I silenzi e le contraddizioni dei costituzionalisti conservatori

di Stefano Ceccanti
Dopo vari giorni di silenzio il fronte del costituzionalismo conservatore, che si era eccitato contro la riforma costituzionale, viene rotto da un’intervista odierna di Gustavo Zagrebelsky a “la Repubblica”. Essa contiene molte affermazioni condivisibili, pur in ritardo e nonostante toni decisamente più misurati rispetto alle critiche alla riforma del 2016, che era in realtà molto meno discontinua con la nostra Costituzione rispetto agli interventi previsti oggi.

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MALTA
La cittadinanza maltese (e quella europea) è in vendita?

di Claudio Di Maio

Negli ultimi mesi del 2013, il governo de La Valletta ha annunciato la creazione di un Programma individuale per gli investimenti (IIP) con l’obiettivo di attrarre soggetti interessati a realizzare un impegno economico di medio o lungo periodo all’interno del sistema finanziario maltese. Una scelta di politica economica che in sé non desta alcuna meraviglia, se si considera il quadro internazionale di crisi finanziaria di quel periodo.

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Governance finanziaria europea. Prove generali di un accordo Franco-Tedesco?

di Andrea Pisaneschi *

In un Italia tutta presa dalle elezioni politiche e dai problemi post-elettorali, è passato quasi inosservato un documento del gennaio di questo anno, sulla riforma dell’Eurozona, denominato Reconciling risk sharing with market approach: a constructive approach to euro area reform.

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Delocalizzare (non) stanca: il caso Embraco e la vibrante protesta del ministro

di Andrea Guazzarotti*

Un ennesimo caso di delocalizzazione nell’UE: la multinazionale Embraco ha deciso di spostare la produzione dal Piemonte in Slovacchia, ove il costo del lavoro è pari a meno della metà che in Italia. Il Ministro Calenda, già fervente sostenitore del TTIP, trova qualcosa da obiettare per la strategia opportunistica dell’impresa (la quale, negli anni di stabilimento in Italia, ha già beneficiato di cospicui finanziamenti statali).

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A Christmas Carol: il mercato si scopre buono (e la Sinistra con un programma politico)

di Roberto Bin

Non è vero che il mercato sia necessariamente senza cuore, naturalmente insensibile ai bisogni della gente – se non per ciò che riguarda i consumi e i consumatori. Anzi, il mercato non è nulla “necessariamente”, non esiste come dimensione naturale. È un’istituzione artificiale, come tutte le altre istituzioni umane, edificata e organizzata da un insieme assai affollato di regole poste dai poteri pubblici (come spiega un libro fondamentale e profetico scritto da K. Polanyi nel 1942: La grande trasformazione). Il problema è: chi detta queste regole?

La storia dell’integrazione europea è esemplare. Ci mostra con chiarezza come viene costruito un mercato – il “mercato interno” – attraverso la produzione incessante di regole. La libertà dei mercati dipende dal diritto: il laissez-faire è solo una distorsione farsesca di ciò che il mercato è e richiede per funzionare a dovere. Per cui è il sistema delle regole che fa del mercato il mercato, e questo sistema può tranquillamente comprendere anche i diritti. Ed è ciò che in parte è successo. Ben prima che l’Atto unico (1987) e i trattati successivi riconoscessero queste competenze alle istituzioni comunitarie, esse avevano varato una quantità di norme, spesso molto avanzate (sicuramente più avanzate della legislazione d’Italia, che infatti ha arrancato con difficoltà per adeguarsi) per assicurare ai cittadini la tutela di diritti ben lontani dal clou della politica di mercato: l’ambiente e la tutela della salute da ogni forma di inquinamento, la protezione della sicurezza dei consumatori, l’assistenza previdenziale e sanitaria dei lavoratori transfrontalieri, la non discriminazione ecc. Progressivamente tutta una serie di beni e di interessi che noi potremmo tranquillamente rubricare come “diritti fondamentali” sono diventati oggetto di accurata disciplina europea. Si noti: non in forza di uno specifico titolo di competenza, ma esclusivamente per regolare la concorrenza e il mercato. Il mercato e la concorrenza – si è pensato – non possono svolgersi a danno della sicurezza dei cittadini e neppure consentendo alle imprese di qualche Stato permissivo di scaricare sulla collettività i costi ambientali e sanitari derivanti dalla produzione; altrettanto intollerabile è sembrato ad un certo punto che la libera circolazione delle imprese si svolgesse a detrimento della sicurezza dei lavoratori e della loro protezione pensionistica. Ecco che per regolare il mercato e per impedire alle imprese di vincere la concorrenza tagliando i “costi” relativi ad alcuni beni collettivi, si è progressivamente riempito lo spazio europeo di regole sempre più incisive.

Perché si siano scelte queste voci di intervento e non si siano inclusi altri diritti da proteggere (per esempio, il livello salariale minimo, la sicurezza del posto di lavoro, la protezione sindacale, l’età della pensione e il relativo trattamento, le misure di tutela della maternità, il livello dei servizi sociali alla famiglia, il livello massimo di prelievo fiscale e così via) è il frutto di una scelta politica ammantata da rispetto per il mercato: non del mercato in sé, che è una costruzione artificiale, ma dell’ideologia dell’economia di mercato. In essa quello che al più interessa – e perciò interessa alle istituzioni europee – è garantire la “libera circolazione dei lavoratori” (a cui vanno assicurati trattamenti previdenziali, assistenziali ecc. equiparati a quelli goduti dai lavoratori del paese in cui si stabiliscono), non uno standard comune di questi trattamenti: e neppure che alle imprese sia impedito di godere dei vantaggi conseguenti alla delocalizzazione dei propri impianti produttivi in paesi dove il trattamento salariale, assistenziale, previdenziale ecc. sia meno favorevole ai lavoratori. È un’esigenza del mercato questa? No, è un interesse egoistico delle imprese, che così possono aumentare i loro ricavi.

Nella visione ideologica, l’economia di mercato è un mondo magico, paradiso delle astrazioni, in cui il consumatore e il produttore si scambiano beni mediante il meccanismo dei prezzi, e il perfetto equilibrio dei salari è prodotto dallo scambio tra domanda e offerta di lavoro. Da questo mondo – dicono i sostenitori del libero mercato – è bene che la politica si tenga fuori, limitandosi a combattere le “esternalità negative” che possono rompere la magia degli scambi, laddove le esternalità sono anzitutto gli interventi delle autorità politiche. Bene quindi se gli organi pubblici intervengono – per esempio – per limitare l’inquinamento causato da processi produttivi o per favorire la completa libertà degli scambi, abbattendo le barriere doganali o le misure legislative nazionali “ad effetto equivalente”; bene se lottano contro i monopoli e obbligano alla privatizzazione dei beni pubblici; bene se definiscono condizioni essenziali di sicurezza – fisica, ma anche giuridica e informativa – dei consumatori. Ma ogni passo più in là compiuto dai poteri pubblici rischierebbe di influire negativamente sull’equilibrio e l’efficienza del sistema. Di quale sistema si parla? Chi l’ha scelto questo sistema? In che modo è possibile cambiarlo?

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Non basta indignarsi bisogna attivarsi

di Giovanni De Plato

L’unità delle sinistre è durata meno di un giorno. E’ davvero sconcertante vedere come i suoi dirigenti subito dopo la grande e bella manifestazione antifascista di Como siano riusciti a bruciare sui fuochi della polemica quell’iniziativa politica unitaria a forte partecipazione di giovani. Che senso ha paragonare Grasso e Boldrini a Fini, come ha fatto Renzi, segretario del Pd? Che senso ha riproporre il dialogo politico con i 5 Stelle, come va facendo Bersani di Liberi e uguali? 

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E bravo Presidente!

di Roberto Bin

Il discorso pronunciato ieri (24 luglio 2017) da Sergio Mattarella alla XII Conferenza degli Ambasciatori ha subito colpito l’attenzione della stampa. La quale però ha colto solo l’aspetto stranamente caustico dell’accenno alle “battute estemporanee al limite della facezia, che non si addicono al dialogo e al confronto internazionali”, con cui responsabili di governo di alcuni paesi europei hanno commentato i problemi dell’immigrazione che l’Italia deve affrontare ogni giorno.

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UNIONE EUROPEA
Il parere della Corte di giustizia
sul trattato “di nuova generazione”
con la Repubblica di Singapore

di Roberto Bin

Vorrei attrarre l’attenzione sui progressi che sta facendo l’Unione europea nella politica di liberalizzazione dei mercati internazionali. Anche se ormai sembra accantonato il TTIP (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti) con gli Stati Uniti ed essendo invece al voto dei parlamenti nazionali il CETA (Accordo economico e commerciale globale) con il Canada, già approvato il 15 febbraio 2017 dal Parlamento europeo, va segnalato il parere reso dalla Corte di giustizia all’accordo di libero scambio con la Repubblica di Singapore.

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Questo velo invece resiste

di Roberto Bin

Lo stesso giorno della sentenza Achbita, qui commentata, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha dovuto occuparsi una seconda volta del velo islamico e della discriminazione che ne può derivare sul posto di lavoro. Nella sent. Bougnaoui (C-188/15) la Corte affronta il caso di una donna islamica licenziata perché si rifiutava di togliere il velo islamico quando svolgeva la propria attività lavorativa presso clienti dell’impresa di cui era dipendente.

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