Ragionando sui limiti costituzionali di una “patrimoniale”

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di Glauco Nori

Stando a qualche accenno, sembra che il Governo, per fare fronte agli impegni finanziari imprevisti fino a poco fa, pensi anche ad una imposta patrimoniale.

Per la diversità dei componenti del patrimonio la struttura dell’imposta può essere diversa. In via preventiva si può solo richiamare l’attenzione su quello che non sarebbe da fare. Il condizionale si giustifica perché, in casi di necessità finanziarie urgenti, la Corte costituzionale si è trovata talvolta costretta a far passare qualche imposta di dubbia legittimità, riconosciuta implicitamente dalla Corte stessa quando ha sottolineato che era solo l’eccezionalità della situazione che la giustificava. Malgrado la illegittimità dell’imposta ha voluto evitare che, in tutto o in parte, andasse restituita, aggravando le difficoltà

Perché nella situazione attuale, indubbiamente eccezionale, la cosa non si ripeta, almeno questa è la speranza, può valere la pena di accennare ai limiti costituzionali dei quali, se anche non  si volesse tenere conto, almeno si discuta.

Non è il caso di richiamare la nozione di patrimonio dal punto di vita tributario. Sembra sufficiente una distinzione fondata sull’origine: quello prodotto da altri e pervenuto, per esempio, per successione o per donazione, e quello che il titolare ha messo insieme con le risorse prodotte direttamente. È con questa seconda componente che si forma quello che può essere definito come risparmio, con la parte non  consumata.

Per rendere l’idea senza complicazioni argomentative, ci si limiterà ai casi di reddito da lavoro subordinato o equiparato, lasciando da parte i redditi, sempre personali, ma non soggetti all’imposta progressiva.

Si può fare l’esempio di Caio, titolare di un reddito da lavoro subordinato, uno dei pochi tassati con criteri conformi all’art. 53 Cost.. O perché è elevato o perché le sue esigenze sono contenute, Caio risparmia una parte del suo reddito che cerca di conservare nelle forme che ritiene più utili (nella eventualità che si sia dimenticato, “conservare” significa mantenere nel tempo). Questa parte può essere colpita con una imposta autonoma?

L’opinione prevalente risulta orientata per il sì. Quando, in qualche occasione, è capitato di discuterne, solo pochi hanno detto di no o hanno avuto dubbi.

Il momento suggerisce di affrontare la questione con l’equilibrio che richiede.

“La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme” (art.47 Cost.). Non sembra il caso di richiamare la discussione che su questo articolo si è svolta in Assemblea Costituente. Dati i tempi, si richiamò la tragedia “di tutta la nostra generazione di piccoli risparmiatori che negli ultimi trent’anni o poco più ha veduto il potere di acquisto della lira ridotto a un centoquarantesimo della lira del 1913”. Per questo è stato dato rilievo anche alla “tutela”.

Si può dire che il risparmio sia tutelato quando, pagata l’imposta sulla fonte, è assoggettato ad un’altra? Starebbe a significare: sei tassato una seconda volta proprio perché, non consumandolo, hai messo da parte una parte del tuo reddito già tassato. Non si può dire che sia un mezzo per incoraggiare il risparmio; tanto meno può essere considerato uno strumento di tutela.

 “Risparmio”, almeno nel senso che è stato seguito nella Costituzione, è quello riferibile al soggetto che lo ha formato. Per tornare all’esempio iniziale, è risparmio quello che Caio ha formato con le risorse che ha prodotto direttamente. Quello che gli è arrivato, per esempio, dal padre in via ereditaria, se anche era risparmio per il padre, non lo è più per lui.

Se si mettesse in cantiere una imposta patrimoniale, sarebbe, pertanto, da non applicare su quella parte di patrimonio che il contribuente ha formato con le risorse risparmiate tra quelle che lui stesso ha prodotto. Questo, naturalmente, nella ipotesi che il Governo intenda attenersi alla Costituzione.

Qualcuno obietterà: chi lo dice che un’imposta del genere sarebbe illegittima? Sarebbe il caso di almeno discuterne in un momento di crisi come l’attuale, nel quale è prevedibile un impoverimento di gran parte della platea dei contribuenti.

Con questo non si intende creare difficoltà a chi sta cercando di risolvere problemi molto seri; si vorrebbe soltanto che si chiarisse se si ritiene che la Costituzione possa essere derogata per stato di necessità. Se così fosse, alla Corte costituzionale competerebbe non solo di verificare se la Costituzione sia stata violata, ma anche se fosse consentito per lo stato di necessità del momento.

Non sembra che questo sia un compito a cui abbia pensato l’Assemblea Costituente.

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1 commento su “Ragionando sui limiti costituzionali di una “patrimoniale””

  1. Chi sostiene la patrimoniale, o non sa di cosa sta parlando (o scrivendo) o tenta di incoraggiare solo le convinzioni di quegli eminenti tributaristi che le esprimono solo per giustificare, in qualche modo, le imposizioni fiscali di uno Stato che non riesce a gestire la spesa pubblica con le giuste e costituzionali entrate fiscali (anche per colpa di chi evade, ovviamente).
    A parte il fatto che le patrimoniali già esistono, vedi IMU, TASI, le imposte di bollo sui conti correnti, il bollo auto (da quando la tassa di circolazione è diventata sulla proprietà), qualsiasi patrimoniale (già esistente o di nuova costituzione) è ingiusta alla radice.
    Per far miseramente crollare qualsiasi argomentazione a sostegno dell’equità di una patrimoniale basta fare un semplice esempio:
    Prendiamo il caso di due contribuenti che nella loro vita lavorativa hanno guadagnato (onestamente si intende) lo stesso capitale complessivo ma che hanno via via disposto diversamente di quanto gli è rimasto dopo aver pagato tutte le relative imposte e tasse:
    – uno ha speso tutto quello che gli restava, evitando qualsiasi sacrificio e non rinunciando a niente di quello che poteva con questo permettersi;
    – l’altro ha invece preferito una vita più spartana, pur di mettersi da parte quel patrimonio (onestamente guadagnato ricordiamolo) che gli consentisse maggiore tranquillità nei periodi bui, nella vecchiaia e, perché no, anche per i suoi figli.
    La patrimoniale colpirebbe e quindi punirebbe (come già in parte punisce) solo il secondo.
    Ma per quale motivo si dovrebbe punire il comportamento mirato al risparmio ed avvantaggiare quello dello scialacquatore, quando da sempre il pensiero collettivo insegna a non sperperare del tutto il frutto del proprio lavoro? Insegnamento così forte e radicato che i padri costituenti lo inserirono nella Costituzione (art. 47 La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme – come giustamente precisato nell’articolo). Non esiste alcun motivo equo!
    Il patrimonio, quello onesto (e personalmente creato), è sempre frutto di sacrifici e rinunce e non è giusto (oltre che anticostituzionale) punire chi si è sacrificato, chi ha rinunciato a fare lo scialacquatore.
    Se lo Stato, a fronte di eventi drammaticamente estremi, decidesse di istituire una patrimoniale, allora affinché questa possa avere una parvenza di equità ed osservi il principio base della Costituzione che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (art. 3), dovrebbe avere come base impositiva non il patrimonio (il risparmio) ma quanto ogni contribuente ha guadagnato in tutta la sua (onesta) vita lavorativa, con una aliquota che tenga conto di quanto egli avrebbe potuto risparmiare (risparmio potenziale).
    E ciò indipendentemente, quindi, da come il lavoratore ha impiegato il suo risparmio potenziale (cioè che l’abbia risparmiato o, di contro, tutto speso).
    Se il contribuente sprecone non ha più denari, questo è solo un fatto tecnico risolvibile in tanti modi, come già risolto per altre imposte e tasse.
    E’ quindi arrivata l’ora che la Corte Costituzionale si esprima finalmente a fare chiarezza, altrimenti questo spauracchio che periodicamente si ripresenta porterà sempre di più anche il contribuente onesto a togliere dalla circolazione i capitali risparmiati, nascondendoli in modi più o meno leciti e, così facendo, ad incrementare la stagnazione di una economia che già ristagna parecchio.

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