Il caso Gregoretti e le sue complesse implicazioni politico-regolamentari

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di Salvatore Curreri

Nel gioco delle parti sviluppatosi in questi giorni sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex Ministro dell’interno Salvini è forse utile, corrispondendo alle finalità di questa testata, fare un po’ di chiarezza, ricostruendo in ordine cronologico gli accadimenti così da poter poi svolgere qualche considerazione di merito.

1. Al lettore che si volesse cimentare nella lettura di questo contributo (insolitamente lungo, anche per mie abitudini) devo subito una precisazione. In tale ricostruzione, specie per i profili più prettamente giuridici, non mi sono stati d’aiuto gli atti della Giunta per il regolamento, finora invano attesi. Ad oggi, infatti, non sono stati pubblicati né l’ordine del giorno né il resoconto (ancorché sommario) delle sedute che tale Giunta ha svolto nel pomeriggio del 16 gennaio (ore 16), con successivo aggiornamento alle ore 9 dell’indomani. Di conseguenza, circa l’esito dei suoi lavori, ho potuto solo far riferimento al dibattito svoltosi in Assemblea lo stesso 17 gennaio (dalle 12,38).

2. Il 18 dicembre 2019 il Presidente del Senato trasmette alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari la richiesta di autorizzazione a procedere in giudizio nei confronti dell’allora Ministro dell’Interno Salvini, formulata dal Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Catania (IV-bis, n. 2).

Forse non è inutile ricordare – visto quanto erroneamente affermato da un ex ministro per le riforme istituzionali in una nota trasmissione televisiva (senza ovviamente ricevere smentita, il che la dice lunga sulla preparazione giuridica di certi commentatori politici) –  che in questi casi, al contrario di quanto accade per i parlamentari, la camera di appartenenza deve valutare non se l’autorizzazione richiesta dall’autorità giudiziaria nei confronti del ministro abbia un intento persecutorio ma solo se questi “abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo” (art. 9.3 l. cost. 1/1989).

Poiché, ai sensi dell’art. 135-bis, terzo comma, reg. Senato, la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari “presenta la relazione scritta per l’Assemblea entro trenta giorni dalla data in cui ha ricevuto gli atti”, essa avrebbe dovuto concludere i propri lavori entro il 17 gennaio.

Ciò nonostante, nella seduta del 19 dicembre 2019 l’Ufficio di presidenza della Giunta, deliberò all’unanimità che il voto sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini avvenisse il 20 gennaio (ore 17), nonostante fosse a tutti noto la prossimità di tale data con quella delle elezioni regionali in Calabria ed Emilia-Romagna, così da “consentire il sostanziale rispetto del termine di trenta giorni, previsto per l’esame in Giunta dal comma 2 (rectius 3) dell’articolo 135-bis del Regolamento” (dal resoconto sommario della seduta del 19 dicembre della Giunta, corsivo nostro).

Tale leggero sforamento – appena tre giorni – del termine non solo non fu contestato da alcuna forza politica, ma anzi fu frutto di una esplicita richiesta di due esponenti della maggioranza – i sen. Grasso (LeU) e Giarrusso (M5S) – i quali, nella seduta della Giunta delle elezioni dell’8 gennaio 2020 chiesero e ottennero dal suo Presidente di poter “svolgere il [loro] intervento in discussione generale nella seduta del giorno 20 gennaio, atteso che nelle sedute precedenti [sarebbero stati] impossibilitati a svolgerlo in quanto impegnati in una concomitante missione negli Stati Uniti della Commissione antimafia” (dal resoconto sommario della seduta della Giunta delle elezioni dell’8 gennaio). Va ricordato, infatti, che, al contrario di quanto previsto per i membri delle commissioni parlamentari, il Presidente del Senato non può sostituire un componente della Giunta delle elezioni, tranne che egli “non possa per gravissimi motivi partecipare, per un periodo prolungato, alle [sue] sedute” (art. 19, comma 2, reg. Senato).

Da qui una prima osservazione: il mancato rispetto del termine di trenta giorni previsto dal regolamento è dovuto ad un apprezzabile e da tutti condiviso gesto di cortesia istituzionale del Presidente della Giunta delle elezioni nei confronti di due esponenti della maggioranza – e in special modo del sen. Grasso nella veste di unico rappresentante del Gruppo Liberi ed Uguali in Giunta – i quali altrimenti non avrebbero potuto né partecipare ai lavori della Giunta, né votare. Diversamente, se il Presidente della Giunta delle elezioni avesse deciso di porre ai voti la propria relazione entro il 17 gennaio, in scrupolosa osservanza formale del dettato del citato terzo comma dell’art. 135-bis reg. Senato., la maggioranza di certo non avrebbe esitato in quel momento ad accusare, con una certa ragione, il Presidente di volersi profittare della loro assenza per cercare di far approvare la propria relazione (come poi di fatto avvenuto, seppur per altra decisione: § 4).

3. Venuto meno il consenso fino ad allora unanime per il voto del 20 gennaio, per ragioni politiche che qui non vale la pena commentare, era prevedibile che fosse sollevata la questione se il termine di trenta giorni previsto dal regolamento era da considerare ordinatorio o perentorio e se, di conseguenza, la Giunta delle elezioni poteva o no deliberare dopo la scadenza del 17 gennaio. Ciò in considerazione anche del fatto che la Conferenza dei presidenti dei Gruppi parlamentari aveva disposto la sospensione delle attività parlamentari dal 20 al 26 gennaio, come di solito accade in prossimità di elezioni regionali per permettere ai senatori di partecipare alle relative campagne elettorali.

Inizialmente, nella seduta della Giunta delle elezioni del 9 gennaio 2020, gli esponenti della maggioranza di governo hanno sostenuto la non perentorietà del termine di 30 giorni, chiedendo la rimodulazione del calendario dei lavori con conseguente differimento del voto finale, previsto per il 20 gennaio, riassuntivamente per tre motivi: a) consentire l’approfondimento del caso, visto che la pausa natalizia aveva di fatto precluso a diversi senatori la possibilità di consultare e conoscere il fascicolo agli atti; b) dare modo ai membri della Giunta delle elezioni di partecipare alle suddette campagne elettorali, pena una loro discriminazione rispetto ai loro colleghi; c) permettere alla Giunta lo svolgimento di alcune attività istruttorie integrative, specie riguardo alla situazione sanitaria a bordo della nave Gregoretti, ritenute necessarie.

La richiesta di tali ulteriori adempimenti istruttori è stata contestata giacché essi esorbiterebbero dalla competenza della Giunta delle elezioni, la quale sarebbe chiamata solo a valutare, sulla base di una valutazione eminentemente politica, se il ministro nell’esercizio delle sue funzioni di governo abbia o no agito, come detto (§ 2), a tutela di interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico.

Tale valutazione non può però essere assoluta ed astratta, come se la sussistenza di simili interessi giustificasse sempre e comunque l’operato del ministro, il quale, invece, nell’esercizio delle proprie funzioni, può commettere reati a due condizioni: non ledere diritti fondamentali “incomprimibili”, come la vita (per cui, ad esempio, non potrebbe mai autorizzarsi un omicidio di Stato) o la salute; ledere diritti fondamentali comprimibili, come erano nel caso in questione la libertà personale e di circolazione, ma non in modo irreversibile.

Fu proprio l’assenza di tali due condizioni che indusse la Giunta delle elezioni prima e il Senato poi (seduta del 20 marzo 2019) a negare la autorizzazione a procedere nei confronti sempre di Salvini nel caso dei migranti trattenuti sulla nave Diciotti.

Poiché, quindi, in nome di interessi costituzionalmente rilevanti o preminenti interessi pubblici non si possono mai violare diritti fondamentali incomprimibili, né quelli comprimibili in modo irreversibile, la valutazione circa la sussistenza di simili interessi deve essere il risultato di un attento esame delle circostanze di fatto che ne permetta la comparazione con il grado di compressione subìto dai diritti fondamentali coinvolti. Da qui la legittima richiesta dei membri di acquisire ulteriori elementi istruttori, atti ad una più completa ricostruzione della vicenda sotto il profilo costituzionale, e non solo penale.

4. Nella seduta della Giunta delle elezioni del 13 gennaio 2020 la suddetta richiesta di integrazione istruttoria non è stata approvata, grazie sia al voto contrario del Presidente che alle ricordate assenze di due esponenti della maggioranza (il che ha determinato l’abbandono dei lavori per protesta da parte dei senatori della maggioranza). Se il voto del Presidente della Giunta non è certamente criticabile giacché, al contrario del Presidente di Assemblea, quelli delle Commissioni e delle Giunte delle elezioni e delle autorizzazioni per prassi consolidata votano come tutti gli altri loro componenti, perplessità solleva la sua decisione di sottoporre al voto, e quindi alla regola della maggioranza, simili istanze in mancanza di unanimità e per il timore che l’accoglimento di tali richieste potesse comportare il mancato rispetto del termine previsto di 30 giorni per riferire in Assemblea: sia perché esse, al netto di eventuali strumentalità del caso, paiono per loro natura rispondenti al superiore e generale interesse di un più approfondito esame dei profili costituzionali della vicenda, sia perché rimane indimostrato che esse non avrebbero comunque potuto essere soddisfatte in tempo utile.

5. Dinanzi all’opposta interpretazione dei membri della Giunta delle elezioni circa la natura perentorio o ordinatoria del termine di 30 giorni entro cui riferire all’Assemblea (art. 135-bis, comma 3, reg. Senato), la Presidente del Senato ha deciso di sottoporre la questione al parere della Giunta per il regolamento. Decisione certamente opportuna ma, purtroppo, non frequente.

In questi quasi due anni di legislatura, fino alla scorsa settimana la Giunta per il regolamento si era riunita appena due volte: il 18 dicembre 2018 e il 25 luglio 2019. È un dato su cui vale la pena riflettere perché in evidente controtendenza rispetto alle finalità perseguite dalla riforma regolamentare del 20 dicembre 2017. In quell’occasione, infatti, fu introdotta la possibilità per uno o più Presidenti di gruppo di consistenza numerica pari ad almeno un terzo dei componenti del Senato di sollevare una questione di interpretazione del Regolamento, inducendo così il Presidente a sottoporla alla Giunta (art. 18, comma 3-bis, reg. Senato).

Tale innovazione regolamentare perseguiva un duplice scopo: da un lato, recuperare sulle questioni regolamentari la centralità della Giunta per il regolamento, spesso di fatto sostituita in materia dalla Conferenza dei Presidenti di gruppo parlamentare, quale organo in cui si esprimono al vertice la volontà delle forze politiche; dall’altro lato, permettere ai gruppi parlamentari di minoranza, spesso vittime del ricorso da parte della maggioranza a cattivi ed ignoti precedenti (che la riforma del 2017 non a caso ha azzerato), di poter discutere delle questioni interpretative regolamentari nella sede istituzionalmente deputata. Il fatto che la Giunta per il regolamento si sia riunita prima di ora appena due volte è preoccupante dimostrazione di come la riforma abbia fallito in tali scopi, forse perché sono le stesse minoranze parlamentari a continuare a preferire discutere e risolvere altrove le questioni regolamentari.

6. La Giunta per il regolamento affronta la questione della perentorietà o meno del termine di trenta giorni entro cui la Giunta delle elezioni deve riferire in Assemblea in una inconsuetamente lunga seduta, cominciata alle ore 16 del 16 gennaio, aggiornata alle ore 9 dell’indomani e conclusasi (presumibilmente, vista l’assenza del resoconto) intorno alle 12.

La prima questione che la Giunta per il regolamento deve risolvere è però un’altra: la sua composizione. Per capirne il motivo bisogna fare un passo indietro.

Ad inizio della XVIII legislatura il Presidente del Senato, costituiti i Gruppi parlamentari, nomina i dieci componenti della Giunta per il regolamento. Poiché la composizione della Giunta per il regolamento deve rispecchiare “per quanto possibile, la proporzione esistente in Assemblea tra tutti i Gruppi parlamentari” (art. 18, comma 1, reg. Senato), il Presidente nomina cinque senatori della maggioranza di governo e cinque dell’opposizione). Tale equilibrio tra maggioranza ed opposizione si mantiene anche dopo la nascita del governo Conte II, giacché al posto dei due senatori della Lega subentrano per la maggioranza altrettanti senatori del Partito democratico.

Tale equilibrio si spezza però lo scorso 12 dicembre giacché, con il passaggio del sen. Grassi dal MoVimento 5 Stelle alla Lega, i senatori dell’opposizione sono aumentano a sei contro i quattro della maggioranza. Si noti che in caso di cambio volontario di gruppo il regolamento del Senato non prevede la decadenza dalla carica, invece sancita per i vicepresidenti ed i segretari dell’Ufficio di Presidenza (art. 13.1-bis) e per i membri degli Uffici di Presidenza delle Commissioni (art. 27.3-bis). Questo perché i componenti della Giunta per il regolamento, come quelli della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, non sono eletti ma nominati dal Presidente, in base anche ad un rapporto fiduciario.

La prevalenza dell’opposizione sulla maggioranza contraddice però l’art. 18, comma 1, reg. Senato, modificato nel 2017 proprio allo scopo di privilegiare, nella composizione della Giunta per il regolamento, il criterio di proporzionalità su quello di rappresentatività. Il Presidente del Senato, infatti, deve nominare i suoi membri “in modo che sia rispecchiata, per quanto possibile, la proporzione esistente in Assemblea tra tutti i gruppi parlamentari”, al pari di quanto accade per le commissioni parlamentari (artt. 72.2 e 82.2 Cost.). Il criterio della rappresentatività riemerge piuttosto se il Presidente intende integrare la composizione della Giunta, giacché egli può nominare non più di due (anziché, come in passato, quattro) altri membri al precipuo scopo “di assicurar[ne] una più adeguata rappresentatività”.

Nel caso specifico, poiché i tre gruppi parlamentari privi di rappresentanza erano tutti riconducibili alla maggioranza di governo, il Presidente, ad inizio della seduta della Giunta per il regolamento del 16 gennaio, nonostante il parere contrario della maggioranza di questa (e cioè dell’opposizione), ha deciso in piena autonomia di procedere comunque alla nomina dei sen. De Petris (Misto) e Unterberger (Per le Autonomie), lasciando fuori il gruppo Italia Viva-Partito socialista italiano, a quanto pare dietro consenso di quest’ultimo. Si tratta di una decisione tardiva ma senz’altro condivisibile ed opportuna, non solo, come dirò (§ 8), nel metodo ma anche nel merito. perché ha permesso al Presidente nello stesso tempo di dare rappresentanza a gruppi parlamentari finora rimasti fuori dalla Giunta e di riequilibrare (anche se non del tutto) la proporzionalità tra le forze politiche all’interno della Giunta per il regolamento, dove dal 17 gennaio siedono sei esponenti della maggioranza ed altrettanti dell’opposizione.

7. Sciolto il problema relativo alla propria composizione, la Giunta per il Regolamento ha affrontato il tema della natura ordinatoria o perentoria del termine di trenta giorni entro cui la Giunta delle elezioni deve riferire all’Aula in materia di autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri (art. 135-bis, terzo comma, reg. Senato). 

Alla Camera dei deputati tale tema è stato risolto fin dal 1989, stabilendosi in modo inequivoco che su tali richieste di autorizzazione la Giunta per le autorizzazioni debba riferire all’Assemblea “con relazione scritta, nel termine tassativo e improrogabile di trenta giorni dalla trasmissione degli atti da parte del Presidente della Camera” (art. 18-ter, comma 1, reg, Camera, corsivo mio).

Al Senato, invece, il tema è controverso. Da un lato, infatti, la prassi depone per la natura ordinatoria del termine. Di contro, la dottrina prevalente ne sostiene la perentorietà, in considerazione della particolare natura “paragiurisdizionale” delle funzioni svolte in tal caso dalla Giunta delle elezioni e delle immunità, non assimilabili a quelle degli altri organi parlamentari, per i quali non a caso i termini sono solitamente considerati ordinatori.

L’attività della Giunta, infatti, in materia di autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri s’inserisce in un procedimento che prende le mosse ed è destinato a concludersi dinanzi all’autorità giudiziaria e può coinvolge anche soggetti non parlamentari. Per questo motivo l’esame parlamentare della richiesta dell’autorità giudiziaria non può protrarsi all’infinito ma è scandita dal rispetto di termini regolamentari precisi e rigidi, tutti decorrenti dalla ricezione degli atti trasmessi dall’autorità giudiziaria: cinque giorni per il loro invio da parte del Presidente alla Giunta; trenta giorni perché quest’ultima presenti una relazione scritta per l’Assemblea; sessanta giorni perché quest’ultima si riunisca e decida, anche in assenza di relazione (art. 9.3 l. cost. 1/1989; art. 135-bis, commi 1, 3 e 6, reg. Senato).

Pur in assenza del relativo resoconto sommario, si ha ragione di ritenere che siano stati questi gli argomenti che hanno indotto la Giunta per il regolamento, nella seduta del 16-17 gennaio 2020, a respingere all’unanimità la proposta sulla natura ordinatoria del termine di trenta giorni entro cui la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari deve riferire in Aula ai sensi dell’art. 135-bis, comma 3, reg. Senato.

In conseguenza della perentorietà del termine, la stessa Giunta per il regolamento ha altresì respinto la proposta secondo cui le determinazioni della Conferenza dei capigruppo o dell’Assemblea in materia di organizzazione si applicano anche alla Giunta delle elezioni. Pertanto, la sospensione dell’attività parlamentare dal 20 al 26 gennaio, decisa dalla Conferenza dei capigruppo in vista delle elezioni regionali in Calabria ed Emilia-Romagna, non può incidere su attività costituzionalmente necessaria, come la conversione dei decreti legge (come accade per quello su Alitalia) o, per l’appunto, l’esame delle richieste di autorizzazioni a procedere nei confronti dei ministri.

8. Questione risolta? Tutt’altro. Se il termine di trenta giorni andava considerato perentorio, esso scadeva, come detto, lo stesso 17 gennaio, data in cui non era possibile comunque convocare la Giunta, stante il necessario preavviso di 24 ore (art. 29, comma 4, reg.). Da qui la richiesta della maggioranza di governo, in conseguenza della delibera della Giunta per il regolamento, di annullare la seduta della Giunta delle elezioni prevista il 20 gennaio. Seduta che, come ricordato (§ 2), era stata in origine fissata per consentire ai sen. Grasso e Giarrusso di poter partecipare ai lavori e votare.

In considerazione di questo motivo e per permettere comunque alla Giunta di potersi esprimere, evitando che la richiesta di autorizzazione fosse rimessa direttamente all’Assemblea, la  Giunta per il regolamento, nella medesima seduta del 16-17 gennaio 2020, ha deciso (approvando a quanto pare un irrituale ordine del giorno), di consentire eccezionalmente alla Giunta per le elezioni di potersi riunire il 20 gennaio, ritenendo comunque soddisfatto in tal caso il termine di 30 giorni prima considerato perentorio.

Tale decisione, vista la ricordata situazione di parità tra maggioranza ed opposizione (§ 6), è stata presa con il voto decisivo del Presidente del Senato, il che ha ulteriormente acuito le proteste della maggioranza. Sul punto si possono svolgere due connesse considerazioni: una negativa sul metodo; l’altra positiva di merito.

Sul metodo, anche se non è la prima volta che il Presidente del Senato in questa legislatura vota in Giunta per il regolamento (v. seduta del 25 luglio 2019), certamente si tratta di una decisione grave che contrasta con una prassi finora consolidata. Invero, solo chi crede che il diritto parlamentare consista nei regolamenti camerali e non, anche, in precedenti, prassi e consuetudini può affermare, strumentalmente o meno, che il Presidente del Senato può votare in Giunta per il regolamento perché così non vietato dal regolamento. In realtà, il Presidente del Senato finora non ha mai votato, né in Assemblea né in Giunta per il regolamento a garanzia della propria posizione di terzietà. Né si può credibilmente stabilire un parallelo tra i Presidenti di Commissione e il Presidente di Assembla, traendo dal voto dei primi il diritto di voto del secondo, giacché è di tutta evidenza che si tratta di ruoli e funzioni completamente incomparabili.

Lo strappo regolamentare del voto della Presidente del Senato è tanto più criticabile anche perché, stante la parità di voti tra favorevoli e contrari alla deroga, si erano create paradossalmente le condizioni perché esso non solo non fosse opportuno ma neanche necessario.

Troppo spesso, infatti, si dimentica, più o meno colpevolmente, che per espresso dettato regolamentare quelli approvati dalla Giunta per il regolamento sulla interpretazione delle disposizioni regolamentari non sono decisioni ma pareri (art. 18, comma 3, reg. Senato; v. in senso analogo l’art. 16, comma 2, reg. Camera) nei confronti del Presidente, al quale spetta in via esclusiva l’interpretazione e applicazione del regolamento (art. 8 reg. Senato). La trasformazione della Giunta per il regolamento da organo apparentemente consultivo ad organo di fatto deliberativo sulle questioni interpretative regolamentari è la causa prima non solo della sua assimilazione alle commissioni legislative, a cominciare come detto (§ 6) dalla sua composizione prevalentemente proporzionale anziché rappresentativa, ma anche della creazione e legittimazione a colpi di maggioranza di quei cattivi precedenti che purtroppo sempre più contrassegnano, degradandola, l’attività parlamentare.

Per questo motivo la decisione del Presidente del Senato di votare in Giunta per il regolamento non solo è criticabile perché contravviene ad una prassi finora costante ma è anche inutile, poiché il Presidente poteva ugualmente, e anzi più opportunamente, prenderla senza votare, come peraltro aveva poco prima fatto in tema d’integrazione dei componenti della medesima Giunta. Anzi, in prospettiva, la pari rappresentanza di maggioranza e opposizione in seno alla Giunta potrebbe conferire maggiore tecnicità ai pareri da essa espressi.

Il miglior lascito di questa ingarbugliata e complessa vicenda potrebbe essere allora proprio questo: far sì che le decisioni in materia regolamentare tornino ad essere prese dal Presidente di Assemblea, il quale, ascoltate le posizioni espresse in Giunta, decide in splendida e terribile solitudine. Questa mi pare la migliore garanzia perché il diritto parlamentare sia applicato in modo imparziale, senza che la ragione della forza prevalga sulla forza delle ragioni.

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