di Giacomo Menegus
Con la recente sentenza n. 10210 del 2025, il Tar del Lazio, adito da un’associazione di operatori del settore extra-alberghiero, ha annullato la Circolare del Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Ufficio per l’Amministrazione Generale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, del 18.11.2024, prot. 0038138. Con quest’atto il Ministero dell’Interno aveva inteso fare chiarezza sugli obblighi gravanti in capo agli albergatori e ai gestori di strutture ricettive (ivi incluse le locazioni brevi) ai sensi dell’art. 109 TULPS, stabilendo che l’identificazione degli ospiti dovesse essere effettuata de visu e non con strumenti da remoto (c.d. self check-in).
In un primo commento alla circolare su questa Rivista, chi scrive aveva ritenuto ragionevole e opportuno l’intervento del Ministero. Il Tar del Lazio non è stato dello stesso avviso. Gli argomenti su cui si basa la sintetica pronuncia del giudice amministrativo, tuttavia, prestano il fianco a più di una critica. Tre sono essenzialmente i vizi rilevanti dal Tar: 1) contrasto con l’attuale disposto dell’art. 109 TULPS; 2) violazione del principio di proporzionalità; 3) eccesso di potere collegato ad una carenza di istruttoria.
Vediamoli uno per uno.
1) Il primo vizio è senz’altro quello che solleva più perplessità. Secondo il giudice amministrativo – che sul punto aderisce pedissequamente alle tesi prospettate dai ricorrenti – “l’obbligo dell’identificazione de visu si pone in contrasto con la riduzione degli adempimenti amministrativi disposta con il D.L. n. 201/2011 (“disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”), allorché è stato modificato il co. 3 dell’art. 109 TULPS”. Tale novella “è stata operata in ragione di quanto previsto dall’art. 40 D.L. cit., proprio rubricato “riduzione degli adempimenti amministrativi per le imprese”, per eliminare degli oneri non indispensabili ai fini del rispetto della normativa dettata dal TULPS”. La circolare, insomma, avrebbe “di fatto, ripristinato quanto richiesto in passato, reintroducendo l’obbligo di identificazione de visu a carico dei gestori di strutture ricettive”.
Ma le cose non stanno affatto così. L’art. 109 TULPS è stato ripetutamente oggetto di modifiche, integrazioni e riscritture che – per l’ormai consueta sciatteria del legislatore italiano – hanno sollevato diverse problematiche interpretative (a un certo punto si discuteva persino se fosse intervenuta o meno l’abrogazione della norma; cfr. F. Bisanti, L’albergatore deve comunicare all’autorità di p.s. le generalità delle persone alloggiate e l’omissione costituisce (ancora) una condotta penalmente rilevante, in Riv. it. dir. tur., 2023, 130 ss.). Tra i molti interventi sul testo v’è anche quello menzionato dal Tar, ossia l’art. 40 (Riduzione degli adempimenti amministrativi per le imprese) del decreto-legge n. 201/2011, che riguarda però il solo comma 3, il quale concerne le modalità di registrazione e comunicazione alle autorità di pubblica sicurezza delle generalità degli ospiti. Coerentemente con le descritte finalità di semplificazione amministrativa, tale disposizione segnava un più deciso superamento del vecchio sistema delle “schedine” – che dovevano essere compilate dagli ospiti o dagli addetti alla struttura, sottoscritte dall’ospite, conservate in originale e trasmesse in copia alle autorità di p.s. – introducendo più moderne e agili procedure con “mezzi informatici o telematici o mediante fax […] secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno”. In virtù di tale modifica, è stato poi adottato il d.m. 7 gennaio 2013, il quale – pur non eliminando radicalmente i sistemi di comunicazione tradizionale – ha dato netta prevalenza alla trasmissione telematica, in coerenza, tra l’altro, con il principio di dematerializzazione.
Questa complessiva riforma, come si vede, non riguarda però l’identificazione degli ospiti, il cui precetto è invece rimasto sostanzialmente immutato nel tempo, sin dal 1931, e va rintracciato non nel comma 3, ma nel comma 1 dell’art. 109 TULPS, laddove la disposizione prescrive di “dare alloggio esclusivamente a persone munite della carta d’identità o di altro documento idoneo ad attestarne l’identità”. Non c’è stata alcuna abrogazione dell’obbligo di identificazione de visu da parte del d.l. n. 201/2011, come preteso dal Tar, né dunque alcuna illegittima reintroduzione dello stesso da parte della circolare del Viminale.
Se si assume correttamente che non vi sia stata alcuna abrogazione, la vicenda in esame assume contorni ben diversi: la circolare, muovendosi sul piano interpretativo dell’art. 109, comma 1, TULPS, si è limitata a indicare, tra le molteplici modalità di identificazione affermatesi nella prassi, l’unica ritenuta capace di corrispondere alla ratio della norma e assicurarne piena effettività. Il precetto di “dare alloggio esclusivamente a persone munite della carta d’identità o di altro documento idoneo ad attestarne l’identità” implica infatti almeno tre distinte, ma contestuali attività: a) verificare la corrispondenza del documento al portatore; b) verificare che il portatore sia la persona cui viene dato accesso alla struttura al momento del check-in; c) verificare materialmente il documento di identità.
Pur a fronte dell’indubbio sviluppo tecnologico che ha interessato il settore della ricettività turistica anche su questo fronte, non pare che le tecnologie attualmente utilizzate a tal fine possano sostituire adeguatamente la tradizionale identificazione in presenza o de visu. Evidentemente inadeguato è l’invio di foto o copia del documento di identità con app di messaggistica (WhatsApp, Telegram, ecc.), dato che non soddisfa nessuna delle tre già menzionate verifiche: a) chiunque può mandare le foto di un documento non suo; b) una persona diversa dal portatore può accedere alla struttura sin dal momento del check-in, una volta ottenuti gli strumenti per l’accesso; c) non è possibile verificare materialmente il documento d’identità.
Insufficienti sono pure le prestazioni offerte da quei sistemi di check-in da remoto che impiegano il riconoscimento biometrico: queste soluzioni dovrebbero assicurare infatti la corrispondenza tra la foto del documento scattata dall’ospite e un selfie scattato dallo stesso. Ma a ben vedere questi sistemi di riconoscimento facciale garantiscono sì la corrispondenza tra una foto di un documento e un selfie, ma non la corrispondenza del documento con il portatore che ha effettivo accesso alla struttura al momento del check-in (che avviene in genere con la semplice comunicazione di codici o apertura da remoto, anche a distanza di tempo).
Risultano più promettenti quei sistemi in cui si prevede l’impiego della videochiamata, la quale consentirebbe di verificare in tempo reale chi accede davvero alla struttura al check-in. Il limite maggiore di queste soluzioni risiede nella circostanza per cui non è comunque possibile condurre una verifica materiale sul documento d’identità, il quale potrebbe essere un falso o oggetto di contraffazioni anche grossolane, identificabili in presenza ictu oculi, ma non da remoto.
Una soluzione che, in ipotesi, potrebbe essere percorsa è quella di combinare l’accesso e il riconoscimento con videochiamata all’identificazione con SPID o CIE. Ma al momento – salvo errore di chi scrive – non risultano sul mercato sistemi di self check-in di questo tipo.
In definitiva, non pare possa ascriversi alla circolare del Ministero dell’interno quel carattere innovativo che vi ha ravvisato il giudice amministrativo (e a conferma di ciò basta ricordare come sui siti web di diverse questure, già prima della circolare, fosse indicato come inderogabile il riconoscimento di persona).
2) Non convince neppure il presunto vizio relativo alla proporzionalità dell’obbligo del riconoscimento di persona. Secondo il Tar del Lazio “l’identificazione de visu non risulta di per sé in grado di garantire l’ordine e la sicurezza pubblica cui mira esplicitamente la Circolare, in funzione anche della ratio dell’art. 109 TULPS, poiché, come evidenziato da parte ricorrente, non fa venire meno il rischio che l’alloggio possa essere, comunque, utilizzato anche da soggetti non identificati dal gestore/proprietario dell’immobile locato (questo dopo il primo contatto). Detto altrimenti, l’identificazione de visu, introdotta dal Ministero resistente con la Circolare impugnata, non risulta onere idoneo a perseguire il risultato posto alla base dell’atto gravato”. E aggiunge che “non è neppure specificato per quale ragione strumenti diversi (ad esempio, la verifica dell’identità da remoto) non siano sufficienti a raggiungere il medesimo obiettivo con minor pregiudizio sui destinatari dell’atto impugnato, ciò in linea col principio di proporzionalità che pure governa l’agire pubblico”.
Qui va fatta necessariamente una piccola premessa al ragionamento: il presidio offerto dall’art. 109 TULPS a tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico non è certo irresistibile, limitandosi all’accertamento dell’identità dell’ospite al check-in. È dunque ben possibile che, in tutte le strutture ricettive prive di una reception presidiata 24 ore su 24, dopo questo primo contatto, accedano illecitamente persone non identificate. L’identificazione prescritta dall’art. 109 TULPS riguarda insomma soltanto gli ospiti identificati al momento del check-in. Tuttavia, dato che la norma è al momento vigente e valida, almeno l’identificazione della persona cui si dà accesso alla stanza dev’essere condotta in modo tale da non ridurre tale attività a un vuoto adempimento burocratico. Detto altrimenti, non pare che la mera possibilità che altri, oltre all’identificato, accedano alla struttura possa condurre a svalutare radicalmente anche le procedure di identificazione al momento del check-in, come fa il Tar del Lazio, per cui “una vale l’altra, tanto non serve a granché”.
Peraltro, il giudice amministrativo forse non si avvede che, mettendo in dubbio l’idoneità della verifica de visu a garantire l’ordine pubblico e la sicurezza, sta invero dubitando non tanto della proporzionalità della circolare, quanto della ragionevolezza dello stesso art. 109, comma 1, TULPS. Difatti, se neppure l’identificazione di persona dell’ospite consente di avere contezza di chi alloggia nelle strutture ricettive, allora è la norma tout court ad essere viziata per irragionevolezza, essendo il mezzo individuato dal legislatore inidoneo a perseguire il fine prefissato. Questo potenziale vizio, però, il giudice amministrativo avrebbe dovuto affrontarlo investendo la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità, non acconsentendo all’identificazione con modalità tali da ridurla a inutile formalità.
3) Infine, sempre secondo il Tar del Lazio, la circolare sarebbe viziata per carenza di istruttoria, “poiché genericamente viene fatto riferimento ad una intensificazione delle c.d. locazioni brevi su tutto il territorio nazionale, in ragione anche del Giubileo della Chiesa cattolica iniziato dal 24.12.2024, nonché ad una difficile evoluzione della situazione internazionale, ma tali affermazioni non sono supportate da alcun dato, necessario proprio a dimostrare la proporzionalità della misura adottata”.
Anche questo passaggio solleva più di qualche perplessità. È davvero necessaria un’istruttoria per giustificare la preferenza per l’identificazione de visu? Questa scelta non è certo motivata dall’intensificarsi delle locazioni brevi, quanto piuttosto dalla necessità di dare effettività al precetto di cui all’art. 109 TULPS, escludendo prassi inadeguate. In questo passaggio il Tar confonde l’occasio che ha suggerito l’opportunità di fare chiarezza – descritta invero in modo sintetico, quasi con una clausola di stile – con la ratio della circolare. Ma ammettiamo pure che l’intensificazione delle locazioni brevi in corrispondenza con il Giubileo sia la ragione di fondo dell’atto (cosa che all’evidenza non è). Sarebbe stato davvero necessario offrire qualche dato a riscontro dei fatti menzionati dal Ministero? Che i flussi e le presenze turistici subiscano un forte incremento durante il Giubileo è un dato di comune esperienza, che non pare affatto necessario argomentare più di tanto.
In sintesi, la sentenza del Tar del Lazio non convince sotto tutte le prospettive e non è da escludere un’impugnazione da parte del Ministero.
Restano però sullo sfondo almeno due questioni: da un lato, la richiesta di semplificazione sempre più pressante da parte di tutti gli operatori dell’accoglienza turistica (dagli alberghi alle locazioni brevi), motivata dalla moltiplicazione di oneri e adempimenti amministrativi prodottasi negli ultimi anni; dall’altro lato, la diffusa inosservanza di fatto dell’obbligo di identificazione de visu, difficilmente compatibile con l’odierna organizzazione dell’accoglienza turistica extra-alberghiera.
Sul primo fronte, più che un alleggerimento degli obblighi – che sono pur sempre posti a presidio di interessi della collettività – sarebbe opportuno intervenire sugli aspetti più pratici: procedimenti, strumenti, modalità attuative vanno ripensati, eventualmente concentrando i canali di dialogo con le molte amministrazioni interessate in un unico sportello digitale di facile accesso. In tal senso, il recente intervento legislativo promosso dal Ministero del turismo con l’introduzione del CIN (art. 13-ter, decreto-legge n. 145/2024) rappresenta una grande occasione persa.
Sul secondo fronte, come si è cercato di argomentare, la soluzione per contemperare ordine pubblico e sicurezza ed esigenze gestionali degli operatori privati non può certo essere quella di un allentamento dell’obbligo di identificazione a tutto favore dei gestori delle strutture ricettive tale da svuotare di senso l’art. 109 TULPS. Vanno piuttosto indagate nuove e più sicure forme di riconoscimento a distanza (un’ipotesi si è fatta supra), che sappiano davvero corrispondere al precetto, senza cadere nella fascinazione per nuove tecniche avanzatissime solo apparentemente risolutive e senza neppure dipingersi un mondo di check-in ipertecnologici che non corrisponde affatto alla realtà di molta parte della hospitality italiana.