Gli oriundi italiani tra interpretazione “politica” e “naturalistica” dello ius sanguinis

di Maralice Cunha Verciano

Si discute molto, di questi tempi, del tema del riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis agli oriundi figli di emigrati italiani.

Il tema viene solitamente affrontato nella prospettiva generale dell’attualità o meno del criterio dello ius sanguinis quale elemento giustificativo autosufficiente per l’accesso allo status civitatis (cfr., da ultimo, N. Brutti, Il “sottile vincolo”: dubbi e prospettive sulla cittadinanza iure sanguinis, 2025). Su tale profilo, è stata sollevata un’apposita questione di legittimità costituzionale da parte del Tribunale di Bologna, riguardante la legge italiana sulla cittadinanza e, specificamente, l’art. 1 della l. n. 91/1992 (il contenuto si può leggere sempre nel cit. N. Brutti). Nel contempo, l’attuale maggioranza sta tentando di accelerare i tempi con un decreto legge in via di conversione (il d.l. n. 36/2025), che addirittura si vorrebbe far applicare retroattivamente sulle richieste pendenti e comunque porre a base di “nuove” interpretazioni costituzionali delle stesse.

Sia il giudice di Bologna che il Governo fondano il proprio argomentare su un’interpretazione “politica” dello ius sanguinis: quest’ultimo sarebbe necessario ma non sufficiente, giacché andrebbe modulato sul fattore temporale dello scorrere del tempo e integrato da contenuti di “meritevolezza” (come, per esempio, la conoscenza della lingua italiana), entrambi da definire con apposite previsioni (o in via legislativa o per “addizione” del Giudice delle leggi, come richiesto dal remittente bolognese).

Ora, però, un altro giudice sembra pervenire ad altra conclusione. Infatti, il Tribunale ordinario di Campobasso, sezione specializzata per l’immigrazione, con sentenza depositata il primo maggio 2025, ha formulato alcune prospettazioni, meritevoli di attenzione.

In primo luogo, il giudice ha ricostruito i contenuti del decreto legge n. 36, accertandone la inequivoca irretroattività.

In secondo luogo, attraverso un’interpretazione dell’art. 295 cpc (c.d. “sospensione necessaria” del processo in presenza di un’altra controversia «dalla cui definizione dipende la decisione della causa») avallata proprio dalla Corte costituzionale (decisione n. 218/2021), ha rigettato l’eccezione di legittimità costituzionale, sollevata dall’Amministrazione convenuta in ragione della questione già pendente davanti alla Corte costituzionale su iniziativa del Tribunale di Bologna, sostenendo l’inesistenza di qualsiasi automatismo in merito e l’autonomia, al contrario, della propria valutazione sulla non manifesta infondatezza del dubbio sull’art. 1 della legge sulla cittadinanza, per poi concludere, a differenza del collega emiliano, per la sua insussistenza in ragione di quanto disposto dall’art. 28 della l. n. 87/1953, utilizzabile anche dal giudice comune, ovvero per rispetto della discrezionalità del legislatore.

Infine, ha concluso per la qualificazione dello ius sanguinis come “criterio effettivo”, e non invece come fictio, del diritto al riconoscimento, in ragione del carattere “naturale” del “vincolo di sangue”.

Dunque, il giudice molisano sembra pervenire a un’interpretazione “naturalistica” dello ius sanguinis, contrapposta a quella “politica”, sposata sia dal Governo che dal giudice bolognese, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale. Tra l’altro, tale ipotesi “naturalistica” viene perorata attraverso il richiamo alle SS.UU. della Cassazione n. 25317/2022, che sul “vincolo di sangue”, e non sulla fictio, hanno fondato «l’esistenza di un collegamento effettivo tra Stato e persona».

A questo punto, la divaricazione tra le due letture in tema di oriundi solleva diversi interrogativi. I più immediati sembrano essere almeno due.

In primo luogo, se lo ius sanguinis è vincolo naturale “effettivo” tra persona e Stato, può il legislatore modularlo a propria discrezione nei riguardi degli oriundi, come sta tentando di fare l’attuale Governo con il cit. d.l.? Oppure si tratterebbe di atto sproporzionato rispetto alla radice “naturale” del vincolo, sicché l’unico modo per declinare in termini “politici” (e non “naturalistici”) la cittadinanza degli oriundi, dovrebbe consistere nella radicale abrogazione dello ius sanguinis per tutti, in modo da non discriminare nessuno nei propri vincoli “naturali”?

In secondo luogo, l’art. 35 quarto comma della Costituzione, lì dove «riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale», funge da barriera costituzionale all’abrogazione totale del vincolo naturale “effettivo” tra persona e Stato, dato che gli oriundi altro non sono che i discendenti “per vincolo di sangue” dei migranti italiani e dato che la lettera della disposizione costituzionale parla di “obblighi” e non di “limiti” stabili dalla legge?

Insomma, con la dicotomia “naturale” vs. “politico”, nell’interpretazione del criterio dello ius sanguinis, si stanno intrecciando nodi, ormai giunti al pettine e che forse proprio in quell’art. 35 Cost. potrebbero trovare il loro sbrogliarsi definitivo; ovvero nel definire una volta per tutte in che cosa consista la dignità dell’oriundo italiano nella lunga storia migratoria dell’Italia, una storia, come osservato in un bel libro di un costituzionalista “oriundo”, (R. Richards, Italiani d’America, trad. it., Milano, Giuffrè, 2004), di ripetute omissioni “politiche” sui “vincoli naturali” con i propri cittadini.

Nell'immagine, tre dei più famosi oriundi italiani, i calciatori José Altafini, Antonio Angelillo e Omar Sívori, con la maglia della Nazionale.
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