Ancora vaccini: la circolare Grillo-Busetti viola la legge?

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di Stefano Rossi

Come noto, con il decreto-legge n. 73/2017, il Governo aveva ravvisato la necessità di adottare, in via d’urgenza, una disciplina che ha reintrodotto l’obbligatorietà relativamente a 10 vaccinazioni per i minori di età compresa tra 0 e 16 anni (art. 1 e 1 bis legge n. 119/2017, di conversione del decreto-legge), avendo riscontrato la tendenza, emergente dalle statistiche epidemiologiche, alla riduzione, in Italia, delle coperture vaccinali al di sotto della soglia critica del 95% –

Al fine di rafforzare l’effettività di tale obbligo il legislatore ha previsto una sanzione diretta a carico dei genitori inadempienti (da euro 100 a euro 500) ed una indiretta che condiziona l’accesso alle scuole dell’infanzia all’adempimento dell’obbligo vaccinale. In questo senso il comma 3 dell’articolo 3 della legge stabilisce che: «Per i servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, la presentazione della documentazione di cui al comma 1 costituisce requisito di accesso. Per gli altri gradi di istruzione e per i centri di formazione professionale regionale, la presentazione della documentazione di cui al comma 1 non costituisce requisito di accesso alla scuola o, al centro ovvero agli esami» (si veda, in senso analogo, per l’anno 2019/2020, l’art. 3 bis, comma 5).

La legge n. 119/2017 ha previsto tre distinte procedure per darvi attuazione: una transitoria per l’anno scolastico 2017/18; un’altra ordinaria per il 2018/19 ed infine una semplificata a partire dal 2019/20 (dopo l’approvazione del decreto fiscale [art. 18 ter d.l.  n. 148/2017] quest’ultima procedura potrà trovare applicazione già a partire dal prossimo anno scolastico, ma soltanto in quelle regioni in cui sia stata già istituita l’Anagrafe Vaccinale).

Così, al comma 1 dell’art. 3 si dispone, secondo la procedura ordinaria, che i dirigenti scolastici, all’atto dell’iscrizione del minore, siano tenuti a richiedere ai genitori di presentare, entro il termine di scadenza dell’iscrizione, in alternativa: a) la documentazione idonea a comprovare l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie o la condizione che giustifichi l’esonero (o l’omissione o il differimento delle vaccinazioni); b) la formale richiesta di vaccinazione all’azienda sanitaria locale territorialmente competente, che eseguirà le vaccinazioni obbligatorie secondo la schedula vaccinale, entro la fine dell’anno scolastico o la conclusione del calendario annuale dei servizi educativi per l’infanzia. Si precisa, però, che la presentazione della documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni (di cui alla lett. a) può essere sostituita dal deposito di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ma, in questo caso, la documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni dovrà essere presentata entro il 10 luglio di ogni anno (anteriore a quello a cui si riferisce l’iscrizione) [in senso analogo la disciplina transitoria per l’anno 2017/2018 di cui all’art. 5, comma 1].

Con circolare congiunta del 1° settembre 2017, i ministri della salute e dell’istruzione hanno diramato indicazioni operative per l’attuazione del citato decreto-legge n. 73/2017 – che è intervenuto a procedure di iscrizione già perfezionatesi – con le quali si è previsto che i minori, i cui genitori non abbiano presentato entro l’11 settembre 2017 la documentazione prescritta, non possano frequentare i servizi educativi per l’infanzia né le scuole dell’infanzia, pur rimanendo comunque iscritti, con possibilità di essere nuovamente ammessi ai servizi stessi, una volta assolto l’obbligo di presentare tale documentazione. Per l’anno scolastico 2018/2019 si sarebbe dovuto applicare invece unicamente l’art. 3 e, quindi, i genitori sarebbero stati costretti a produrre la prescritta documentazione all’atto dell’iscrizione del minore (ossia entro il termine di scadenza dell’iscrizione o entro il successivo 10 luglio, qualora si fosse optato per l’iniziale presentazione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio), fermo restando la regola del divieto di accesso nell’ipotesi in cui la suddetta documentazione non fosse stata tempestivamente prodotta.

Con circolare del 5 luglio 2018, i ministri di salute e istruzione del governo giallo-verde – dopo aver premesso che la prima applicazione della legge “Lorenzin” ha consentito di conseguire a livello nazionale un significativo innalzamento delle coperture vaccinali – hanno giustificato, in modo quanto meno paradossale, proprio in ragione di tale trend positivo che consente «di tenere in maggiore considerazione le esigenze di semplificazione dell’attività amministrativa, senza pregiudizio per l’interesse pubblico alla tutela della salute», l’introduzione di un dispositivo che di fatto verrà a disincentivare l’effettività dell’obbligo normativo.

Sostengono i ministri che l’art. 3, comma 1, non impone che venga «necessariamente consegnato alle istituzioni scolastiche un certificato di avvenuta vaccinazione, ma, più in generale, qualsivoglia documentazione che possa essere considerata idonea a comprovare l’effettuazione, anche nel corso dell’anno scolastico e del calendario annuale, delle vaccinazioni obbligatorie».

A supporto di tale interpretazione si richiama la disciplina prevista nel caso in cui l’iscrizione avvenga d’ufficio, sottolineando come l’uso della locuzione «senza preventiva presentazione di una dichiarazione» (ult. periodo dell’art. 3, comma 1), non sembri escludere che i genitori possano adempiere agli obblighi di legge presentando una dichiarazione sostitutiva entro il 10 luglio 2018.

Di conseguenza, per il solo anno scolastico e il calendario annuale 2018/2019, in ipotesi di prima iscrizione alle istituzioni scolastiche, nel caso in cui i genitori non presentino entro il 10 luglio 2018 la documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni, i dirigenti scolastici delle scuole dell’infanzia, dei centri di formazione professionale regionale e delle scuole private non paritarie potranno ammettere i minori alla frequenza sulla base della sola dichiarazione sostitutiva, fatte salve le verifiche sulla veridicità previste dal d.P.R. n. 445/2000. Tale previsione è stata estesa anche alle regioni e province autonome presso le quali è già stata istituita l’anagrafe vaccinale e che si sono  avvalse della procedura semplificata di cui all’art. 3-bis della legge, condizioni che fanno emergere in termini ancor più chiari il carattere apparente e strumentale delle giustificazioni addotte nella circolare.

L’interpretazione ministeriale si palesa come contra legem per diverse ragioni. L’art. 3 della legge pone diverse opzioni attraverso le quali i genitori possono adempiere all’obbligo normativo, ovvero la presentazione di idonea documentazione comprovante l’immunizzazione vaccinale, la possibilità di usufruire dell’esonero o la dimostrazione della prenotazione dell’appuntamento presso l’azienda sanitaria. Solo in via residuale e sussidiaria la disposizione consente di supplire alla documentazione indicata mediante una dichiarazione sostitutiva, la cui validità per consentire l’accesso alla scuola è temporalmente condizionata (sino al 10 luglio di ogni anno).

Né si può trarre una diversa conclusione dall’analisi della disposizione sull’iscrizione d’ufficio che riguarda gli studenti delle classi successive al primo anno di corso, laddove – contestualizzando la locuzione «senza preventiva presentazione di una dichiarazione» – si comprende come la stessa escluda che la dichiarazione ex d.P.R. n. 445/2000 possa sostituire la documentazione richiamata. La suddetta previsione è stata infatti introdotta, con una modifica operata al Senato, al fine di consentire ai genitori – nel caso di iscrizione d’ufficio – di poter usufruire del più ampio termine del 10 luglio senza necessità della previa presentazione di una dichiarazione sostitutiva; a conferma la normativa ha lasciato fissi, per il 2017, i termini specifici di cui all’art. 5 e dunque la necessità di presentazione di una dichiarazione sostitutiva per godere del relativo termine più ampio.

Peraltro, se come rilevato nelle premesse della circolare, il sistema vigente è risultato efficace nel riportare entro parametri di sicurezza il tasso della copertura vaccinale, non si comprende – secondo un criterio di razionalità – perché mai si dovrebbe depotenziare lo strumento, creando una “uscita di sicurezza” che apparentemente serve a semplificare, ma poi in concreto produce l’effetto di eludere l’obbligo ed erodere i risultati raggiunti.

Le considerazioni esposte parrebbero quindi confermare che la circolare ministeriale adottata non sia semplicemente interpretativa, ma abbia carattere innovativo derogando ad un obbligo ed alla correlata finalità perseguita dalla legge.

Naturalmente non è questa la sede per affrontare il tema del ruolo delle circolari nel nostro ordinamento, laddove la forza e il carattere dispositivo attribuito loro si manifesta, prepotentemente, nella prassi amministrativa, assumendo per la burocrazia statale una cogenza pari a quella della legge (come notano U. Allegretti, Le rôle de la pratique dans la formation du droit public en Italie, in Studi in memoria di V. Bachelet, II, Giuffre, Milano, 1987, 8 ss.; R. Tarchi, Le circolari ministeriali con particolare riferimento alla prassi, in U. De Siervo (a cura di), Norme secondarie e direzione dell’amministrazione, il Mulino, Bologna, 1992, 27 ss.). Questa condizione potrebbe determinare dei fenomeni di «lost in translation» nel passaggio dal dato legislativo a quello portato dalla circolare, il che è ancor più grave tenuto conto che, per la giurisprudenza consolidata, «le circolari amministrativi sono atti a carattere interno finalizzati a garantire un’uniforme applicazione delle norme di legge, diretti agli organi ed uffici periferici, ovvero sottordinati, e non hanno di per sé valore normativo o provvedimentale o, comunque, vincolante per i soggetti estranei all’amministrazione, onde i soggetti destinatari degli atti applicativi di esse non hanno alcun onere di impugnativa, ma possono limitarsi a contestarne la legittimità al solo scopo di sostenere che gli atti applicativi sono illegittimi perché scaturiscono da una circolare illegittima che avrebbe, invece, dovuto essere disapplicata» (Cons. St., 21 giugno 2010, n. 3877). Risulta peraltro «quasi pleonastico evidenziare che la circolare interpretativa non possa legittimare l’inosservanza di principi direttamente e chiaramente stabiliti dalla legge, dovendosi conseguentemente disattendere le circolari sulla base del principio di prevalenza del dettato legislativo» (Tar Puglia, Bari, sez. II, 14 settembre 2012, n. 1660; Tar Campania, Salerno, sez. I, 13 gennaio 2016, n. 17). È tuttavia un dato critico, da tenere in considerazione, che le circolari spesso sfuggono al vaglio giurisdizionale, essendone esclusa sia l’impugnazione diretta sia la possibilità che il provvedimento si configuri «quale atto presupposto del provvedimento lesivo che ne abbia fatto puntuale applicazione» (Tar Molise, Campobasso, 15 gennaio 2007, n. 12). Ora la parola passa dunque all’Amministrazione che dovrà decidere se essere fedele alla legge o ad una circolare, in attesa dell’annunciata modifica in sede legislativa della legge “Lorenzin”.

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