Organizzazione e democrazia interna
nei partiti politici
secondo la Corte di Strasburgo

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di Dimitri Girotto

In tempi di elevata conflittualità interna ai partiti e movimenti politici può essere utile uno sguardo alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, per comprendere se dalle disposizioni della CEDU si possano trarre indicazioni sull’ambito di autonomia organizzativa riconosciuto alle associazioni politiche. Gli spunti offerti dalla Corte EDU non sono particolarmente copiosi, ma sembra comunque possibile enucleare alcuni criteri orientativi, ad esempio in tema di selezione dei candidati alle elezioni.
Di tale ultima questione si è occupata la Corte EDU in una recente pronuncia (Terza Sezione, Yabloko Russian United Democratic Party and Others v. Russia – 8.11.2016), condannando la Russia per violazione dell’art. 3 del primo protocollo CEDU in riferimento alla esclusione delle liste e dei candidati di un partito politico alle elezioni del Parlamento della Karelia. Nel caso considerato, a parte una lamentata violazione formale che potremmo definire “minore” (riguardante lo statuto del partito, che la Commissione elettorale assumeva non essere stato allegato nella versione in vigore al momento della presentazione delle candidature), vengono poste in discussione le modalità di designazione dei candidati, rispetto alle quali si dubita della loro compatibilità con il principio di eguaglianza tra gli iscritti al partito; tali modalità vengono disciplinate proprio dallo statuto del partito, ed in definitiva il giudizio della Commissione elettorale e delle autorità giudiziarie intervenute (Corte Suprema della Karelia, Corte Suprema della Russia e, da ultimo, Corte EDU) si traduce in una valutazione di compatibilità con la CEDU delle predette disposizioni statutarie.

Scendendo nel dettaglio, il partito Yabloko ha un sistema di selezione dei candidati alle elezioni che prevede una decisione affidata ad un congresso regionale; i delegati al congresso sono individuati solo da una parte degli iscritti al partito, i cosiddetti “membri registrati” (nel caso, in numero di 474 su un totale di circa 3800 iscritti in Karelia), cioè gli iscritti che, ai sensi dello statuto, chiedono ed ottengono di essere registrati al fine di poter più attivamente partecipare alle iniziative ed alle decisioni del partito.
Nella situazione esaminata dal giudice europeo, in vista delle elezioni per il Parlamento della Karelia i membri registrati del partito eleggevano alcuni delegati congressuali, affidando a questi la nomina dei candidati di lista e di collegio per le elezioni; la Commissione elettorale dapprima ammetteva le liste e i candidati, per rilevare in un secondo momento la possibile violazione della legge della federazione russa che regola la disciplina dei partiti politici, nella parte in cui essa garantisce eguali diritti ad ogni iscritto, con ciò vietando distinzioni tra membri registrati e non. Tale orientamento veniva successivamente condiviso dalla Corte suprema della Karelia, la quale annullava l’ammissione delle candidature, e dalla Corte suprema federale, la quale rigettava l’appello proposto dal partito Yabloko.

Per quanto maggiormente interessa in questa sede, la Corte di Strasburgo veniva investita della questione su iniziativa del partito e di due candidati, i quali lamentavano la violazione del diritto di “stand for election”; dalla esclusione di liste e candidati una elettrice ricorrente deduceva altresì la lesione del principio del pluralismo politico, da ritenersi violato in assenza della possibilità di esprimere il voto in favore del partito escluso dalla competizione elettorale (su tale specifico profilo la Corte ha attinto a precedenti i quali le hanno consentito di respingere la censura, osservando che la violazione del diritto di stand for election a danno di una forza politica non necessariamente si risolve in una violazione della posizione soggettiva dell’elettore che tale forza politica intenda sostenere alle elezioni).

Richiamando in più parti alcuni documenti approvati dalla Commissione di Venezia (Linee guida sulla disciplina dei partiti politici, 2010, e Rapporto sui metodi di designazione dei candidati all’interno dei partiti politici, 2015), ed ammettendo che il diritto a libere elezioni, tutelato dall’art. 3, Primo protocollo CEDU possa conoscere limitazioni, la Corte si addentra in un giudizio di non arbitrarietà o disproporzionalità di tali limitazioni e di non interferenza con la libera espressione della opinione dei cittadini.
Sotto questo profilo, se in astratto è prospettabile che l’esclusione delle liste e dei singoli candidati concreti una limitazione dei diritti sanciti dall’art. 3 cit., nel caso specifico la Corte si fa carico di verificare se tale forma di restrizione sia compatibile con la rule of law, quale “super principio” che informa tutto il disposto della Convenzione, ed individua gli elementi per un test di compatibilità nella esistenza di una previa disciplina di legge ed in una interpretazione non arbitraria o sproporzionata della medesima disciplina da parte delle autorità giudiziarie.

La Corte ritiene, nella fattispecie in esame, non conformi alla rule of law le decisioni delle autorità giudiziarie russe, perché le medesime hanno fatto applicazione non di specifiche disposizioni legislative, ma di principi generali di diritto elettorale, per di più riferiti ad una procedura interna al partito che viene disciplinata da precise disposizioni statutarie (le quali ammettono la distinzione tra membri registrati e non), con ciò fornendo una interpretazione non ragionevolmente prevedibile della disciplina di riferimento.
Più interessante si rivela la seconda parte della motivazione, ove la Corte valorizza lo status dei partiti politici, quali libere associazioni aventi un ruolo cruciale in un regime democratico, e la speciale garanzia offerta dalla CEDU alla loro autonomia.

Muovendo da un netto riconoscimento della autonomia organizzativa delle associazioni, tutelata dall’art. 11 CEDU, la Corte ne ricava un primo corollario rappresentato dalla spettanza alle associazioni medesime e ai loro membri, prima che alla pubblica autorità, del controllo sull’osservanza delle procedure decisionali interne, quasi a dire che in presenza di un efficace sistema di controllo interno delle deliberazioni associative il controllo giudiziario, e soprattutto amministrativo, necessariamente recede. Nel contempo, il giudice di Strasburgo ritiene ammissibili disposizioni di legge atte a disciplinare l’organizzazione interna e soprattutto la selezione dei candidati alle elezioni, e conseguentemente non dubita che ad apposite autorità amministrative spetti il compito di vigilare sulla osservanza di tali regole, ma reputa necessario verificare, ancora una volta, se i requisiti eventualmente richiesti dalla legge non si rivelino arbitrari e non proporzionati.

In proposito, dagli standards internazionali desumibili dai documenti della Commissione di Venezia traspare una intrinseca difficoltà a disciplinare troppo nel dettaglio problematiche afferenti alla democrazia interna ai partiti, ma trova conferma l’ammissibilità di forme di decisione diretta o indiretta, purché siano garantite la rappresentanza della base degli iscritti, la responsabilità verso gli stessi dei soggetti designati e la trasparenza del processo decisionale; analogamente, sono ammesse forme diverse e graduate di coinvolgimento dei singoli iscritti nelle attività del partito. Nel caso specifico, la Corte non ritiene violati i principi di trasparenza e rappresentatività, reputando che le previsioni statutarie offrano a tutti gli iscritti la possibilità di acquisire lo status di membri registrati, e che le procedure di registrazione offrano sufficienti garanzie di trasparenza e imparzialità.

Cosa si ricava da questa decisione (peraltro non ancora definitiva, stante la richiesta di rimessione alla Grand Chamber della Corte EDU) e da altre pronunce in tema di autonomia delle strutture associative, in particolare a carattere politico? Pare potersi desumere che, soprattutto in contesti politici propri di sistemi democratici maggiormente consolidati, lo spazio riservato all’autonomia organizzativa interna ai partiti debba essere molto ampio, pur con i richiamati limiti della rappresentatività, trasparenza e responsabilità, con ciò rendendo impervio il percorso di una eventuale contestazione per via giudiziaria da parte degli iscritti al partito in merito a decisioni assunte dagli organi statutari. Non è chiaro, in questo ambito, se e quale spazio possa conoscere la tutela del cittadino elettore non aderente al partito, privato per definizione dei rimedi interni all’associazione ma nondimeno interessato ad una “offerta politica” che consenta un esercizio di un voto libero e consapevole.

Tali conclusioni si riverberano anche sul tema della selezione dei candidati, e sulle considerazioni che si possono al riguardo formulare, ad esempio in ordine allo strumento delle elezioni primarie; rispetto alle quali, va osservato, il quadro di insieme è complicato dalla disomogeneità delle legislazioni, ove esistenti, degli stati aderenti alla CEDU, che spaziano dalla indifferenza alla ammissibilità delle primarie, fino al loro implicito divieto, con ciò rendendo difficile la formulazione di “principi di diritto europeo”.

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