisare che «le disposizioni dei commi da 1 a 8 continuano ad applicarsi ove compatibili con i regolamenti (UE) 2021/953 e 2021/954». Da qui la conclusione secondo cui il green pass sarebbe incompatibile con il regolamento (UE) 2021/953 e quindi illegittimo, tenuto conto del considerando n. 36 il quale recita nel seguente modo: «È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate. Pertanto il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l’uso di uno specifico vaccino anti COVID-19, non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto. Inoltre, il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati».

La tesi sarebbe in sostanza questa: dal momento che il green pass si applica solo ove compatibile con il regolamento UE, e dal momento che detto regolamento prevede espressamente che non si possano fare discriminazioni nei confronti dei soggetti che hanno scelto di non vaccinarsi, ecco che il pass si rivelerebbe non obbligatorio o addirittura illegittimo.

Tuttavia, il sillogismo non regge. Anzitutto, per il semplice fatto che la disposizione normativa secondo cui «le disposizioni dei commi da 1 a 8 continuano ad applicarsi ove compatibili con i regolamenti (UE) 2021/953 e 2021/954» si riferisce ai primi otto commi dell’art. 9 del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52. Si riferisce cioè alle disposizioni normative che disciplinano le Certificazioni verdi (art. 9) e non già a quelle che prevedono restrizioni nei confronti di chi non ne sia in possesso (art. 9-bis). La distinzione è dirimente.

Pertanto, sono le norme che attualmente dispongono a quali soggetti possa essere conferito il green pass, nonché la durata della certificazione (9 mesi per i vaccinati, 6 mesi per i guariti e 48 ore per chi si è sottoposto a tampone) e l’equivalenza con le analoghe certificazioni rilasciante da Stati Ue o extra-Ue ad essere applicabili solo ove compatibili con le disposizioni contenute nel citato Regolamento (UE) 2021/953, che detta norme in tema di rilascio, verifica ed accettazione dei Certificati COVID-19 al fine di agevolare la libera circolazione da parte dei loro titolari, nonché nel coevo Regolamento (UE) 2021/954, che dispone l’applicazione delle norme sulle Certificazioni anche ai cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti o residenti nel territorio degli Stati membri. Non le norme in tema di restrizioni all’accesso a servizi o attività.

In secondo luogo, il sillogismo si rileva fallace ove sin consideri che il divieto di discriminazione, di cui al “considerando” n. 36, si riferisce agli spostamenti tra Paesi europei e non a quelli all’interno dei medesimi, in quanto l’obiettivo è tutelare la libera circolazione dei cittadini in ambito europeo e non già, come si potrebbe erroneamente pensare, all’interno dei territori dei singoli Stati.

Il testo del “considerando”, chiamato impropriamente in causa, richiama peraltro il solo certificato di vaccinazione – e non anche quelli di guarigione e di test – e precisa che questo «non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri». In sostanza, gli Stati membri non devono – rectius, non dovrebbero – fare in modo che il certificato di vaccinazione costituisca condizione per circolare tra gli Stati europei o per utilizzare i mezzi di trasporto transfrontalieri. Nulla a che vedere, come si può notare, con le restrizioni disposte dal recente decreto-legge.

A quanto detto si aggiunga inoltre che l’art. 11 del Regolamento (UE) 2021/953 precisa che resta «salva la competenza degli Stati membri di imporre restrizioni per motivi di salute pubblica» e prevede che, qualora gli Stati accettino le Certificazioni verdi, non debbano imporre ulteriori restrizioni alla libera circolazione, quali ulteriori test, quarantena o isolamento, che non siano necessarie e proporzionate al fine di tutelare la salute pubblica. Il che significa che, ove le condizioni peggiorassero, anche i cittadini europei dotati di certificazioni potrebbero essere soggetti ad ulteriori restrizioni.

Inoltre, il medesimo art. 11 prevede che, qualora uno Stato membro imponga ai titolari di Certificazioni verdi di sottoporsi a test, quarantena o isolamento dopo l’ingresso nel suo territorio, o qualora imponga altre restrizioni ai titolari delle certificazioni perché, per esempio, la situazione epidemiologica è peggiorata, lo Stato stesso debba informare la Commissione e gli altri Stati membri, se possibile 48 ore prima dell’introduzione di tali nuove restrizioni. Insomma, le restrizioni non soltanto non sono vietate, ma sono addirittura consentite.

In definitiva, chi sostiene che il green pass non sia obbligatorio o addirittura che sia illegittimo per contrasto con le norme Ue giunge a conclusioni inesatte.

Quanto al primo aspetto, sebbene il pass non sia effettivamente obbligatorio in senso assoluto, va evidenziato che esso è obbligatorio per accedere a musei, palestre, ristoranti al chiuso e via dicendo, salvo nel caso di soggetti esclusi, per ragioni mediche o di età, dalla campagna vaccinale.

Quanto al secondo, occorre osservare che la presunta illegittimità – delle restrizioni, più che del pass in quanto tale – viene dedotta da una disposizione che si riferisce alle modalità di concessione del pass e non alle restrizioni per chi ne è sprovvisto, nonché da una disposizione del regolamento (UE) 2021/953, contenuta in un “considerando”, che si riferisce agli spostamenti transnazionali e non a quelli interni al territorio di un singolo Stato. Con il che non si vuole asserire, come già detto, che le restrizioni disposte dal recente decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, siano senza ombra di dubbio conformi al quadro costituzionale, ma semplicemente che i profili di incostituzionalità di cui si parla insistentemente, e di cui si è parlato in questo articolo, non sono fondati.

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30 commenti su “Tra green pass e norme Ue non c’è contrasto”

  1. Studiato male, mi dispiace per lei, ma la devo sonoramente bocciare. Si ripresenti più in là e ristudi bene il Regolamento. Chissà perché tutti i saccenti pro lasciapassare ignorano il considerando fondamentale per attestare l’ illegittimità del decreto italico, che non è il 36.

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  2. L’art.32 della Costituzione ne stabilisce libertà di scelta terapeutica sanitaria. Quindi, è vero che le leggi si possono interpretare, ma appare chiaro che vi è un tentativo estremo di prevaricazione costituzionale attraverso l’imposizione di un regolamento europeo che non può essere interpretato ma, anche, che lo stesso regolamento 953 non può in alcun modo sostituirsi allo stesso articolo Costituzionale annullando completamente lo stesso. Libertà e democrazia sono fondamentali per la vita e, questi, vanno obbligatoriamente applicati dal legislatore.

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    • Signor Francesco, se non erro l’art. 32 della Costituzione prevede che per motivi sanitari ed interesse collettivo, mediante l’approvazione di una legge ad hoc, possa imporre un obbligo, nel nostro caso trattasi di obbligo vaccinale.
      Mi sembra anche che un DPCM non sia una legge e nemmeno un DL, ma un decreto che è valido in quanto si è in regime di “emergenza”.
      Mi chiedo spesso: cos’è che impedisce al Governo di presentare in Parlamento un DdL o DL che imponga questo obbligo?
      Non sarà che nessuna delle nostre forze politiche, ne tantomeno il Governo si vogliono prendere la responsabilità di questa decisione?
      Da ciò se ne deduce che il Green Pass non sia, come detto una semplice attestazione di termine ciclo vaccinale, ma l’applicazione burocratica di un obbligo non sancito.
      Ma se questa applicazione burocratica limita le libertà del singolo cittadino e non si è in presenza di un obbligo legislativo forte è il sospetto che questa decretazione governativa sia anticostituzionale.
      Questo non è un sillogismo, ma semplice constatazione deduttiva.

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  3. Si deve quindi intendere, secondo l’interpretazione data nell’articolo, che la mobilità all’interno di uno stato membro può essere limitata mentre si stigmatizza il diritto di mobilità a livello europeo di chi ha deciso di non vaccinarsi solo nell’atto di passare da uno stato all’altro? Ovvero, come cittadino europeo mi si garantisce il diritto a non vaccinarmi per usufruire della mia mobilità tra stati, diritto non riconosciuto come cittadino italiano nel circolare liberamente?

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    • Tanta semplificazione rischia il continuo cortocircuito, faccia un po’ di attenzione. Il green pass non limita affatto la libertà di circolazione, ma semmai l’accesso ad un serie (sempre più ampia) di luoghi. Non è la stessa cosa.

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      • Mi scusi, se potesse chiarirmi un dubbio in merito a questo suo commento specifico.
        Lei sostiene che non vi siano discriminazioni e che non venga limitata affatto la libertà di circolazione.
        Quindi le chiedo:
        al momento per volare occorre il super green pass, ottenibile solo con certi requisiti ( guarigione o vaccino ).
        Un non vaccinato, nel nostro Paese, se volesse prendere oggi un aereo per Bruxelles non potrebbe farlo ( a differenza di una persona guarita, e dunque munita di green pass ).
        E allora come può Lei sostenere che questa non sia una norma discriminatoria e che limita ( di fatto ) la libera circolazione delle persone?
        Grazie per un’eventuale risposta.

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  4. Buongiorno, la ringrazio per l’esauriente quadro normativo riportato e commentato. Premesso che non ho approfondito la normativa in materia e che mi baso unicamente su ció che ho letto nel suo articolo, vorrei far notare quanto segue: 1) il Regolamento Europeo é direttamente applicabile negli stati membri quindi il riferimento del dl 52/2021 ai soli primi 8 commi del Regolamento europeo, credo sia ininfluente consistendo in una norma gerarchicamente inferiore al regolamento europeo stesso (cui dovrebbe adeguarsi e non contrastare a prescindere). Non credo che una legge ordinaria possa ad esempio stabilire quando applicare o non applicare la costituzione, per fare un parallelismo forse un po’ infelice ma che rende l’idea. Quindi se la norma nazionale é in contrasto con il regolamento, lo é a prescindere e non limitamente alla parte in cui ha prestabilito di aderire alla normativa comunitaria; 2) nel regolamento si fa riferimento a discriminazioni dirette ed “indirette” e “o hanno scelto di non essere vaccinate”. Ritengo che una norma che limiti la libertá di circolazione sulla base di un certificato verde che distingue chi si é vaccinato (o ha contratto il virus o abbia eseguito tampone) da chi no, anche nel caso ció sia frutto di una libera scelta, costituisca una discriminazione “indiretta” (clausola aperta e pertanto ampia, come casistica) espressamente vietata dalla norma. 3) per quanto riguarda infine l’argomento che il regolamento si riferisca ad un aspetto specifico, consistente nella circolazione fra gli stati membri, escludendone l’applicazione per la normativa relativa alla circolazione interna agli stessi mi sembra eccepibile almeno da un punto di vista di potenziale efficacia della stessa normativa. Avremmo l’assurdo di garantire spostamenti fra paesi membri, vanificati da restrizioni interne ai paesi che non consentono ad esempio gli spostamenti fuori comune, per estremizzare volutamente l’esempio, sulla base di una certificazione che costituisce una discriminazione indiretta, come giá argomentato, fra vaccinati e non. A maggior ragione ritengo costituisca discriminazione, nel contesto normativo attuale, la recentissima limitazione del diritto al lavoro. Purtroppo, sulla base delle scarse informazioni a mie mani, non posso andare oltre con il mio ragionamento che spero verrá da Lei apprezzato, anche se non condiviso. Grazie in anticipo per eventuali Sue ulteriori considerazioni in merito. Distinti saluti.

    Rispondi
      • Voglio restare educato, anche se il tenore della sua risposta denota maggior compatibilitá a risposte di livello ben differente e certamente non piú alto. Le scarse informazioni si riferiscono alla lettura limitata all’articolo suesposto…forse le mie conoscenze ne gioverebbero informandomi altrove, visto il suo giudizio negativo in merito. Nella lingua italiana ma anche giuridica le “discriminazioni indirette” sono “discriminazioni indirette”. Sente il bisogno di manifestare la sua posizione “elevata”, forte del fatto che di mestiere studia il sistema giuridico ma, nonostante le sue proprie ampie conoscenze giuridiche -come lei stesso tiene a sottolineare nei commenti e link precedenti – ha preferito non rispondere ed argomentare nel merito sul punto in questione (significato di “discriminazioni indirette” e riferimento ai commi da 1 a 8 per la conformitá, come da mio precedente commento). Infine concludo con un’ultima osservazione, tornando probabilmente al principio: sminuire il proprio interlocutore, nonostante quest’ultimo abbia dimostrato educazione e civiltá nella discussione, pur non condividendo minimamente la tesi contestata, é solo sintomo di grande debolezza, quantomeno argomentativa. Distinti saluti.

        Rispondi
  5. Gentilissimo,
    provo a rispondere alle questioni da Lei poste:
    1) di principio non posso che darLe ragione, il diritto dell’UE prevale sul diritto nazionale ma poi questo principio va contestualizzato. Nel caso specifico, la norma è stata introdotta per evidenziare il nesso esistente tra le disposizioni interne in materia di green pass (art. 9 citato nel testo) e quelle europee che dettano una disciplina generale del medesimo. Le norme interne sono fortemente legate a quelle europee e non sono cedevoli, o per meglio dire in questo caso non ci troviamo di fronte a norme europee direttamente applicative che determinano la disapplicazione (o la non applicazione) delle norme interne incompatibili, bensì a norme di principio che necessitano di esecuzione/attuazione da parte della fonte interna. Un po’ come avviene nel caso delle direttive. Forse potremmo concludere che la disposizione secondo cui “i commi da 1 a 8 si applicano in quanto compatibili con il regolamento UE” non era del tutto indispensabile, se ne poteva fare a meno insomma, ma il punto è che molti la interpretano in modo non corretto e ne deducono l’illegittimità delle restrizioni disposte dall’art. 9-bis (e a questo punto anche dagli articoli seguenti, introdotti in seguito). Ma appunto si tratta di una lettura completamente fuorviante di quella disposizione ed è questo quello che ho provato a spiegare. Che poi il diritto Ue prevalga sul diritto interno è ovvio, nessuno lo nega.
    2) Non credo che si possa parlare di discriminazione, neppure indiretta, visto che il pass si può ottenere anche con un semplice tampone antigenico e quanto meno per attività come ristoranti, convegni, eventi o trasporti di lunga percorrenza mi pare un buon compromesso.
    3) Mi pare che qui ci sia un equivoco di fondo: il regolamento Ue dice che la vaccinazione non deve divenire un requisito indispensabile per spostamenti tra Stati, mentre le norme nazionali disciplinano situazioni completamente diverse e non prevedono alcun obbligo vaccinale (se non per gli operatori sanitari). Si può essere contrari alle restrizioni per chi non possiede il green pass, ma da questo a dire che tali restrizioni siano lesive di norme costituzionali o siano in contrasto con norme europee ce ne corre. Non tutto ciò che non piace è per ciò stesso incostituzionale.
    Un cordiale saluto, AG

    Rispondi
    • Salve,
      solo un piccolo appunto sul punto n.2 “Non credo che si possa parlare di discriminazione, neppure indiretta, visto che il pass si può ottenere anche con un semplice tampone antigenico e quanto meno per attività come ristoranti, convegni, eventi o trasporti di lunga percorrenza mi pare un buon compromesso.”, a me sembra proprio discriminazione, il vaccino, che non è obbligatorio ma con responsabilità sul singolo, è gratuito mentre il tampone ha un costo di 15€.
      Forse può essere un compromesso per eventi occasionali, ma quando parliamo di “Lavoro” non parliamo di un evento occasionale, pagare 15€ ogni 2 giorni per lavorare mi sembra proprio estorsione. O ti fai il tampone a pagamento o ti fai un vaccino che non è obbligatorio e ti prendi pure la responsabilità, (con i tamponi gratuiti ci sarebbe stato un reale compromesso accettabile).
      L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Ma se vuoi lavorare hai bisogno del green pass e devi pagare il pizzo per lavorare.

      Rispondi
  6. OK Ammesso e non concesso che sia giusto questo ragionamento ma da articolo 11 se uno stato membro vada ad attuare restrizioni maggiori lo fa su cosa?
    Le fa su quelle per cui il green pass europeo è nato e prevede cioè la libera circolazione oppure introduce nuove e differenti tipologie di restrizioni quali come quella di non poter accedere a un locale pubblico o addirittura sul luogo di lavoro?
    Se la natura del green pass europeo non prevede tali applicazioni come si può utilizzare lo stesso strumento per fare tutt’altra cosa?
    Secondo me le ulteriori restrizioni interne dovrebbero essere quelle che vanno a incidere in maniera diretta o indiretta su quelle già considerate dal green pass europeo e non ha senso introdurne delle nuove tipologie a questo punto gli stati dovrebbero semplicemente instituire un sistema slegato con altro nome e significato perchè anche la natura delle motivazioni cambierebbe totalmente a livello sanitario la motivazione sanitaria che induce a non poter accedere ad un locale è diverso da quella dello spostamento tra paesi europei.
    Se mi sposto da casa ed vado al lavoro a 100m magari con tre colleghi che incontro pacificamente ogni giorno a casa mia è diverso dall’andare in belgio facendo uno spostamento di 1200 km!
    Allora le maggiori restrizioni a cui potrebbero essere soggetti i detentori di green pass europeo sarebbero ad esempio se la mia regione fosse in zona rossa ma non il fatto che qui in italia il green pass lo utilizziamo anche per andare dal barbiere!
    Cioè la norma che mi vieta di andare dal barbiere non dovrebbe avere nulla a che fare con il green pass europeo

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  7. “Il green pass non limita affatto la libertà di circolazione, ma semmai l’accesso ad un serie (sempre più ampia) di luoghi.” è così che ha detto, bene allora le comunico che lei “sragiona”.
    ”Sragiona” visto che il green pass limita e come la libertà di circolazione e come lei ha detto, la libertà di circolare vuol dire anche libertà di accedere a determinati luoghi in quanto circolando io posso spostarmi e accedere a un luogo piuttosto che a un altro.
    ”L’esercizio del diritto di libera circolazione” come sottolinea il considerando n.36 ovvero la motivazione che spiegano le norme di una sentenza, vuol dire esercitare il proprio di diritto a circolare, ovvero a muoversi, spostarsi da un luogo ad un altro ovvero ad andare ovunque si voglia.
    Perciò se lei dice ”Il green pass non limita affatto la libertà di circolazione, ma semmai l’accesso ad un serie (sempre più ampia) di luoghi,” è una frase che implica già una limitazione, perchè se il green pass limita l’accesso ad una serie di luoghi vuol dire che sta già limitando la mia libertà di circolare che lei nega si stia verificando.
    Forse lei con l’Italiano ha qualche difficoltà.

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  8. Osservazione a quanto rappresentato nel commento di Alessandro Gigliotti. Egr. mi corre rappresentarle che quanto da lei scritto al punto 2) appare per diverse ragioni che adesso le riferirò, fuorviante per quanto riguarda quanto trattato negli altri commenti. Il “semplice tampone”, da lei così definito, deve essere effettuato da soggetti sani in luoghi dove è chiaro che debba invece stazionare gente che ha necessità fondate di verificare di essere stata infettata, in quanto a contatto con soggetti positivi, o malati, o perché hanno sintomi e necessitano di approfondimento clinico per confutare di essere infetti o meno. Disporre una norma, a mio avviso non solo incostituzionale (farei prima a indicare gli artt. Coi quali non va in conflitto) e comunque non rispettosa del regolamento UE di che trattasi e non ultimo con le norme dell’OMS (che stabiliscono che i soggetti asintomatici, quindi sani, non debbano effettuare test quali tamponi per non ingenerare falsi positivi che inficino lo studio e l’evolversi dei dati riguardanti la Pandemia). Sempre sui “semplici tamponi” si deve precisare che effettuare continuamente tamponi molecolari naso-faringei che pare siano i più attendibili, da effettuarsi ai fini del rilascio dell’altrettanto obbligatorio certificato verde, non solo viola l’art.32 imponendo di fatti un obbligo coercitivo per il quale, come per il vaccino, non è stata fatta un’apposita legge (a differenza del vaccino per il quale non è stata fatta una legge in quanto trattasi di farmaco sperimentale, nel caso dei tamponi poteva essere disposta una apposita legge cosa che invece non è stata fatta lasciando quindi libera la scelta di sottoporsi o meno). Non è da meno evidenziare che il tampone se praticato così frequentemente da persone costrette ad esibirlo a lavoro, si troveranno ben presto a subire lesioni e infiammazioni del cavo naso-faringeo. Tutto ciò detto si rende necessario per soddisfare una psicosi burocratica che nulla ha a che vedere con situazioni di carattere sanitario. Da tempo ormai sono stati definiti i protocolli efficaci ai fini della limitazione del contagio, ossia, distanziamento, mascherine, lavarsi le mani, controllo della temperatura corporea ed evitare di uscire di casa se in preda a sintomi quali raffreddore tosse etc etc. Tali Misure potrebbero essere allentate in assenza o scarsa circolazione del virus anche senza l’istituzione di strumenti quali GP o altre certificazioni che violano la privacy. Certo di aver contribuito ad approfondire il dibattito porgo distinti saluti

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    • Gentilissimo,
      mi limito a due considerazioni:
      – non ho ben chiaro se, a suo avviso, oggi sussista o meno un “obbligo di tampone”, visto che da un lato ne lamenta l’esistenza ma subito dopo lamenta il fatto che una legge che ne preveda l’obbligo non è stata approvata. Ad ogni modo, se anche si volesse parlare di un (presunto) obbligo di effettuare un tampone ogni 48-72 ore per recarsi sul posto di lavoro, si tratterebbe di un obbligo pienamente legittimo, in quanto – non dimentichiamo – l’art. 32 della Costituzione consente i trattamenti sanitari obbligatori purché previsti per legge. E per l’appunto le disposizioni in ordine all’obbligo di green pass sui luoghi di lavoro, introdotte dal decreto-legge 127/2021, dalle quali mi pare di capire che lei deduca un “obbligo di tampone”, sono contenute in una fonte primaria equiparata alla legge
      – i vaccini autorizzati in Europa da EMA (e in Italia da AIFA) per contrastare la diffusione del virus SARS-CoV-2, a differenza di quanto molti continuano a pensare, non sono sperimentali. E soprattutto non lo sono mai stati, in quanto le autorizzazioni sono state deliberate solo dopo la conclusione della sperimentazione

      Rispondi
    • Gentilissimo,
      purtroppo molti di noi cadono in un equivoco. Come ho scritto nell’articolo e in alcuni commenti, le norme europee che stiamo commentando – e più in generale buona parte delle norme dell’UE – sono focalizzate sulla tutela della cd. libertà di circolazione delle persone, uno dei pilastri del Trattato di Maastricht del 1992 con il quale nasce l’Unione europea stessa.
      Senza pretesa di riassumere in poche righe i complessi principi su cui si fonda l’ordinamento dell’UE, va detto che l’obiettivo del Trattato di Maastricht era favorire la creazione di un “mercato unico”, cioè una forma di integrazione politica ed economica molto avanzata tra Paesi finalizzata alla crescita economica. Per farlo, era necessario riconoscere e tutelare una serie di “libertà di circolazione”: quella delle persone, ivi inclusi i lavoratori, quella dei servizi, quella delle merci e quella dei capitali. Sono le quattro libertà di circolazione su cui si fonda buona parte dell’impianto dell’UE. Le diamo per scontate, ma così in realtà non è: basti pensare alla differenza che esiste tra fare un viaggio in Francia o Spagna e farne uno diretto verso un Paese extra-UE.
      Ciò premesso, gli atti che stiamo commentando sono finalizzati ad evitare che gli Stati membri possano adottare delle disposizioni che, pur basate sull’esigenza di contrastare l’emergenza epidemiologica, vadano a ledere la libertà di circolazione delle persone tra Stati. Il regolamento deve essere letto in quest’ottica: il “considerando” n. 36 dice appunto che “il possesso di un certificato di vaccinazione […] non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri”. Libera circolazione delle persone tra Paesi membri dell’UE, appunto, che non può essere condizionata al fatto di essere vaccinati. Il “considerando” n. 14 dice invece che il green pass non “non dovrebbe essere inteso come un’agevolazione o un incentivo all’adozione di restrizioni alla libera circolazione o di restrizioni ad altri diritti fondamentali, in risposta alla pandemia di COVID-19, visti i loro effetti negativi sui cittadini e le imprese dell’Unione” e che “non dovrebbe comportare ulteriori restrizioni alla libertà di circolazione all’interno dell’Unione o restrizioni ai viaggi all’interno dello spazio Schengen”. Come si può notare, l’obiettivo del legislatore europeo è evitare che il green pass possa limitare la libertà di circolazione tra Paesi dell’UE, con ripercussioni negative sul mercato unico il quale presuppone, appunto, un elevato livello di integrazione sociale ed economica tra i Paesi membri. Livello di integrazione che sarebbe fortemente compromesso qualora gli Stati membri vietassero o limitassero in modo considerevole la circolazione a livello europeo di persone e lavoratori.

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      • Perche il Regolamento in questione non sarebbe direttamente applicativo?
        E poi non è chiaro cosa significhi”all’interno”, potrebbe anche volere dire in tutto il territorio dell’Unione, ovunque quindi,e non solo tra un confine e l’altro.

        Rispondi
  9. Buongiorno Prof. Bin, vorrei esprimere un concetto e verificare il suo valore: per quale motivo un non vaccinato, che non ha violato nessun obbligo di legge, deve essere discriminato nell’accesso a determinati luoghi cioè deve vedersi limitato il proprio diritto fondamentale di circolazione avendo solo espresso una scelta facoltativa?grazie

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  10. IL G.P. è una misura politica e non medica, sta di fatto che i vaccinati possono infettarsi ed infettare ugualmente e dunque questo pass non garantisce l’assenza di contagio, inoltre gli scienziati non hanno saputo dare una durata agli anticorpi creati da vaccino o guarigione poiché variano da soggetto a soggetto e i politici si sentono capaci invece di stabilirne una durata, come mai? tra l’altro completamente errata! I migliori medici sostengono che gli anticorpi creati dalla malattia stessa dunque quelli naturali siano più resistenti in termini di durata e più capaci in termini di forza di contrastare il virus e varianti dello stesso. motivo per cui non si capisce perché ai termini di durata del vaccino, siano stati attribuiti tempi più lunghi, rispetto a quelli derivati dalla guarigione naturale. è chiaro come si stia tendando di istigare le persone alla vaccinazione, indirettamente e senza assunzione di responsabilità. in quanto posta in questa maniera, sarebbe la soluzione più facile e sbrigativa per la popolazione. concludo dicendo che i Regolamenti sono direttamente applicabili nei paesi dell’unione in TUTTE le sue parti. quindi se ne deduce anche nei considerando. non vi sarebbe motivo di scriverli altrimenti se non per consumare inchiostro in eccesso.
    Inoltre ricordo che abbiamo superato la immunità di pecore (cosi come in altre nazioni europee nei quali il G.P. non è stato attuato, decaduto o rinnegato) che il governo voleva, dunque perché stanno continuando a tenerci vincolati da provvedimenti e decreti inutili? sembra che stiano marcando troppo la mano e approfittando della loro posizione per abusare del loro potere.
    Riflettiamo.
    Grazie.

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  11. mi corregga se sbaglio : l’art. 32 della costituzione ammette la possibilità di imporre un trattamento sanitario se vantaggioso per la comunità, ma dice anche che non si può mettere a rischio la salute del singolo nel nome di quella della collettività. Vorrei, inoltre, fare presente che quelli che vengono impropriamente chiamati vaccini covid possiedono una autorizzazione in via emergenziale, ovvero perchè non esistono medicinali specifici riconosciuti e la cui sperimentazione non finirà prima del 2023. Tornando all’art. 32, non mi sembra che consenta l’obbligo di sperimentazione, tanto meno di preparati di cui nessuno conosce gli effetti a medio e lungo termine, che non immunizza dal virus e consente, da “vaccinati” di infettarsi e di infettare esattamente come i non vaccinati ( dichiarazione di Fauci esperto USA). da tutto questo si desume la inutilità del green pass italiano e la discriminazione ingiustificata della popolazione!

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  12. Buongiorno,
    ma l europarlamentare on Sergio Berlato ha presentato un’interrogazione circa l’uso improprio e discriminatorio che ne sta facendo l’Italia e dalla risposta data dall’EU mi pare che il green pass italiano non rispetti i dettami della normativa europea.. quindi non sarebbe da rivedere un po’ tutto? O non importa nulla del parere dell Unione Europea? Grazie

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  13. chiedo da ignorante , può essere che il green pass violi tutto questo , o no??

    Costituzione Italiana art. 1, 2, 3, 4, 10, 13, 16, 17, 32
    Normativa Europea 953-954/2021
    Regolamento europeo sulla Privacy n. 679/2016
    Sentenza Corte europea 4-12-2018
    C.P. Art. 604 bis
    RISOLUZ. N.2361/2021
    CONV. DI OVIEDO
    ???
    grazie

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  14. Titolo un po’ confuso, perchè usa il termine “green pass” per indicare un coacervo di decreti italiani tesi ad impedire la vita a chi non si sottopone ai cosiddetti “vaccini” covid. Eppure la normativa europea dichiara ripetutamente “lo scopo di agevolare l’esercizio del diritto di libera circolazione”. Direi che il contrasto è vistoso.
    Ho letto con interesse l’articolo, ma dal confronto con i testi mi appare come se i legislatori italiani avessero letto la normativa europea e avessero cercato di aggirarla; una normativa che dispone come “circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri” viene usata per fare il contrario. La logica usata, se si trattasse di circolari amministrative di infimo livello, potrebbe essere accettabile, anche se mi sembrerebbe un lavoro da Azzeccagarbugli. Presentarla come discorso costituzionale mi appare arduo, perchè nelle leggi esiste una gerarchia e tale gerarchia in ambito costituzionale non è un dettaglio.

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