Cambi di maggioranza e svolte improvvise della legislazione. Un vero problema a cui la Corte costituzionale potrebbe porre rimedio

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di Glauco Nori

Il richiamo dell’art.1 della Costituzione, secondo il quale la sovranità appartiene al popolo, talvolta può far sorgere qualche dubbio per le condizioni in cui viene fatto. Ne prevede l’esercizio non solo nelle forme ma anche nei limiti della Costituzione, forme e limiti anche essi fondati sulla volontà del popolo. In prima approssimazione se ne deduce che con la sovranità non si può giustificare tutto quello che estemporaneamente vuole il popolo, o chi per lui.

La Repubblica democratica, come l’Italia è definita nel primo comma, ha subito una evoluzione.

“La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni”: questo era il testo d’origine dell’art.114. Lo Stato non era richiamato perchè si identificava con la Repubblica della quale le Regioni, le Province e i Comuni erano componenti. Oggi, secondo il nuovo testo dell’art.114, lo Stato, insieme agli enti territoriali, è uno degli elementi che costituiscono la Repubblica. Il popolo esercita la sua sovranità con il voto qualunque sia il livello dell’ente ed il territorio di riferimento. ma la sovranità non si estende agli enti territoriali ma è solo dello Stato di cui del popolo viene ad essere un organo.

La sovranità dal punto di vista pratico, anche se con qualche approssimazione, può essere intesa come il potere di determinare i propri obiettivi ed i mezzi per attuarli, anche contro la volontà dei controinteressati, con tutti gli effetti strumentali conseguenti. Per questo non sono sovrani quegli enti le cui sfere di competenza sono definite dallo Stato.

Queste premesse, per come sono proposte, potrebbero sembrare inutili e lo sarebbero se non sorgesse talvolta il dubbio che ci si dimentichi che lo Stato e gli enti territoriali restano sempre gli stessi soggetti qualunque sia l’orientamento che assume il loro popolo.

Alla sovranità si richiamano spesso le formazioni politiche, siano partiti o coalizioni, per neutralizzare le critiche alle modifiche delle leggi varate dalla maggioranza precedente. La sicurezza, con la quale l’argomentazione viene proposta, fa pensare che sia considerata indiscutibile. Può essere utile, non foss’altro per eliminare i dubbi, una verifica, per brevità limitata allo Stato ed al caso della nuova maggioranza che a breve termine modifica sostanzialmente, o abroga, una legge già in vigore.

La modifica o l’abrogazione di una legge costituisce una forma di smentita del potere di cui era espressione. E’ prevedibile l’obiezione: nessuna legge è immodificabile se non si vuole menomare il potere legislativo. Da verificare è se può essere fatto sempre, in qualsiasi modo e misura, o se non si incontri qualche limite. In altre parole, una legge può essere sempre modificata o abrogata solo perchè la nuova maggioranza la pensa diversamente?

La domanda può sorprendere dal momento che della risposta positiva sembra che non si sia mai dubitato. Questo, peraltro, non dovrebbe impedire di proporla.

Lo Stato, vale la pena di ribadirlo, è una persona giuridica che mantiene la sua fisionomia qualunque sia la maggioranza espressa dal popolo. Che il popolo, inteso come complesso dei cittadini con diritto di voto, per essere sovrano possa cambiare opinione in qualsiasi momento è un fondamento della democrazia. Non per questo si puo dire, senza argomentarlo, che la sovranità del popolo si trasmetta nelle stessa estensione al Parlamento: oltre ai limiti previsti dalla Costituzione, potrebbe incontrarne qualche altro imposto da principi non espressi.

Il c.d. legislatore puo sicuramente intervenire quando sono modificate le condizioni presupposte dalla legge precedente o quando ha prodotto i suoi effetti per un tempo ritenuto sufficiente a realizzare gli obiettivi programmati. Da verificare è se lo possa fare a breve scadenza quando le condizioni sono immutate solo perchè la nuova maggioranza, o la stessa, ha cambiato opinione. Per evitare equivoci, va ribadito che non si mette in dubbio la sovranità del popolo; si propone solo di domandarsi se il Parlamento, che del popolo è rappresentante, la possa esercitare con la stessa estensione.

La legge, nel regolare i rapporti all’interno di una comunità, crea affidamenti. La tutela di certi interessi, direttamente o indirettamente, può ridurre quella di altri, inducendo I titolari a prendere le iniziative conseguenti nei limiti della prevedibilità. Se cambia la situazione sulla quale la legge era intervenuta, la sua modifica diventa prevedibile, come è prevedibile a condizioni immutate, ma dopo un certo periodo di tempo.

La prevedibilità è fondata sulla ragionevolezza. Non dovrebbe rientrare nella normalità delle previsioni che il legislatore assuma posizioni contraddittorie a termine breve senza motivi verificabili. Più che di un limite esterno al potere, come quelli richiamati dall’art.1. Cost., sarebbe un principio di coerenza interna da seguire, e forse a maggior ragione, proprio perché il potere esercitato è sovrano.

Il potere sovrano è un potere solitario, nel senso che, chi ne è investito, è posto ad un livello nel quale nessun altro potere o soggetto si trova. Lo Stato lo esercita per mezzo del popolo, costituito dall’elettorato, al quale la sovranità “appartiene”, in forma quasi proprietaria. La sovranità, dunque, compete ad una compagine sociale che la esercita con effetti anche verso chi non ne fa parte in quanto non elettore.

Il popolo può assumere configurazioni diverse per la diversità delle occasioni in cui è chiamato ad esercitare la sua sovranità. Resta sovrano anche quando le elezioni sono per le regioni e per i comuni. perchè, come è stato già rilevato, non c’è corrispondenza, sotto il profilo della sovranità, tra il popolo e l’ente per il quale si trova a votare.

Il popolo può assumere nel tempo posizioni contraddittorie perché glielo consente il diritto di voto. Che lo possa sempre fare anche il Parlamento, perchè ne è rappresentante, non dovrebbe essere considerata una conseguenza indiscutibile.

Uno dei principi costituzionali, non espressi ma desumibili, è la ragionevolezza, Per escludere la violazione dell’uguaglianza la Corte costituzionale ha sempre fondato sulla ragionevolezza la legittimtà di discipline diverse per situazioni analoghe. In questi casi opera come limite esterno, nel senso che incide sui contenuti della legge. Il principio potrebbe operare anche come limite interno, impedendo al legislatore, qualunque sia il contenuto delle norme, di contraddirsi smentendo, a condizioni invariate, quanto disposto poco prima. Non sarebbe coinvolta la sovranità, intesa come indipendenza da altri poteri, secondo la formula medievale rex superiorem non recognoscens in regno suo est; si richiederebbe la coerenza e di non contraddirsi senza un motivo ragionevole. Un caso sospetto può essere proprio quello dell’abrogazione di una legge, che ha appena cominciato a produrre i suoi effetti, solo perchè la maggioranza parlamentare assume un orientamento diverso.

Anche se la sovranità del popolo andasse estesa al Parlamento, sarebbe ugualmente da domandarsi se il legislatore si debba attenere alla ragionevolezza nella seconda delle forme indicate. Rispondendo di no, si consentirebbero contraddizioni che potrebbero pregiudicare gli stessi interessi che si dichiara di voler perseguire.

Nel caso della politica industriale, per esempio, un cambio delle normative impone agli operatori la predisposizione di programmi e mezzi nuovi. Se il cambio interviene a breve, ma dopo che al programma è stato dato corso, si finisce col danneggiare chi, fidando sulla legge, ha già preso le iniziative necessarie. In pratica, sarebbero provocati danni al settore nell’interesse del quale si dichiara di volere intervenire e questo ad opera dello stesso Stato che poco prima aveva dato indicazioni diverse. È sempre con lo Stato che il singolo entra in rapporto. Il fatto che sia opera dal Parlamento non cambia i termini della questione perché resta impegnata la responsabilità dello stesso soggetto – lo Stato – del quale è organo.

Oggi sono disponibili mezzi di organizzazione industriale che operano a velocità impensabili fino a poco fa. In un periodo di qualche mese si possono avere effetti tali da provocare, cambiando il programma, un pregiudizio serio alla posizione sul mercato, anche internazionale, di chi ha cominciato ad adeguarsi.

La posizione del popolo e quella del Parlamento vanno, dunque, tenute distinte. Il primo è sovrano nel dare allo Stato gli orientamenti di politica generale; che lo sia il secondo nella stessa misura quando deve attuarli, non va dato per scontato, perché il Parlamento nell’attuazione di quelle politiche incide sulle posizioni dei soggetti destinatari. La Corte costituzionale più di una volta – e recentemente nella sentenza n.117/2016  ha rilevato nelle leggi “il combinato operare dei principi … di ragionevolezza e affidamento”, affidamento che non è pregiudicato da un intervento successivo ragionevole. Quando, a breve scadenza e a situazione di fatto immutata, viene abrogata, o modificata sostanzialmente, una legge che ha cominciato a produrre i suoi effetti, creando affidamenti, non si dovrebbe escludere una verifica sulla ragionevolezza che la Corte costituzionale già esegue nel giudicare sul contenuto delle leggi. Escluderlo, in via di principio, nel caso di contraddittorietà, sarebbe quanto meno imprudente.

Ogni legge, attraverso la modifica della situazione normativa precedente, produce effetti positivi per alcuni e negativi per altri. Un cambio improvviso del rapporto tra danni e benefici dovrebbe quantomeno provocare qualche dubbio. Alla verifica dovrebbe provvedere la Corte costituzionale alla quale la questione meriterebbe di essere rimessa. E lo meriterebbe ancora di più oggi quando la situazione, soprattutto in campo economico, può evolvere in tempi molto brevi.

Il problema non era sfuggito ai Costituenti. Per il Senato nel testo d’origine era stata prevista la durata di sei anni. Come qualcuno nelle discussione in Assemblea Costituente aveva fatto notare, nel caso di cambio della maggioranza avrebbe consentito un passaggio graduale ai nuovi orientamenti, così impedendo anche di mettere subito mano alle leggi più recenti. Per il Senato, che nel frattempo era sempre stato sciolto alla scadenza della Camera, la durata è stata poi portata definitivamente a cinque anni. È stato così eliminato il mezzo di garanzia della gradualità. La contraddittorietà per questo non si dovrebbe ritenere diventata irrilevante quando il rimedio è possibile secondo un principio costituzionale, ripetutamente seguito dalla Corte, la sola competente a fissare la sfera di applicabilità di quel principio.

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