Il ministro alla “Democrazia diretta” e la libertà di espressione. Il caso “Fontana – Cirinnà” su Twitter (e gli emuli italiani di Trump)

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di Patrizio Ivo D’Andrea

Una delle novità del neo-insediato Governo guidato dal Prof. Conte è l’assegnazione al Ministro senza portafoglio On. Fraccaro non solo della (classica) delega ai rapporti con il Parlamento, ma anche di quella, senz’altro innovativa, alla “democrazia diretta” (cfr. dPCM 1° giugno 2018, in G.U. n. 127 del 4 giugno 2018). Un singolare binomio. L’incarico unisce in capo al medesimo “magistrato” l’impegno a curare la chiave di volta della forma di governo parlamentare ma anche i tentativi per superare o, quantomeno, per arricchire quel modello di democrazia, innervandolo di nuove e diverse forme di partecipazione.

Già nelle poche ore successive alla formalizzazione di questo inedito compito nell’indirizzo di Governo si consumava un primo “incidente” che potrebbe chiamare in causa questa nuova delega ministeriale.

La Sen. Monica Cirinnà (Pd) ha rappresentato di essere stata “bloccata” dall’account Twitter del neo Ministro per la Famiglia e la disabilità, On. Fontana. L’On. Fontana, attraverso un comando che ciascun utente del social network ha a disposizione, impedisce alla Sen. Cirinnà di leggere le brevi dichiarazioni che lo stesso Fontana rilascia attraverso quello strumento. In gergo: i tweet di Fontana non appaiono sul wall di Cirinnà, la quale non può interagire rispondendo a quei post o citandoli nei suoi.

Non sappiamo se il Ministro delegato alla democrazia diretta vorrà occuparsi di questa vicenda. Ci sono almeno due ragioni, però, che dovrebbero indurlo a farlo.

In primo luogo, i social network rappresentano uno degli strumenti di comunicazione diretta e senza filtri sui quali i promotori di forme alternative di partecipazione (e il MoVimento 5 Stelle in primis) dichiarano di puntare per introdurre forme di democrazia diretta.

In secondo luogo, su una vicenda in tutto analoga a quella sopra menzionata si è appena pronunciata una Corte federale degli Stati Uniti d’America. Con ordinanza del 23 maggio 2018, la Corte del Southern District di New York ha affermato che il Presidente Trump e il suo staff per la comunicazione, avendo “bloccato” dall’account Twitter personale del Presidente una persona sulla base delle opinioni politiche, hanno violato il Primo Emendamento della Costituzione americana, che tutela della libertà di parola dei cittadini americani.

L’ordinanza, riccamente motivata (75 pagine), prende le mosse dall’analisi del social network Twitter. La Corte ha osservato che una delle caratteristiche specifiche di twitter è proprio la possibilità di “repost or respond to other’s message”, ovverosia di condividere o di rispondere ai messaggi di altre persone. Proprio questi sono gli strumenti principali per interloquire su questa piattaforma.

Viene allora esaminato l’account twitter di Donald Trump (@realDonaldTrump). La Corte ha rilevato che il profilo, creato nel marzo del 2009, è stato usato per comunicare sugli argomenti più disparati sino all’assunzione dell’incarico presidenziale. Dal gennaio del 2017, però, il Presidente Trump ha usato questo mezzo come “un canale per comunicare e interagire col pubblico in merito alla sua Amministrazione”, tanto è vero che il profilo è gestito con l’assistenza di Daniel Scavino, che ricopre l’incarico ufficiale di “White House Social Media Director and Assistant to the President” e che, nella causa, ha assunto la veste di convenuto proprio nella qualità di titolare di quell’incarico.

Per tali motivi la Corte ha potuto affermare che il profilo twitter del Presidente è stato impiegato per “annunciare, descrivere e difendere le sue politiche, per promuovere l’agenda legislativa dell’Amministrazione, per annunciare decisioni ufficiali, per interloquire con i leader politici stranieri, per pubblicizzare le visite ufficiali, per sfidare i mezzi di comunicazione di massa, accusati di dare una «copertura» dell’Amministrazione ingiusta” (“unfair”).

La piattaforma social e il profilo privato del Presidente è impiegato anche dai cittadini per interloquire col presidente, rispondendo o commentando ai post di Trump. Esattamente come hanno fatto i sette attori nel giudizio, i quali, a seguito di commenti negativi, sono stati bloccati dall’account twitter. L’esclusione, dunque, è seguita non in ragione di un uso violento o diffamatorio del mezzo (c.d. “hate speech”), bensì esclusivamente in ragione delle opinioni critiche e della prospettiva politica assunta dai commentatori. Essendo stati bloccati, costoro non possono leggere i post del presidente, non possono rispondervi direttamente né vedere i commenti di altri utenti che generano una sorta di sottodiscussione (“comment thread”). Queste conseguenze sono state considerate dalla Corte quali vere e proprie lesioni della propria sfera giuridica (“injuries-in-fact”) che derivano da una discriminazione basata sulle opinioni politiche dei cittadini colpiti (“viewpoint discrimination”).

Alla luce di tutte queste circostanze, la Corte ha riconosciuto una violazione del Primo Emendamento della Costituzione americana, in quanto più pubblici funzionari (Trump e il suo staff di social media manager) hanno impedito ad alcuni cittadini l’accesso a un luogo pubblico di discussione (“public forum”) sulla base di una discriminazione politica.

Tornando alle nostre longitudini, è evidente che la polemica tra la Sen. Cirinnà e il Ministro Fontana si fonda su circostanze di fatto ampiamente analoghe (ancorché a quanto risulta da un breve accesso al profilo del Ministro, il suo uso del mezzo non è così continuo e diffuso). Il che sta a significare che i primi passi di un Governo che pretende di lavorare sulla democrazia diretta suscitano gravi dubbi di legittimità nell’impiego di questi canali di partecipazione “alternativa”.

Se ne accorgerà il Ministro Fraccaro? E se ne vorrà occupare nell’esercizio della sua innovativa delega? Magari diramando una circolare relativa all’uso dei social media da parte del Governo e dei titolari degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri?

Più in generale, è legittimo chiedersi se la delega alla “democrazia diretta” sarà impiegata esclusivamente per inseguire forme di legittimazione “telematica” ben poco convincenti, come alcune sessioni di voto on-line del MoVimento 5 Stelle, che presentano incognite di affidabilità e che non sembrano garantire alcuna reale possibilità di discussione e interazione. Al contrario, “prendere sul serio” tale delega vorrebbe dire anzitutto avviare un processo di “civilizzazione” delle interazioni sui social media, garantendo la piena e libera accessibilità a spazi di discussione neutrali, secondo la ratio argomentativa della citata ordinanza della Corte di New York.

Di questo processo c’è assoluto bisogno. Lo dimostra proprio la reazione della Sen. Cirinnà al “blocco” da parte del Ministro Fontana: un tweet in cui si usa come slogan (“hashtag”) la frase “ci vediamo in Parlamento!”. Come a significare che un ministro può sfuggire al confronto nella “giungla” di internet, ma non può sottrarsi al sindacato ispettivo che la Costituzione riconosce a ciascun parlamentare.

Nella giusta prospettiva, dunque, la stessa contraddittorietà politico-istituzionale del doppio incarico del Ministro Fraccaro potrebbe riassorbirsi, in quanto la delega alla “democrazia diretta” si risolverebbe nell’impegno a promuovere nuovi canali di discussione politica che siano effettivi e inclusivi e che aiutino la formazione di quella “cittadinanza illuminata” che, come ha insegnato Robert Dahl, costituisce un prerequisito di ogni ordinamento democratico.

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