Concessioni demaniali e direttiva Bolkestein: eppure una via d’uscita ci sarebbe

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di Alessandra Camaiani

Il tema delle concessioni balneari è tornato alla ribalta, nel dibattito d’attualità, a poche settimane dalla fine dell’anno, termine ultimo per l’adeguamento della disciplina nazionale alle indicazioni europee, secondo quanto stabilito nelle sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del novembre 2021: pronunce criticate per il carattere nomopoietico, più che nomofilattico (cfr. F. Francario, Se questa è nomofilachia. Il diritto amministrativo 2.0 secondo l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 2022). Si è così riattivata in Europa la procedura di infrazione contro l’Italia, che presto potrebbe vedersi destinare una nuova lettera di ammonimento per essere rimasta inerte di fronte alla rilevata violazione del diritto sopranazionale. A contenere un simile rischio è intervenuta di recente la Corte di Cassazione a sezioni unite, che, pur per motivi processuali e non di merito, ha annullato una delle due richiamate pronunce dell’Adunanza Penaria, creando una nuova occasione per il Paese di ricomporre il contrasto col diritto dell’Unione in attesa del Legislatore. La Corte ha, infatti, ritenuto violati i limiti esterni della giurisdizione per avere i giudici amministrativi negato giurisdizione a diversi enti esponenziali che ambivano, a vario titolo,
a intervenire nel giudizio originario. Spetterà, ora, al Consiglio di Stato cribrare la legittimazione processuale di ciascun istante sulla base di una verifica da svolgere in concreto, senza limitare in astratto la valutazione di ammissibilità e magari, tornando sulle questioni procedurali, vi sarà modo
di rivedere anche le statuizioni di merito assunte in seduta Plenaria.

Com’è noto, la normativa italiana che regola la concessione del demanio marittimo per finalità turistico-ricreative fatica ad armonizzarsi con il relativo diritto dell’Unione, dal momento che non prevede, a tutt’oggi, un obbligo effettivo di (ri)assegnare le concessioni mediante gara pubblica, aperta a tutti gli operatori di mercato, anche transfrontalieri (per un riepilogo della vicenda giuridica si rinvia ad A. Camaiani, Tra diritto di insistenza e gare c’è di mezzo il mare, in questa rivista).                                                                                                                              
Prima di essere catapultati da spettatori negli obnubilanti giochi politici che ci attendono nel breve periodo, giova brevemente ripercorrere i passaggi nodali della pronuncia pregiudiziale 2023, con cui la CGUE ha dipanato i dubbi interpretativi del giudice nazionale riguardo ai rapporti tra ordinamenti in questo specifico settore e, più in generale, tra la nota Dir. 2006/123/CE (Direttiva Servizi o Bolkestein) e il diritto interno.

Con sentenza del 20 aprile 2023, resa in C-348/22, nel contenzioso insorto tra l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) e il Comune di Ginosa, la Corte di Giustizia si è pronunciata sulla domanda pregiudiziale proposta dal TAR Puglia circa -tra l’altro- la corretta interpretazione dell’art. 12 della Bolkestein. In particolare, la sentenza promana dal ricorso dell’AGCM avverso la delibera adottata dall’Ente Locale, che nel suo territorio aveva prorogato le concessioni di occupazione del demanio marittimo fino al 31 dicembre 2033, conformandosi alle statuizioni della Legge n. 118/2022: che, infatti, all’art. 3 disponeva la prosecuzione delle concessioni in essere alla sua entrata in vigore, con possibilità di ulteriore differimento della scadenza. Mentre l’AGCM considerava la proroga automatica delle concessioni in contrasto con il diritto eurounitario, il Comune, dal canto suo, riteneva di dover dare attuazione alla legge nazionale, posta la natura non self-executing della Direttiva. Il TAR, quindi, decideva di rinviare la questione alla Corte di Giustizia, rilevata la necessità di una soluzione univoca, suggerita dalla condizione di incertezza giuridica che aveva condotto all’applicazione delle regole a macchia di leopardo, con alcuni Comuni rimasti inerti, altri che avevano prorogato le concessioni fino al 31 dicembre 2033, e altri ancora che, invece, avevano annullato in autotutela le proroghe originariamente concesse, facendo prevalere il diritto dell’Unione: senza contare gli annullamenti giudiziari abbattutisi sui provvedimenti amministrativi (per un approfondimento, A. Lucarelli, Il nodo delle concessioni demaniali marittime, in Dirittifondamentali.it, n. 1, 2019).

Di là dalla natura della Direttiva, confermata dalla CGUE come autoapplicativa, le principali questioni sul tappeto concernevano l’interesse frontaliero certo della concessione, cioè l’attitudine del servizio ad essere (economicamente) appetibile per operatori di qualsiasi provenienza, e il concetto di risorsa scarsa, ovvero esauribile e di modesta disponibilità.

Relativamente alla prima questione, la Corte ha precisato che “l’articolo 12, paragrafi 1 e 2 (…), deve essere interpretato nel senso che esso non si applica unicamente alle concessioni di occupazione del demanio marittimo che presentano un interesse transfrontaliero certo”, avendo “già avuto modo di dichiarare (…), in base a un’interpretazione letterale, storica, contestuale e teleologica della direttiva”, che le disposizioni concernenti la libertà di stabilimento dei prestatori -tra cui l’art.12- devono essere interpretate nel senso che esse si applicano, in particolare, a “una situazione i cui elementi rilevanti si collocano tutti all’interno di un solo Stato membro”. Nonostante il carattere anodino dell’argomentazione, che resta oscura nel suo significato letterale (il ragionamento logico sotteso al lemma, infatti, non è di facile intuizione), sembra che in questo passaggio la CGUE abbia voluto superare in radice il problema dell’interesse transfrontaliero certo del servizio, ricorrendo a un’interpretazione che prescinde da tale valutazione, prescrivendo una applicazione più lata della norma citata: l’art. 12 della Bolkestein postulerebbe una concezione degli istituti giuridici europei tesa ad estendere l’ambito applicativo del diritto UE.
Quanto al diverso requisito della scarsità, la Corte ha confermato che gli obiettivi di sfruttamento economico delle coste sono materia riservata alla competenza degli Stati membri e certamente possono essere definiti a livello nazionale o locale, con particolare riferimento alle specificità dei singoli territori costieri, purché, evidentemente, nella loro determinazione si ricorra a criteri oggettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati, tali quindi da garantirne forme di controllo e l’intrinseca legittimità.                                                                  
Preme notare, perciò, che nell’ottica dell’Unione, perché una procedura possa dirsi condotta nella legalità rileva che siano garantite la par condicio dei partecipanti e la trasparenza; le procedure di gara, invero, non si esauriscono nella regola della concorrenza, ma rispondono anche a interessi diversi, come appunto la trasparenza. Senza legarsi necessariamente a ragioni economiche, tale principio ha di mira, piuttosto, il corretto esercizio della funzione pubblica, salvaguardando l’imparzialità e l’assenza di discriminazioni tra soggetti, prima che tra operatori di mercato. Peraltro, all’art. 15 TFUE la trasparenza è indicata quale strumento di partecipazione della società civile, oltreché di buon governo e dunque, collocandosi tra i principi fondamentali dell’Unione, ha attitudine a costituire l’autonoma base giuridica per una valutazione di conformità del diritto interno al diritto eurounitario.

Nel solco della pronuncia pregiudiziale, lo scorso 03 luglio, è intervenuta la presentazione dei cd. “dati grezzi” da parte del Ministero delle Infrastrutture al tavolo tecnico per il riordino delle concessioni balneari. Come prevedibile, tali dati mettono in luce proprio l’assenza di scarsità di spiagge nella penisola italiana, evidentemente al fine -politico- di evitare la messa a gara delle concessioni; una prospettiva, questa, che ha creato forti tensioni tra gli operatori coinvolti, specialmente quelli balneari, i quali si sentono messi a rischio dalla possibilità di perdere la gara, ove lo Stato decida di riassegnare le concessioni correnti.                           
A preoccupare, tuttavia, non è l’in sé della discrezionalità del Legislatore nel valutare la scarsità della risorsa demaniale (che appare anzi un atto certo di libertà politica nazionale, come in effetti conferma la CGUE: cfr. A. Camaiani, Concessioni balneari alla stretta europea. Se la soluzione venisse dal golden power?, in Amministrativamente, n.4/22), quanto, piuttosto, l’intento del Governo in carica, emerso dalle dichiarazioni a valle dei lavori avviati presso Palazzo Chigi: il progetto dell’Esecutivo parrebbe sostanziarsi nella assegnazione in concessione dei litorali attualmente liberi, in modo da consentire l’avvio di nuove attività commerciali senza doverle sottrarre agli attuali gestori (secondo le informazioni contenute in P. Baroni, L’ultima spiaggia, La Stampa ed. del 04/07/2023, p. 6).                                                                    
Sebbene la soluzione prospettata possa apparire quale valido contemperamento tra opposti interessi, garantendo la concorrenza richiesta dall’Europa e soddisfacendo le pretese degli operatori del settore, va realmente a discapito dell’interesse generale, dei cittadini, a fruire e accedere in modo libero al mare. Anziché resistere alla devoluzione al mercato della gestione dei lidi, proiettando la politica nazionale a una valoriale inversione di rotta, che riconduca il comparto delle coste entro un modello di governo pubblicistico, praticato cercando di soddisfare proprio i diritti dei cittadini, sembra confermata la spinta liberistica che sacrifica i beni pubblici e gli interessi collettivi nell’altare di quello economico singolare. 

A ben guardare, però, dalla pronuncia in commento si ricava conferma della possibilità di non ricorrere al mercato e di astrarre da logiche di profitto la gestione di beni suscettibili di un uso consumante, in modo da assicurarne la permanenza anche a beneficio delle future generazioni, in conformità alle prescrizioni costituzionali (come il rinnovato art.9 Cost.).  

Intanto, l’obbligo dello Stato di rilasciare concessioni demaniali marittime a durata limitata, senza possibilità di rinnovo automatico ma ricorrendo alla gara pubblica, sussiste solo nel caso in cui le risorse naturali su cui insiste la concessione siano scarse e, come visto, la valutazione sull’an della quantità di risorsa disponibile spetta al medesimo Stato membro. Inoltre, preme rammentare che il Governo potrebbe ricorrere a ulteriori vie d’uscita dall’impasse politica che attinge il nostro Paese. Invero, sul presupposto della neutralità del diritto dell’unione rispetto alla scelta sul tipo di gestione del servizio, questa potendo svolgersi in modalità pubblica o privata a discrezione del diritto interno, potrebbe farsi ricorso a forme di affidamento maggiormente compatibili con la Costituzione. Ad esempio, considerando i lidi quali beni comuni, la concessione si risolverebbe nel rapporto fra regia pubblica e gestione privata, ma in forme tali da consentire la diretta partecipazione dei cittadini alla cura della cosa pubblica e garantendo, altresì, il diritto democratico dell’uso delle risorse e dello spazio come luogo di espressione di bisogni autentici delle collettività, di produzione di stili di vita e di nuove economie (come sostenuto in A. Cossiri (a cura di), Coste e diritti, 2022, p. 205).
Un primo fondamento normativo per la soluzione tratteggiata, costituente un argomento a fortiori, è riscontrabile proprio nell’art.12 della Bolkestein, paragrafo 3. La norma dispone che gli Stati membri, nello stabilire le regole delle procedure di selezione, possono tener conto di considerazioni di salute pubblica, obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, nonché della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario.                                   
Nelle rime di tale paragrafo, quindi, il margine di apprezzamento nazionale confermato dalla CGUE (in base ai soli paragrafi 1 e 2 dell’art.12) anche allorché si operi nel mercato pare farsi perfino più pregnante, in considerazione degli interessi sensibili coinvolti dal servizio. Tanto sembra confermare il regime potenzialmente derogatorio, o almeno speciale, postulato da interessi quali quelli enucleati nel richiamato paragrafo 3, a riprova del fatto che, in loro presenza, sussiste anche la facoltà dello Stato di modulare la tutela della concorrenza, ma solo ove si sia deciso a monte, a livello interno, di ricorrere alla gestione intramercato. Ben può, infatti, lo Stato mantenere in mano pubblica la gestione del servizio, ancorché esso detenga un carattere economico, poiché l’an della scelta di rivolgersi al mercato compete esclusivamente all’apprezzamento nazionale che, in tali casi, è assoluto e privo di margini.                                                                    
Per il diritto dell’Unione, i contemperamenti del potere politico interno pervengono a valle, una volta cioè che tale scelta sia stata compiuta decidendo di rivolgersi al mercato per la gestione del servizio, ma anche in questi casi valgono i correttivi di cui il paragrafo 3 rappresenta plastica espressione.                                                                         
Come dimostra la recente attività politica in materia di concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreativa, però, la valutazione di non scarsità della risorsa è ben lungi dal ridondare a vantaggio dei cittadini. Al contrario, si prospetta l’avvio di una nuova stagione di privatizzazioni, volta a soddisfare il desiderio economico discendente dalla concorrenza e dal libero mercato, anziché la fruizione libera e diffusa del bene lido del mare e dei diritti ulteriori che vi sono connessi.

 

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