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di Roberto Bin

Senza molto clamore, e con una tecnica legislativa un po’ impacciata,  un pacchetto di riforme costituzionali ha preso l’avvio. E noi vorremmo aprire un dibattito.La riforma più avanti nel procedimento di approvazione è quella che introduce il referendum propositivo. Pochi ne sono a conoscenza, ma questa riforma ha già passato il primo voto alla Camera ed ora è in discussione al Senato.Se sarà approvata anche da questo – e ci sono tutte le premesse perché lo sia, perché basta la maggioranza semplice – tra tre mesi verrà riproposta alla Camera (e poi al Senato) per la votazione finale, in cui non sarà più possibile apportare emendamenti.E’ una riforma importante? Sì, lo è, cambia il sistema di approvazione delle leggi introducendo la possibilità che le leggi proposte dagli elettori (500.000 firme) costringano il Parlamento o ad approvarla così come è proposta o ad aprire la strada ad un referendum “approvativo” (senza quorum, perché è richiesto soltanto che i “si” superino il 25% degli aventi diritto al voto).

Naturalmente la riforma proposta non è così semplice e le implicazione tutt’altro che banali.  Si può leggerne il testo cliccando qui, la relazione di accompagnamento presentata alla Camera, il dossier predisposto dagli uffici del Senato, i resoconti sommari delle audizioni davanti alla commissione della Camera. Ma il dibattito non ha ancora superato la stretta cerchia degli addetti ai lavori. Da qui l’invito ad intervenire, mandandoci la vostra opinione sia scritta che in audio. Incominciamo il dibattito con un mio intervento audio in occasione di un seminario, in presenza del ministro Fraccaro, tenutosi il 12 aprile 2019 all’Università Cattolica di Milano.

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2 commenti su “Riforma della Costituzione: l’introduzione del referendum propositivo. Invito al dibattito”

  1. Condivido interamente la relazione critica tenuta dal prof. Bin il 12 Aprile alla Cattolica (se ho capito bene). Aggiungo due osservazioni. Il referendum d’iniziativa popolare è per definizione uno strumento con il quale l’elettorato si pone in conflitto con il Parlamento, come accenna il professore all’inizio del suo intervento. Limitando l’iniziativa all’abrogazione di una legge i costituenti l’hanno ovviamente inteso così. Alcuni (fra cui Mortati) ritenevano però che lo strumento non doveva avere una valenza solo abrogativa. La pratica e la giurisprudenza hanno mostrato che spesso non è possibile distinguere fra abrogazione e nuova normazione. Quest’ultima distinzione non fa altro che creare un potere immenso nelle mani di colui che giudica che cos’è novazione e abrogazione. Aveva quindi ragione Mortati. Ma il referendum quale spada di Damocle appesa sopra la rappresentanza infedele o immobile deve rimanere uno strumento straordinario, una garanzia suprema da esercitare a condizioni molto esigenti (di firme e di approvazione). Seconda osservazione: il professore valuta la pessima proposta di revisione dell’art. 71 a prescindere dalle colpe, dalle cause del come siamo arrivati qui, cioè caduti così in basso. Rischio io una risposta: il Parlamento è stato trasformato attraverso una successione di leggi elettorali -non censurate su questo punto dalla Corte costituzionale – in un’assemblea autoreferenziale di nominati, di cooptati diventati sempre meno preparati e meno responsabili individualmente davanti agli elettori, ma rispondendo solo a “manipoli” di attivisti spesso meno numerosi di quelli ora previsti nella proposta di revisione per legiferare direttamente. Facciano quindi autocritica gli esperti troppi permeabili alle idee che nelle riforme pregresse hanno portato al degrado istituzionale di cui la proposta ora criticata è solo un’ulteriore evoluzione.

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  2. Quale dibattito? Pubblico? Non c’è. Fra esperti cattedratici? Se c’è, non è convincente.

    Prendo spunto dal referendum che si svolge oggi in Lituania (http://www.lithuaniancitizenship.com/en/unlikely-referendum-dual-citizenship-lithuania-will-successful/) per modificare la costituzione con lo scopo di permettere la doppia cittadinanza, una questione in apparenza banale, più tecnica che sostanziale, ma in realtà fondamentale e di grande importanza nazionale ed internazionale. La necessità di decidere rapidamente tiene all’imminenza della Brexit; su 2,8 milioni di Lituani, 10% vivono all’estero, di cui 200 mila nel Regno Unito; senza la possibiilità della doppia cittadinanza molti di loro perdranno il passaporto di origine quando dovranno chiedere quello britannico per non perdere il lavoro.

    Ora, il Lituania per modificare la costituzione attraverso un referendum i voti favorevoli devono essere pari alla maggioranza assoluta degli aventi diritto, una condizione che per inerzia dell’elettorato oggi probabilmente si non raggiungerà. La regola può sembrare eccessivamente severa, ma è equa e razionale, perché esistono comunque in tutti i paesi delle procedure legislative con maggioranze qualificate ed con altre precauzioni per modificare la costituzione. Se i Britannici avessero dovuto rispettare la regola lituana per lasciare l’UE, come sarebbe stato giusto e prudente, non si troverebbero oggi in una situazione assurda (…) che obiettivamente può portare il Reno Unito alla disaggregazione nazionale. Al contrario dei Lituani i Britannici hanno però deciso su iniziativa del governo e della maggioranza parlamentare, ufficialmente a titolo consultivo, solo che il Parlamento si è poi dichiarato vincolato dal parere non decisionale espresso dal 72% dell’elettorato con meno del 52% a favore dell’uscita; una revisione ultra-costituzionale è stata presa definitivamente senza appello dal 36% del corpo elettorale e viene portata a termine da rappresentanti che hanno votato contro l’uscita! Non proprio un esempio di democrazia rappresentativa da emulare!

    Non conviene all’Italia creare i presupposti istituzionali par tali decisioni casuali che dopo si rimpiangono (cioè demagogiche; bisogna rileggere le pagine sulla condanna a morte dall’assemblea popolare atenniese degli strateghi colpevoli della vittoria alle Arginuse con troppe perdite umane). Bisogna permettere, prevedere e regolamentare il referendum d’iniziativa in tutte le materie (con limitazioni o condizioni per i trattati internazionali e per decisioni fiscali (copertura)), senza ostacoli insanabili di ammissibilità, ma a condizioni di firme, di quorum e di maggioranza molto esigenti e in dialogo continuo con la rappresentanza eletta. Il referendum serve (per ragioni teoriche e pratiche) come valvola di sicurezza, ma a condizioni severe le iniziative eccessive si autodistruggono.

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