Il “grand debat national”: un’altra occasione per riflettere sulla democrazia deliberativa

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di Martina Trettel

Il grand debat national, il principale strumento elaborato dal governo francese per rispondere al movimento di protesta avviato dai “gilet gialli” è oggetto di grande interesse, non solo per l’attualità degli accadimenti, ma anche per il profilo “deliberativo” che lo contraddistingue.

Si tenga infatti presente che, forse per la prima volta, si impiega uno strumento della c.d. democrazia deliberativa (perché di questo si tratta a tutti gli effetti) per arginare una situazione emergenziale e avviare un dialogo con i cittadini al fine di disinnescare il conflitto e trasformarlo in azioni positive e soluzioni concrete. Le modalità con cui le istituzioni impiegano (e piegano) la democrazia deliberativa per trasformarla in pratiche concrete è tanto affascinante (per la mancanza di precedenti) quanto stimolante (dimostrando quanto probabilmente queste pratiche davvero possano rappresentare il futuro delle strutture democratiche rappresentative).

Parrebbe, visto il ruolo centrale che è stato affidato in questo percorso alla Commision Nationale du Débat Public (CNDP), che lo strumento sia stato ideato proprio prendendo le mosse dalla ventennale esperienza francese con il débat public: quel  passaggio procedurale di confronto deliberativo tra pubblica amministrazione e società civile (singoli cittadini, associazioni, organizzazioni non governative ecc.) nella formazione delle decisioni riguardanti opere e infrastrutture che hanno un particolare impatto sociale e ambientale.

Uno dei profili di interesse è da individuarsi nell’impatto nazionale che vuole avere il grand debat, pur facendo perno in prima battuta sugli enti territoriali di livello locale per portare capillarmente su tutto il territorio i dibattiti da cui (secondo le intenzioni del governo) dovranno emergere proposte e iniziative per superare questo momento di impasse. Per dare uniformità ai dibattiti locali, la CNDP ha elaborato un manualetto in cui vengono spiegate, in termini molto concreti e pratici, le modalità secondo cui sviluppare i micro-dibattiti a livello locale che, solo in un secondo momento, troveranno macro-rilievo a livello nazionale.

Questo intreccio tra livello di governo locale e nazionale, evidenzia la capacità della democrazia deliberativa di infittire la rete dei rapporti intergovernativi, creando percorsi istituzionali che possano interessare contestualmente diverse sfere ordinamentali, ciascuna impegnata a darvi attuazione tramite gli strumenti messi a disposizione dalla rispettiva struttura istituzionale.

Tuttavia, sono gli stessi elementi appena rilevati (la mancanza di precedenti, la scala di impatto nazionale e la situazione conflittuale a cui si cerca risposta) a mettere in luce i moltissimi rischi connessi a questa sperimentazione. Infatti, le procedure di coinvolgimento della cittadinanza con metodi dibattimentali-deliberativi servono a integrare le tradizionali procedure rappresentative e ad avviare un percorso di coproduzione normativa in un momento come quello attuale in cui la gran parte dei cittadini (e i gilet gialli ne sono la riprova) faticano a sentirsi rappresentati dai partiti politici. Non trattandosi di una sostituzione, bensì di un’integrazione, le opinioni dei cittadini che emergono in questo genere di dibattiti vengono canalizzate in forma di report e documenti riassuntivi, ovviamente caratterizzati da un alto grado di semplificazione e generalizzazione.

Per di più, gli esiti (dotati di efficacia consultiva) di questi dibattiti vengono trasmessi ai soggetti competenti per l’adozione delle decisioni pubbliche relative ai temi discussi che hanno, di fatto, la potestà di impiegarli nella maniera che vogliono, rischiando – qualora non vengano correttamente tenuti in considerazione – di frustrare l’enorme lavoro fatto e di sminuire il ruolo affidato ai cittadini. È per questo che le pratiche della democrazia deliberativa necessitano di essere corredate da schemi regolativi in grado di garantire il rispetto di queste procedure anche una volta conclusa la fase della partecipazione e del dibattito.

Alla luce di queste dinamiche l’interesse verso questa esperienza rimane sicuramente alto, così come lo sono le speranze che il processo possa condurre a uno scioglimento della situazione di tensione per cui è stato avviato. Allo stesso tempo, tuttavia, c’è il forte timore che il governo francese abbia puntato troppo (e troppo presto e troppo in fretta) sulla democrazia deliberativa, rischiando così di bruciare sul nascere un metodo democratico nuovo che però necessita di più tempo e forse anche di più pratica prima di poter essere lanciato nell’orbita dei problemi nazionali e costituzionali.

Questo esempio, i cui esiti saranno da valutare attentamente, suggerisce che comunque in futuro queste pratiche serviranno sempre più. L’osservazione della realtà circostante insegna infatti che la politica non si farà più (soltanto) per partiti ma (anche) per ambiti settoriali e in questo le procedure della democrazia deliberativa, se correttamente strutturate e applicate, potranno costituire un valido alleato.

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1 commento su “Il “grand debat national”: un’altra occasione per riflettere sulla democrazia deliberativa”

  1. Temo che l’analisi non colga né la natura né il rischio dell’impresa. Conosco molto bene la Francia. Ho fatto i miei esami di giurisprudenza con alcuni personaggi poi diventati ministri o giudici costituzionali.

    La Francia e Macron (che ammiro, ma non incondizionalmente) sono in enorme difficoltà. Il governo ha reagito tardi e in parte male alla protesta dei gilets jaunes. I costituzionalisti francesi stanno scoprendo solo ora l’indispensabile strumento dell’iniziativa popolare con eventuale verdetto popolare (a condizioni quantitative molto severe, se no degenererà). Carré de Malberg nella sua ultima fase di pubblicista (primi anni 30) aveva comunque rivendicato la necessità del referendum d’iniziativa popolare come CORRETTIVO della democrazia rappresentativa (tendente se no verso l’autoreferenzialità; cf III République). E l’ha fatto opponendosi a Kelsen, contro il rischio di dispotismo di giudici nominati. Il momento iniziale del gaullismo ha riaffermato le stesse teorie completate o alterate con il caso molto diverso del referendum popolare in materia costituzionale indetto dal Presidente della Repubblica, anche prima che fosse eletto direttamente. Anzi questo tipo di pseudo-referendum popolare, in realtà plebiscitarioo, è stato utilizzato da De Gaulle per riscrivere la Costituzione violando la procedura di revisione prevista da quella vigente. Oggi i consulenti di Macron e i costituzionalisti francesi ridiscutono della legittimità di questa modalità o forzatura gaullista da utilizzare nuovamente (cf. JB blog, recenti articoli sulla revisione da ratificare attraverso il plebiscito e sullo strumento referendario).

    Il ‘Grand débat national’ non è uno strumento di democrazia diretta o deliberativa, non viene dal basso, non è uno strumento di correzione spontaneo, ma è deciso dall’alto e diretto a certi fini del presidente e della maggioranza. Questo non è illegittimo, ma pericoloso.

    Il rischio di quest’idea e di Macron in particolare è che la gente, per ragioni non inerenti al dibattito e alle future riforme (fiscali, costituzionali, poco importa), voti contro perché intende dare una lezione al governo, rendendo vere riforme condivise ancora più difficili.

    L’Italia né ha già fatto la triste esperienza (non ancora digerita e assimilata): una riforma condivisa al 80% da un’ampissima maggioranza nel paese è stata bocciata dal 60% degli elettori per punire il governo per le forzature del restante 20%, peraltro in parte esterne alla revisione costituzionale (legge elettorale).

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