di Salvatore Curreri
La decisione della Procura di Roma di iscrivere nel registro degli indagati il capo di gabinetto del Ministero della Giustizia Giusi Bartolozzi con l’accusa di aver reso false informazioni (art. 371 bis c.p.) sul caso Almasri nel corso della sua testimonianza al Tribunale dei ministri suscita non poche perplessità.
Pare evidente, infatti, l’intento dalla Procura di separare la posizione processuale della Bartolozzi da quella degli altri membri del Governo – il ministro della Giustizia Nordio, il ministro dell’Interno Piantedosi e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega ai Servizi Segreti Mantovano – nei confronti dei quali la stessa Procura lo scorso 5 agosto ha inoltrato alla Camera richiesta di autorizzazione a procedere ai sensi dell’articolo 96 Cost.
Mentre, infatti, a questi ultimi sono stati contestati i reati di omissione di atti d’ufficio, favoreggiamento e peculato, alla Bartolozzi è stato contestato di aver fornito una versione inattendibile e mendace dei fatti, affermando di non aver sottoposto, di propria iniziativa al Ministro il provvedimento – predisposto dagli Uffici – di conferma dell’arresto di Almasri disposto dalla Corte penale internazionale. Un’autonoma ipotesi di reato, quindi, che, secondo la Procura, giustifica il motivo per cui per procedere penalmente nei confronti della Bartolozzi non occorra chiedere l’autorizzazione a procedere prevista dall’art. 96 Cost. La prospettiva, quindi, potrebbe essere, in caso di rinvio a giudizio, l’avvio di un processo penale nei confronti del solo capo gabinetto, chiamandovi magari a testimoniare quei membri del Governo che, nonostante il prevedibile rifiuto all’autorizzazione a procedere nei loro confronti, si troverebbero comunque coinvolti nella vicenda, con evidente clamoroso eco mediatica e possibili conseguenze politiche sull’intero esecutivo.
Tale tentativo di separare la sorte della Bartolozzi dagli altri membri del Governo indagati già si scontra sotto il profilo politico con la ribadita piena e incondizionata solidarietà espressa nei confronti del suo capo di gabinetto da parte del Ministro della Giustizia, che in più occasioni ha ribadito di assumersi l’intera responsabilità politica e giuridica della vicenda, smentendo qualsiasi ipotesi tesa ad accreditare un ruolo autonomo della Bartolozzi nella gestione della vicenda.
Quel che però preme maggiormente evidenziare, anche per le conseguenze giuridiche che qui maggiormente interessano, è che il ruolo non marginale svolto dalla Bartolozzi nella gestione della vicenda Almasri è ammesso dalla stessa Procura nelle motivazioni della richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dei tre membri del Governo, dove il suo nominativo ricorre ben sedici volte! Nonostante, quindi, il suo ruolo non marginale, la Procura intende tenere distinta la posizione della Bartolozzi rispetto agli altri ministri indagati, non solo non estendendo nei suoi confronti la richiesta di autorizzazione a procedere ma anche ipotizzando a suo carico una autonoma fattispecie di reato che consentirebbe di agire penalmente contro di lei senza dover chiedere tale autorizzazione, in previsione del (prevedibile) suo rifiuto.
Tale indirizzo della Procura suscita però, come detto, non poche perplessità perché non conforme a quanto la normativa vigente prevede nei casi in cui soggetti terzi siano coinvolti in reati che si ipotizza i ministri abbiano commesso nell’esercizio delle loro funzioni. L’articolo 5 della legge costituzionale n. 1/1989, infatti, prevede espressamente che l’autorizzazione a procedere prevista dall’articolo 96 della Costituzione va chiesta anche nei confronti di persone che non sono membri delle Camere.
Il dubbio se tale riferimento debba intendersi esclusivamente limitato a ministri non parlamentari oppure possa estendersi a soggetti terzi – non facenti parte del Governo – coinvolti nel reato ipotizzato è stato sciolto dall’articolo 4.2 della legge n. 219/1989 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall’articolo 90 della Costituzione), laddove si fa espresso riferimento alla possibilità che l’autorizzazione a procedere venga richiesta, ed eventualmente negata, nei confronti di soggetti né ministri, né parlamentari (c.d. imputati laici).
Pertanto, nell’ipotesi di “concorso” di reato tra ministri e terzi, la Procura delle Repubblica, sulla base dell’istruttoria del Tribunale dei ministri, deve chiedere l’autorizzazione a procedere nei confronti di tutti i soggetti coinvolti, siano essi membri del governo oppure terzi. Spetta poi alla Camera di competenza a decidere, tra tali soggetti, quelli per cui si potrà procedere penalmente e quelli per cui invece l’autorizzazione a procedere va negata per aver “agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico” (art. 9.3 l. cost. 1/1989).
Tutto ciò presuppone però che la Camera sia messa in condizione di operare tale distinzione e quindi che la richiesta di autorizzazione a procedere formulata dal Tribunale dei ministri coinvolga tutti i soggetti coinvolti nella fattispecie penale ipotizzata. In tal senso ci sono numerosi precedenti (v. ad esempio la richiesta di autorizzazione a procedere formulata nei confronti dell’allora Ministro delle politiche agricole Alemanno, nonché di Callisto Tanzi e Romano Bernardoni per l’ipotizzato reato di finanziamento illecito ai partiti).
Consapevole di tale prevedibile obiezione, il Presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera Dori (AVS), a margine della seduta dello scorso 10 settembre in cui è iniziato l’esame della richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del Governo (doc. IV-bis, n. 1), replicando indirettamente alle osservazioni del deputato Iaia (FdI), ha voluto precisare che non occorre chiedere l’autorizzazione a procedere nei confronti della Bartolozzi, perché il reato ipotizzato a suo carico è stato commesso in modo autonomo, per cui sarebbe solo “connesso”, anziché “in concorso” come richiede la legge. Una sottigliezza giuridica diretta a voler formalisticamente separare ciò che, però, nella realtà dei fatti è parte di una complessa vicenda gestita in modo unitario. In altri termini, l’ipotizzato reato di false informazioni non riguarda altro se non la stessa vicenda Almasri, per cui sostenere che la sua intrinseca natura individuale lo renda semplicemente “connesso” alla vicenda Almasri, e non commesso in concorso con il Ministro, significa quantomeno sottovalutare il nesso finalistico e consequenziale che lo lega al reato di omissione di atti d’ufficio contestato al Ministro della Giustizia, giacché esso presuppone proprio la decisione del capo gabinetto di non sottoporre ad esso il provvedimento di conferma dell’arresto.
Alla luce di quanto sopra, quali potrebbero essere i futuri scenari? Certamente, il capo gabinetto potrebbe reagire in sede processuale, eccependo la mancata autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Ma a reagire potrebbe essere la stessa Camera dei deputati. Innanzi tutto, la Giunta per le autorizzazioni a procedere, in un’ottica di leale collaborazione, in prima battuta potrebbe chiedere alla Procura di Roma d’integrare la richiesta di autorizzazione a procedere, estendendola alla stessa Bartolozzi. In tal modo la Procura sarebbe obbligata a motivare le ragioni del disallineamento tra le motivazioni della richiesta di autorizzazione, in cui, come detto, il ruolo della Bartolozzi non appare marginale, e il dispositivo della richiesta in cui invece la richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti non è presente. Al limite, riprendendo un precedente del settembre 2010 (caso Lunardi-Sepe), ricordato dall’allora Presidente della Giunta Castagnetti, essa potrebbe rimandare indietro la richiesta di autorizzazione, senza nemmeno prenderla in considerazione, finché non integrata in tal senso.
Se così non fosse, la Camera potrebbe sollevare conflitto di attribuzioni nei confronti del Tribunale dei ministri, per aver quest’ultimo, stralciando la posizione della Bartolozzi, impedito ad essa di poter esercitare le prerogative previste dalla Costituzione. Non ci sono precedenti specifici sul punto ma già in occasioni simili, allorquando cioè la Procura della Repubblica ha agito nei confronti di ministri senza chiedere l’autorizzazione parlamentare, ritenendo che avessero compiuti reati a titolo personale e non nell’esercizio delle loro funzioni, la Corte costituzionale ha affermato che la Camera di competenza ha il diritto: sia di essere informata al fine di valutare la natura ministeriale o no del reato oggetto di indagine; sia, ove non condivida la conclusione negativa del Tribunale dei ministri, di sollevare contro i giudici conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale, per essere stata menomata, per effetto della decisione giudiziaria, del potere ad essa riconosciuto di valutare se il ministro e gli altri soggetti coinvolti hanno agito in nome di un superiore interesse pubblico (sentenze nn. 241/2009 caso Matteoli, 87/2012 caso Ruby-Berlusconi, 88/2012 caso Mastella).
Insomma, dietro la decisione di iscrivere la Bartolozzi nel registro degli indagati non è difficile intravvedere la volontà di innescare un ennesimo conflitto, stavolta di tono costituzionale, tra magistratura e politica, magari strumentalmente in vista del prossimo referendum sulla separazione delle carriere.
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