Il diritto privato ha offerto su di un piatto di argento alla politica strumenti apparentemente dignitosi per il perseguimento di scopi che spesso non lo sono.
In questo momento – vacillante sul bordo periglioso delle cose – è legittimo domandarsi perché quasi tutte le tradizionali categorie giuridiche sono state lungo i decenni scrutinate con occhio critico, a volte sovvertite, mentre l’associazione non riconosciuta/partito è rimasto istituto vuoto, ma intangibile, una formula sacra, un mantra indiscutibile per invocare autonomia in nome della Costituzione, troppo spesso uno scrigno da cui estrarre ciò che maggiormente, al momento, giova ad ognuno.
E le fondazioni adesso così di moda dopo decenni di oblio? Certo non più destinate a perpetuare il nome del defunto, l’onore della famiglia, come nella tradizione dei secoli scorsi. Per secoli dimenticati istituti di diritto privato, adesso diventati di gran moda: fondazioni bancarie, di partecipazione all’interno della Pubblica Amministrazione, ma soprattutto fondazioni che ruotano e si inseriscono, costeggiano i partiti (adesso chiamate Think Tank). Sono numerosissime, in crescita e se ne parla troppo poco.
La fondazione si sa è un istituto che combina elementi di grande flessibilità (disciplina breve nel Titolo II del codice civile) e apparente rigidità collegata a controlli esterni della PA (in realtà inesistenti) e a organi di controllo interni (anche quelli più sulla carta che reali).
E’ un patrimonio travestito da ente, diciamo pure una cassaforte. Il che è comodo sotto tanti profili: serve alla limitazione di responsabilità e soprattutto a far sparire le persone dietro anonime, ma risonanti, denominazioni. Un mezzo agevole per raccogliere fondi e per acquisire posizioni di potere.
La giurisprudenza su associazioni e fondazioni ha poche occasioni di pronunciarsi. Ma eccola la decisione su una famosa fondazione di cui si è smesso di parlare, anche se recente.
Non è una decisione del giudice civile, ma un’ordinanza della Cassazione penale (del 15/9/2020) e riguarda la famosa fondazione Open, che costeggia e supporta un partito (Italia Viva) in questi giorni molto nominato.
La Cassazione ha invitato a distinguere (rinviando al Tribunale di Firenze) i casi in cui una fondazione è connessa così strettamente a un partito da rientrare nella normativa c.d. “spazzacorrotti” dagli altri. Come si fa a stabilire questa connessione sta nel mondo dell’improbabile e chissà come deciderà il Tribunale di Firenze.
Certo è ingenuo pensare che i partiti non abbiano bisogno di soldi e che non se li procurino con ogni mezzo: la vicenda del finanziamento è nota ed è inutile ripercorrerla; la civilista qui si limita a dolersi per l’uso consapevolmente distorto degli istituti del diritto privato.