La cultura del Capo

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di Antonio D’Andrea

Tra le tante considerazioni che si possono fare guardando agli sviluppi della crisi di governo apertasi a seguito del voto politico dello scorso 4 marzo vorrei portare l’attenzione sulla scaturigine di molti equivoci che mi pare siano emersi. Essa risiede non solo nel nefasto meccanismo elettorale che, da un lato, ha promosso la formazione di coalizioni e, dall’altro lato, reso possibile la loro istantanea dissoluzione in sede parlamentare così come è apparso evidente da subito, sicuramente ancor prima della sua applicazione. Ma appunto non è sulle disposizioni elettorali con cui abbiamo scelto – si fa per dire – deputati e senatori che vorrei soffermarmi anche perché il tema è stato ampiamente trattato anche dal sottoscritto in questa stessa sede. A me pare piuttosto che le certamente anomale modalità di gestione della crisi da parte del Presidente Mattarella e la sua ferma – si fa per dire – reazione nel non dare seguito alla nomina del ministro dell’economia prospettatagli – si fa per dire – dal Presidente del Consiglio incaricato nel pomeriggio della scorsa domenica, siano figlie di una cultura istituzionale che ha messo inopinatamente al centro del balbettante ancorché etereo sistema politico italiano, i “capi” di quelle formazioni che ancora si aggirano sulla scena rimasta vuota nel “teatro costituzionale” pericolosamente lesionato.

Non sto a dire da chi proviene l’azione sistematica di scasso anche perché adesso la commedia è iniziata e occorre che finisca prima possibile nell’interesse di tutti. Sia che vinca sia che perda in occasione della competizione elettorale il partito o movimento, oramai, si identifica in un capo (che come tutti i capi finisce per avere un manipolo di fedeli discepoli spesso pronti alla bisogna a servirne uno nuovo). Il capo decide chi si candida (e presumibilmente chi verrà eletto), con chi ci si allea prima e dopo il voto (e a che condizioni) e a maggior ragione chi porre alla guida dell’Esecutivo (specie se non può essere lui stesso) e naturalmente chi deve fare il ministro e con quali responsabilità. Il capo in “combutta” con altro capo può essere perciò in grado di confezionare un “pacchetto governativo” bello e finito! Alla fine delle sue fatiche il capo può per magnanimità – si fa per dire – chiedere il conforto di quello che ha deciso alla “sua” base che immancabilmente sarà plaudente! Ed ecco allora che tutto il sistema parlamentare finisce per ruotare intorno ad un manipolo di soggetti – una sorta di Conferenza di capi partito – e chiunque provi a mettere in discussione quanto stabilito, non tanto all’interno delle forze politiche e parlamentari controllate e supine ai loro desiderata per ragioni strutturali note, fosse anche il Capo dello Stato nell’esercizio delle sue funzioni, rischia di vanificare tutto e di essere oggettivamente responsabile del fallimento delle “buone” e “proficue” soluzioni individuate con modalità spacciate come in linea con i tempi e desiderate in modo chiaro – si fa per dire – dalla maggioranza del corpo elettorale . Mi chiedo perché nei fatti la politica nazionale sia dovuta inesorabilmente trasmigrare dai partiti politici (parlo ovviamente della forma strutturata e riconoscibile di queste associazioni collettive) ai cartelli elettorali detenuti e gestiti da capi e come sia possibile rilanciare l’approccio certamente presupposto dal dettato costituzionale vigente. In occasione di questa ultima circostanza, vale a dire risolvere (se naturalmente è possibile) una “classica”, ennesima crisi di governo, più di ogni altra cosa e più quanto già registrato in occasione della campagna elettorale mi ha colpito l’assenza di forze politiche vive, capaci di assumere iniziative intellegibili oltre le parole e le azioni confuse di chi oramai le dirige senza neppure faticare troppo.  Se si dovesse continuare su questa china sarà difficile che ciascuno degli stessi organi costituzionali resti al posto che gli è stato assegnato in astratto. Vabbè la duttilità del sistema di governo parlamentare ma ammortizzare la dilagante cultura del “capo” di forze politiche destrutturate che può fare e disfare liberamente quando è un “capo vincente” non sarà impresa facile per nessuno ove lo si voglia, anche legittimamente, fermare.

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