Il (presunto) veto presidenziale sul ministro dell’economia è legittimo?

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di Omar Chessa *
Facciamo finta che il Capo dello Stato sia un organo di garanzia costituzionale. Non è un esercizio d’immaginazione troppo difficile, visto che la tesi è parecchio diffusa nell’opinione pubblica e tra i costituzionalisti, da Serio Galeotti in poi. Ora, se il Presidente è garante della Costituzione, può legittimamente rifiutarsi di accondiscendere alle richieste delle forze politiche che paiono di dubbia costituzionalità: ebbene, la proposta di nominare quale ministro dell’economia uno studioso che non fa mistero delle sue perplessità sull’unione monetaria europea conterrebbe un vulnus al dettato costituzionale, tale da giustificare un diniego presidenziale? La difesa dell’euro equivale a difendere la Costituzione vigente?
È evidente che la moneta unica è la madre di tutte le questioni politiche che sostanziano questa fase difficile della nostra storia repubblicana. Le ipotesi sul tappeto sono almeno tre: 1) recuperare la pienezza della sovranità monetaria (e quindi fiscale), abbandonando la moneta unica; 2) non rinunciare all’euro, ma riformando, anche profondamente, l’Unione monetaria; 3) lasciare tutto com’è, perché va bene così. Possiamo sostenere che una di esse goda di un particolare favore costituzionale? Oppure sono materia di dibattito esclusivamente politico, non involgendo problemi di garanzia costituzionale?

La mia idea è che non esista l’obbligo costituzionale di conservare la moneta unica, né l’obbligo di abbandonarla; ma, da convinto europeista, penso anche che l’unione monetaria, così com’è strutturata e quindi con le ricadute che ne discendono per le competenze nazionali in materia di finanza pubblica, sia all’origine di rilevanti problemi di diritto costituzionale e, prima ancora, di gravi difficoltà economiche, occupazionali e sociali, che non aiutano ma indeboliscono la causa dell’integrazione europea.

Ritornando alle prerogative del Capo dello Stato, parrebbe dunque che non sia legittimo porre veti sul ministero dell’economia adducendo come motivazione la necessità di garantire il dettato costituzionale: se la Costituzione non prescrive l’euro, neanche potrebbe autorizzare il Presidente della Repubblica a dire “no” alla proposta di nominare chi è critico nei confronti dell’euro.

Il Presidente Mattarella, allora, è costituzionalmente tenuto a recepire la richiesta delle forze politiche di nominare il prof. Paolo Savona come ministro? La risposta è “sì”, se si accoglie la tesi che l’attività presidenziale debba essere interamente preordinata alla garanzia della Costituzione; invece la risposta è “no”, se si sposa l’idea che l’adozione (o la mancata adozione) degli atti presidenziali, ivi compreso l’atto di nomina dei ministri, non abbia bisogno di giustificazioni costituzionali, che siano aggiuntive rispetto alla norma che assegna alla competenza del Capo dello Stato il compimento dell’atto. L’art. 92 della Costituzione prevede, infatti, che «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri». Il decreto presidenziale di nomina presuppone, dunque, una proposta del neo-nominato premier, ma – trattandosi pur sempre di un atto presidenziale – il Capo dello Stato non è certo obbligato ad accogliere la richiesta primoministeriale; e da nessuna parte sta scritto che possa opporre il suo diniego solo per far valere principi o regole costituzionali.

In conclusione, il trilemma politico “euro sì/euro no/neo-euro” può legittimamente guidare le scelte presidenziali sulla formazione del Governo, senza bisogno di nasconderle sotto la coperta, ormai divenuta troppo corta, dell’idea che ogni decisione del Capo dello Stato debba essere finalizzata esclusivamente alla garanzia della Costituzione.

* Professore ordinario di diritto costituzionale Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Sassari

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10 commenti su “Il (presunto) veto presidenziale sul ministro dell’economia è legittimo?”

  1. Condivido l’analisi del prof. Chessa con la seguente precisazione: il potere del Presidente della Repubblica di nominare il primo ministro, comunque soggetto al voto di fiducia, è la garanzia di una soluzione di ultima istanza per il caso in cui non c’è una maggioranza di governo. Se il Presidente della Repubblica si opponesse all’indicazione di una maggioranza coesa e nominasse una persona ad essa non gradita, si aprirebbe una crisi istituzionale che in ultima analisi si potrebbe risolvere solo all’interno dell’art. 90 con la destituzione del Presidente a maggioranza assoluta del Parlamento, unico giudice possibile della presunta incostituzionalità della scelta del primo ministro dalla maggioranza ma non gradito, per tali ragioni, al Presidente. La soluzione ideata dai costituenti è in piena sintonia con la teoria classica della democrazia rappresentativa, base del costituzionalismo liberaldemocratico, formulata, con precisione e durevole autorevolezza, nel Secondo Trattato sul Governo di John Locke. Il rapporto di rappresentanza fiduciaria fra esecutivo e legislativo è analogo a quello fra Parlamento e cittadini, e la prerogativa del governo (tornata recentemente alla ribalta in UK, per precisare i suoi limiti “naturali”) assomiglia al libero mandato, entrambi indispensabili ma soggetti a massima sanzione (revoca in blocco, dissoluzione, dimissione su sfiducia, destituzione del rappresentante fiduciario da parte o nell’interesse del principale) in caso di conclamata incapacità o abuso. Come concretamente la revoca (scioglimento, destituzione) è esercitata dipende dagli strumenti previsti dalla Costituzione, e per default, dice Locke, nonostante il diritto superiore del principale, in base ai rapporti di forza.

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  2. Mi pare che definire i limiti di questo potere presidenziale sia un problema analogo a quello che riguarda il potere di scioglimento e quello di rinvio delle leggi.
    Sebbene qualcuno ritenga che, dato che la Costituzione tace, il limite non c’è, mi pare che la parte preponderante della dottrina dica che le leggi possono essere rinviate solo per alcune ragioni quali dubbi di costituzionalità o di copertura finanziaria, e che le Camere non possano essere sciolte in presenza di una maggioranza parlamentare solida e di un governo funzionante, almeno senza il consenso di tale maggioranza.

    Così, credo che anche il veto su una nomina ministeriale abbia dei limiti. Non dovrebbe cioè essere possibile, per il Quirinale, rifiutare la nomina di un ministro soltanto sulla base delle sue idee politiche. Se improvvisamente decidiamo (per ragioni validissime!!! che però ai fini di quest’analisi sono irrilevanti) che invece il veto presidenziale può avere ragioni politiche, non so più che cosa ci distingua dal semipresidenzialismo.

    Se un presidente dovesse interpretare le proprie prerogative in modo tanto estensivo, starebbe cambiando la forma di governo italiana da repubblica parlamentare a repubblica semipresidenziale, senza che questo cambiamento passi dall’art. 138 della Costituzione. Lo dico timidamente perché è difficile associare una parola del genere all’inquilino del Quirinale, anche soltanto in via ipotetica, ma a casa mia questa è la definizione di golpe. E questo parlamento è capace pure di servirsi dell’art. 90 e votare lo stato d’accusa, dato che stavolta le ragioni sarebbero pure piuttosto solide. Alla fine, non dubito che Mattarella si dimetterebbe da sé, per risparmiare alla Corte Costituzionale e all’Italia intera l’imbarazzo di doverlo giudicare colpevole per aver fatto quella che ci pare anche una cosa giusta, ma che purtroppo è illegale.

    Ma non è meglio invece che Mattarella rimanga dov’è, e si opponga non alle idee politiche astratte, ma a quegli atti concreti che rischieranno di portarci alla catastrofe?

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  3. Discussione interessante che però non tiene sufficientemente conto dei precedenti analoghi, pur recenti, che coinvolsero il Governo Berlusconi, allorquando Scalfaro si rifiutò di nominare ministro della giustizia l’avvocato Cesare Previti, e il Governo Renzi, con il veto posto da Napolitano a Gratteri.
    Non ricordo che alcuno sollevò dubbi sulla costituzionalità degli atteggiamenti presidenziali ma, soprattutto, la responsabilità delle forze politiche e dei Presidenti del Consiglio dell’epoca scongiurarono la guerra tra istituzioni.
    Ciò che noto, invece, è l’assoluta indifferenza dell’attuale “maggioranza” politica rispetto alla tenuta dell’assetto istituzionale, con attacchi velati e non velati all’indirizzo del Colle.

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  4. Condivido ogni parola del bel commento di Wilmer Riciotti, anche l’ultima frase. Tutti siamo preoccupati per la partita di braccio di ferro che si sta giocando. Ogni tanto bisogna osare e parlare fuori dai denti: l’Italia, la democrazia, la pace sociale, la stabilità dell’eurozona corrono un grave pericolo. La situazione attuale è stata creata ben prima delle elezioni del 4 marzo. Dal 2015 al 2016 l’azione principale del governo consisteva in una revisione delle regole del gioco che dovevano garantire la sua permanenza al potere, invece di concentrarsi sulle riforme economiche. Non basta avere la più bella costituzione al mondo. La causa dell’impasse e dell’imminente catastrofe non è un’imperfezione della costituzione, ma la retorica politica, i programmi degli attori, l’analisi compiacente e vanitosa dei commentatori, interessati, e l’indulgenza, a volte l’ammirazione, dell’opinione pubblica nei confronti di chi barra, mente, inganna, tradisce.

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  5. ma se non posso fare nominare un ministro euroscettico, allora non dovrebbe essere nemmeno permesso scrivere programmi elettorali in cui si mette in discussione l’europa. considerato che nemmeno l’adesione e’ stata sottoposta al popolo, che per di piu’ non potrebbe modificarne i termini, si arriva alla conclusione: e’ fuori luogo andare al voto con programmi che mettono in discussione l’europa; infine pare evidente che noi non abbiamo una piena democrazia, ma solo una democraziache non include le decisioni sull’europa. basta dirlo e ce ne faremo una ragione. tanto ormai fatto 30, possiamo fare 31.

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  6. Prima che cali stasera il sipario e prima che domani aprano i mercati, provo a dire qual è il vero problema, non in astratto ma in concreto. Il vero problema non è la costituzione ma gli attori politici, non è il potere di nomina e nemmeno la scelta del ministro dell’economia, ma è Salvini, il programma, la propaganda e le posizioni della Lega, e dell’intero centrodestra, la debolezza delle promesse dei pentastellati e la loro sudditanza nei confronti della Lega, il contenuto insostenibile del contratto di coalizione che porterebbe i conti pubblici fuori strada, creerebbe gravi rischi all’eurozona, stroncherebbe la debole ripresa attraverso un aumento del costo del denaro e causerebbe nuovi fallimento e sofferenze bancarie, impoverirebbe ulteriormente gli Italiani. Complici di questa situazione davvero catastrofica sono quelli fra i precedenti governanti che hanno utilizzato metodi demagogici e forzature similari, i rappresentanti dei due principali schieramenti dell’establishment politico ora al tramonto. Quale soluzione? Cercare e dire la verità, non negare la realtà e gli interessi concreti fra cui quelli dei lavoratori e dei risparmiatori, rifiutare, escludere dal dibattito e bocciare al voto chi bara, mente, inganna promettendo l’impossibile o proseguendo politiche truffaldine e dannose per il paese e per i cittadini più deboli.

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  7. Mi scusi ma addurre motivazioni politiche su un rifiuto di uno dei nomi proposti dal presidente del consiglio mi sembra altamente al di fuori delle regole costituzionali. La revisione dei trattati europei era nel programma elettorale dei partiti che formavano questa maggioranza di governo.

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  8. SBAGLIATO
    tale potere di veto non è legittimo affatto
    il capo dello stato non può mettere veti al presidente del consiglio sulla nomina dei ministri.
    Questo lo dicono i padri costituenti della Repubblica Italiana e costituzionalisti considerati dei luminari come quelli indicati qui sotto,
    Qui riporto le dichiarazioni di due padri costituenti fondamentali nella Costituente del 1946.
    COSTANTINO MORTATI ‘’Istituzioni di diritto pubblico’: ‘’L’avere condizionato la nomina dei ministri alla proposta del presidente del consiglio, che deve ritenersi STRETTAMENTE VINCOLANTE per il capo dello Stato, è pura e semplice applicazione del principio di supremazia conferito al medesimo e della responsabilità a lui accordata per la condotta politica del gabinetto.
    Responsabilità che ovviamente non potrebbe venire assunta se non potesse giovarsi per il concreto svolgimento della medesima, di un personale di sua fiducia.‘’
    ALDO BOZZI altro padre costituente ‘’E’ quindi evidente che i ministri debbano avere la fiducia del presidente del consiglio ed è da escludere che il capo dello stato abbia il potere di rifiutarne la nomina.
    E poi ci sono le dichiarazioni di due costituzionalisti importanti come Livio Paladin e Temistocle Martines.
    LIVIO PALADIN costituzionalista scrive: ‘’La predisposizione della lista dei ministri da parte del presidente del consiglio costituisce una PROPOSTA VINCOLANTE per il capo dello stato il quale non potrebbe rifiutare alcuna nomina.”
    TEMISTOCLE MARTINES altro costituzionalista decisivo nella giurisprudenza costituzionale e costituzionalista italiano nel suo Diritto costituzionale, Giuffrè, 1997-2011 scrive: ‘’ Il presidente della Repubblica ha uno stretto margine di discrezionalità nella scelta del presidente del consiglio mentre non ne ha alcuno nella scelta dei ministri, formalmente demandata al presidente del consiglio’’.

    ART. 90
    Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione
    ART. 92. comma 2
    Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.
    ”su proposta di questo”
    la nomina che spetta al capo dello stato è solo formale, quella che spetta al premier è sostanziale
    ART. 95.
    Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile.

    Ovvero si evince che la responsabilità politica appartiene al presidente del consiglio e non al capo di stato che NON E’ RESPONSABILE degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni
    Inoltre il capo dello Stato è anche il capo delle forze armate quindi potrei capire un potere di veto AL LIMITE sul nome del ministro della difesa come successe con Previti, ma non con un ministro dell’economia che è un ministero politicamente rilevante ai fini del programma economico e quindi attinente alle prerogative del presidente del consiglio.

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  9. I limiti entro cui il Presidente della Repubblica può esercitare il diritto di veto alla nomina di un ministro proposto dal Presidente del Consiglio incaricato sono stabiliti dagli articoli 54 e 97 della Costituzione che trattano rispettivamente della onorabilità e della capacità del candidato. Le convinzioni politiche non sono prese in considerazione. Mattarella ha abusato delle sue prerogative.

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  10. Mi chiedo perchè i costituenti abbiano scritto :
    “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”
    e non abbiano invece scritto:
    “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e RATIFICA, su proposta di questo, le nomine dei ministri”.

    insomma .. l’italiano è opinabile ma fino ad un certo punto..

    Poi vorrei dire.
    Anche Mattarella è un Costituzionalista e a differenza di Mortati o Bozzi è ancora in vita e valuta secondo i nostri tempi.

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