L’Assemblea Nazionale francese ha approvato una legge che amplia l’accesso ai trattamenti di procreazione medicalmente assistita, fino a tale momento riservata esclusivamente alle coppie eterosessuali.
La legge giunge a seguito di lungo e travagliato iter legislativo, accompagnato da un animato dibattito. Essa era stata fortemente auspicata già dal Presidente socialista François Hollande, per poi essere inserita nel programma elettorale di Emmanuel Macron.
Con 326 voti favorevoli e 115 voti contrari, la Francia consente l’accesso alla PMA alle coppie omossessuali e alle donne single. Nel primo caso, entrambe le donne saranno legalmente madri del nascituro, con sottoscrizione anticipata del notaio; le donne single, invece, eserciteranno la propria genitorialità in mancanza di un partner, purché la gravidanza avvenga entro il limite di età previsto (quarantatré). Altra novità discussa è la possibilità per i figli maggiorenni di conoscere l’identità di chi ha donato lo sperma o gli ovociti, senza che sia riconosciuto legalmente un rapporto di filiazione con il donatore.
È opportuno evidenziare che il legislatore francese è intervenuto tardivamente in materia: la lacuna normativa è stata colmata con le c.d. “leggi bioetiche” del 29 luglio 1994, recanti modifiche al codice civile e al codice della sanità pubblica, più avanti riprese dalla l. 2004-800 del 6 agosto 2004 e dalla l. 2011-814 del 17 luglio relativa alla bioetica.
La legge appena approvata incide fortemente sul c.d. modello bioetico francese, le cui fondamenta devono essere rintracciate nel tentativo di integrare la morale sessuale cattolica nella regolamentazione delle tecniche di PMA per mezzo di un sistema simulativo.
L’esperienza francese in materia prende le mosse dalla nascita del “Centre d’Etude et de et de conservation des œufs et du sperme humains” (CECOS), avvenuta nel 1973, nonchè la prima struttura in cui sono attuate le sperimentazioni di fecondazione eterologa, donazione e conservazione dei gameti. Il legislatore francese considera la PMA alla stregua di un trattamento sanitario mirante ad ovviare determinate patologie riguardanti un membro della coppia o entrambi, al fine di ripristinare l’equilibrio della stessa; essa, dunque, permette l’accesso alla tecnica in oggetto solo per porre rimedio a problemi di infertilità o per escludere la trasmissione di malattie genetiche gravi al minore.
I principi cardine su cui si incentra la normativa sono tre: la gratuità, il consenso e l’anonimato. La gratuità implica il divieto di commerciabilità del corpo umano e delle sue parti. Il consenso, concesso sotto forma di scrittura privata, deve essere prestato sia dal donatore che dalla coppia ricevente: ambedue possono revocarlo fino all’espletamento del trattamento. Per quanto concerne l’anonimato, invece, la legislazione francese stabilisce che esso è assoluto nei confronti del ricevente e del minore, mentre è relativo nei riguardi del personale sanitario che ha trattato la procedura assistita eterologa. Come osservato in dottrina (M. P. Costantini), il principio dell’anonimato protegge tutti gli attori della PMA: il donatore è posto al riparo da ogni tentazione pecuniaria e pressione psicologica; la società sfugge da una politica eugenetica che tenderebbe a sviluppare una selezione in virtù di criteri fisici e sociali; i genitori a cui si consente di costruire pacificamente la loro famiglia, senza temere l’intrusione di un terzo.
Un aspetto peculiare della legislazione francese consiste nell’espressa previsione del c.d. “dono dell’embrione” concepito mediante la PMA. In Francia, i soggetti da cui provengono gli embrioni crioconservati sono chiamati annualmente a palesare le loro intenzioni circa il progetto genitoriale. Nell’ipotesi di rinuncia, essi possono optare per una delle seguenti strade: la donazione degli embrioni ad altre coppie, la loro destinazione alla ricerca scientifica o la distruzione.
Occorre segnalare la proposta del Comitato Nazionale di Bioetica di introdurre anche in Italia la c.d. “adozione per la nascita” degli embrioni crioconservati e dichiarati in “stato di abbandono”. Un’iniziativa mai presa in considerazione dal legislatore italiano.
Una volta delineato tale breve quadro generale, appare necessario soffermarsi sui possibili effetti scaturenti dalla legge appena approvata. Essa, indubbiamente, è destinata a scardinare la politica familiare francese attuata al termine del secondo conflitto mondiale. Tale politica perseguiva tre obiettivi: la compensazione del costo dei figli per le famiglie, la redistribuzione tra le famiglie in funzione di del numero di figli e la promozione del modello di famiglia fondato sulla divisione sessuata dei ruoli e delle funzioni. Gli scopi sopracitati furono portati a termine mediante tre misure: l’assegno familiare, il quoziente familiare e l’assegno per un solo salario familiare. Il punto più interessante risiede nel fatto che tali misure, in realtà, rispondevano a tre distinte finalità: una finalità natalista, che incoraggiava famiglia ad avere più figli, una funzione familista che attribuisce alla famiglia la doppia funzione di agevolare la coesione sociale e di promuovere un ordine di genere, ed infine, una finalità redistributiva (L. T. Letablier). Merita particolare attenzione la prima finalità, la quale si pone in netto contrasto con la ratio della legge c.d. “PMA per tutte”. Una finalità in linea con il contesto storico di riferimento. Nell’ottica familista, infatti, l’individuo esiste solo in quanto parte di un’istituzione familiare. Quest’ultima è investita di missioni nei confronti della società: la riproduzione, la socializzazione, la cura della prole (C. D. Strobel).
Nel corso degli anni, la politica familiare francese è stata oggetto di discussione, senza mai subire effettivamente radicali cambiamenti. Tali difficoltà discendono – a parere di chi scrive – dalla mancata volontà di mutare l’ordine sociale. Come affermato in dottrina (J. Commaille), la politica familiare, in Francia, è incastrata tra le aspirazioni conservatrici, tese al mantenimento della concezione familiare introdotta alla metà del XX secolo, e le aspirazioni riformiste, orientate a tenere conto delle evoluzioni sociali.
Nel 2012, complice l’insediamento del nuovo Governo, si annuncia un progetto di riforme della politica familiare incentrato su tre linee: la ristrutturazione del sistema delle prestazioni familiari, una “modernizzazione” del diritto che regola la filiazione, l’adozione, la genitorialità. Come già esposto, l’accesso alla PMA per le coppie omosessuali e le donne single, promessa nella campagna presidenziale, è rinviata, in ragione dell’opposizione di movimenti contrari, taluni di carattere religioso.
Si tratta dei medesimi movimenti che hanno tentato di ostacolare, fino a qualche tempo fa, l’approvazione di tale legge da parte dell’Assemblea Nazionale.
Tali movimenti hanno denunciato gli aspetti più controversi della stessa, tra cui la possibilità per le donne di conservare i loro ovociti a prescindere dalla presenza di impedimenti e di favorire la ricerca sulle cellule staminali embrionali.
L’aspetto cruciale – a giudizio di chi scrive – consiste nella valorizzazione della persona, a danno della comunità familiare. D’altro canto, il movimento “Manif pour tous” definisce la legge in discussione come “la legge che cancella il padre”, scontrandosi così non soltanto con l’intento della stessa, ma anche con il consenso della popolazione.
Sebbene ciò rappresenti un passo in avanti, rimane sospesa la questione della maternità surrogata. Si ricorda che, nelle vicende Labassee c. Francia e Mennesson c. Francia, la Corte di Strasburgo ha condannato lo Stato francese per il rifiuto di trascrivere allo stato civile atti di bambini nati da madri surrogate negli Stati Uniti. La mancata trascrizione dell’atto di nascita comporta gravi conseguenze per essi: la “clandestinità” giuridica non solo mette a repentaglio la loro futura permanenza sul territorio dello Stato, ma è destinata a danneggiarli anche sul versante civilistico. La Corte di Strasburgo statuisce la violazione del diritto al rispetto della vita privata dei figli (art. 8 CEDU) da parte delle autorità francesi, che impediscono a tali soggetti di vedere riconosciuto il loro diritto all’identità personale, non ammettendo che il legame di filiazione sia accertato de iure.
Tornando alle legge approvata di recente dall’Assemblea Nazionale, è inevitabile chiedersi se essa possa stimolare il nostro legislatore. In Italia, il vuoto normativo è stato colmato solo dopo diversi anni, adottando una legge (n. 40/2004) da subito oggetto di molteplici interventi della Consulta, che hanno finito per stravolgerne completamente l’impostazione originaria. Basti pensare che essa si caratterizzava per una marcata tutela dell’embrione, a cui veniva riconosciuta una soggettività tale da porlo sullo stesso piano degli altri soggetti implicati, ma, che, purtroppo, non poteva esimersi dal giudizio della Corte costituzionale. Con la sentenza del 18 febbraio 1975, n. 27, il Giudice delle Leggi nega la possibilità di equiparare il diritto alla salute di chi è già persona e la tutela dell’embrione “che persona non è ancora”. Allo stato attuale, in Italia, manca una posizione solida circa la natura umana del prodotto del concepimento.
Il semplice fatto di tentare un bilanciamento di interessi tra concepito e genitori implica l’accettazione tacita di un’identità umana in capo all’embrione.
Solo una volta giunti ad una risposta in merito a tale profilo, potrà parlarsi di una legge italiana sulla PMA “per tutte”. È opportuno partire – a parere di chi scrive – da un progetto genitoriale, scollegato dal dato biologico, fondato sulla volontà e responsabilità.
Tanti i nodi da sciogliere e risolvere.
* Cultrice di diritto costituzionale presso l’Università del Salento