di Antonio D’Andrea
Ad ascoltare alcuni intellettuali – e a vederne le corrispondenti espressioni facciali di commiserazione per quanti proprio non vogliono capire il loro dotto, ma implacabile dicere – che da sinistra……esaminano le motivazioni delle più recenti sconfitte delle forze politiche contrapposte alla coalizione governativa di centro-destra guidata dal 2022 da Giorgia Meloni e che, a loro volta, si sono presentate, senza successo, almeno nelle Marche e in Calabria unitesi nel cosiddetto “campo largo”, ci si potrebbe domandare se tali autorevoli opinionisti non ne traggano in realtà un’intensa, intima soddisfazione. Ovviamente, se così fosse, da contenere proprio perché è in forza della loro dichiarata “sofferta” appartenenza che sono chiamati a intervenire e a interloquire in talune trasmissioni “cult”, in prima serata.
Di sicuro un certo “godimento” (e l’ammirazione per l’onestà intellettuale che dimostrerebbero) le loro dichiarazioni lo procurano, per come essi spiegano con dovizia di particolari, in chi si riconosce nel campo politico avverso e vincente. Ed ecco allora alzarsi la nebbia delle parole colte e delle roboanti analisi storiche, filosofiche, sociologiche con qualche notazione antropologica non senza una punta di nichilismo esistenziale, vero o presunto che sia, e l’immancabile stoccata finale: è tutto sbagliato, tutto da rifare a cominciare dalle attuali inconsistenti leadership delle forze politiche avverse alla talentuosa, su questo nessuno discuta, Presidente del Consiglio! In buona sostanza si ritiene che in Italia e, più in generale, nel Mondo – nel tempo dell’irrefrenabile globalizzazione tecnologica, a tacere tutto il resto, che dolorosamente affama vieppiù i diseredati e arricchisce chi è capace di fare fruttare e implementare, attraverso la politica, il proprio know-how – il consenso elettorale è destinato a indirizzarsi verso forze politiche e leader in grado di “taggare” gli elettori magari con fallaci suggestioni, veicolati tuttavia da un linguaggio semplice e diretto, dunque facilmente comprensibile. Messaggi “spot” e modalità comunicative forse rozze, ma certamente preferibili ad analisi comunque incapaci di cogliere la complessità del presente perché rimaste, senza alcuna attrattiva convincente, ferme alle visioni ideologiche riferibili al secolo passato.
Si peccherebbe perciò, nella contrapposizione alla destra vincente, di passatismo nostalgico e inconcludente, secondo la vulgata che ci viene propalata pure con fastidio da chi “lo dice da sempre” (sic)! Dunque se le destre vincono le elezioni e governano le nostre democrazie occidentali è perché assecondano senza imbarazzo questo andazzo post-novecentesco, fatto sì da chiari squilibri economico-sociali controbilanciati tuttavia da illusioni propagandistiche affidate ad abili leadership carismatiche alle quali ci si affida un po’ per dabbenaggine un po’ per disperazione, mancando agli altri – a quelli che potremmo definire la classe dirigente della sinistra alternativa – qualsiasi appeal.
Paradossale tuttavia il punto di caduta di questa teoria: da destra si vincerebbe con qualche abilità comunicativa, certo, accompagnata da adeguati sostegni di varia natura (a partire dalle risorse economiche di coloro i quali “investono” in politica sempre più direttamente in prima persona); da sinistra per tornare a vincere occorrerebbe studiare a fondo le complessità del presente, confidando in qualche personalità al di là da venire, da aspettare con pazienza come si fa con i profeti messaggeri di speranza per tutti (e anche di buon umore).
Insomma una strada tutta in salita quella che attende coloro i quali vorrebbero, qui, ora, adesso, proporsi come alternativa al vento di destra che spira forte e non solo in Italia! Questo catastrofismo cosmico, per il definitivo naufragio del fronte progressista e riformista che vorrebbe restare fedele, persino per ragioni etiche, al modello di Stato democratico-sociale affermatosi in Italia e in buona parte dell’Europa Occidentale nel secondo dopoguerra, ricorda, almeno al sottoscritto, il catastrofismo di altro segno incarnato da Gianfranco Miglio quando, nel trapasso del vecchio al nuovo sistema politico, agli inizi degli anni Novanta, con la prima netta affermazione elettorale della Lega Nord di Bossi, vedeva come ormai prossimo lo “sbrego” della Costituzione repubblicana e la nascita, in un mutato assetto statuale di tipo confederale, della Padania indipendente (da Roma ladrona, si diceva).
In attesa di vedere come andrà a finire in Italia e nel mondo occidentale il “dominio politico” della destra che stiamo sperimentando, si potrebbe intanto indirizzare ai catastrofisti di sinistra operanti in casa nostra un’esortazione, quella – se non di evitare – di controllare il più possibile il pessimismo che trasuda dal loro sofisticato pensiero, sottraendosi all’inevitabile gioco di sponda che la destra facilmente ha dimostrato di saper fare, spesso amplificando e strumentalizzando critiche che sono e restano spesso fumose e comunque improduttive di effetti benefici almeno per la parte politica che si afferma di voler sostenere. D’altro canto è bene indirizzare una pressante richiesta alle attuali leadership delle forze politiche nostrane che stanno provando, non senza battute d’arresto, incomprensioni e diffidenze reciproche tra loro e i rispettivi elettorati, a costruire il cosiddetto “campo largo” in vista del prossimo voto politico generale, tra meno di due anni.
La strada unitaria, per faticosa che sia, e a prescindere dal successo cui pure si aspira, resta un’alternativa politica e prima ancora culturale sensata alla destra solo se riesce a mantenere chiari i confini del “campo” che si indica al corpo elettorale: difesa dello Stato sociale e delle libertà civili, dell’assetto euro-unitario, di politiche europee comuni, nel solco della vigente Costituzione democratica. E non già, ça va sans dire, per difendere quello che pure c’è già (e che rimarrà in piedi), ma per promuovere il molto altro che resta da fare in questo stesso “campo”, senza commistioni con quello degli altri! Magari da qualche tempo a qualcuno sfugge o è sfuggita la differenza tra quel che si prospetta e promuove nei due differenti luoghi dell’elaborazione politico-istituzionale anche a proposito della selezione della classe dirigente; ed è bene non sottovalutare tale questione allorché si chiedono voti per esprimere un’alternativa al governo che, nella realtà, potrebbe talvolta sembrare se non fittizia, poco credibile. Senza scomodare necessariamente sofisticate analisi credo che si possa affermare con semplicità che un confronto elettorale tra candidati e/o forze politiche contrapposte si può perdere anche solo perché si è poco credibili per esprimere un’alternativa rispetto a coloro che già governano così come pure si può essere vincenti, solo perché chi ha governato e vorrebbe continuare a farlo ha ormai perduto la sua credibilità.
In ogni caso l’effettiva tenuta delle democrazie occidentali, e delle correlate regole costituzionali poste a loro presidio, non dovrebbe proprio essere una scelta di campo fatta dagli uni in contrasto con gli altri che, al contrario, vorrebbero sovvertire questa e quelle: l’affermazione dell’indirizzo politico che si esprime quando si è nelle condizioni istituzionali per governare il Paese avendo ottenuto il consenso sufficiente non implica il superamento per non dire il sovvertimento della cornice costituzionale che resta tale per tutte le forze politiche quale che sia la maggioranza che governa. Se così non fosse, per le opposizioni non basterebbe più pensare al cosiddetto “campo largo” per provare a vincere le elezioni, ma sarebbe giunto il tempo di ragionare del contrasto istituzionale per evitare, ancora una volta, l’ennesimo azzardo costituzionale. Su questo siamo d’accordo o serpeggiano tentazioni moderniste che anche la sinistra più avveduta dovrebbe assecondare in concorso con i propositi della maggioranza?
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