Contingenza politica e questioni istituzionali: ancora sul “simbolo” che ha “accolto” Renzi

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di Marco Podetta

Mi fa piacere poter approfittare della recente pubblicazione dell’interessante contributo del professor Salvatore Curreri sulla possibile sorte del Gruppo parlamentare “Italia Viva – P.S.I.”… in relazione a quelle che potrebbero essere le determinazioni – in particolare – del senatore Riccardo Nencini, per tornare a spendere qualche parola su un tema del quale avevo avuto modo di occuparmi sommariamente in sede di commento della corposa proposta di riforma regolamentare approvata dal Senato nel dicembre 2017 (M. Podetta, La proposta di riforma regolamentare all’esame del Senato. Gli inadeguati colpi di acceleratore di fine legislatura, in Nomos, n. 3/2017, p. 8 ss.) e, più compiutamente, proprio all’indomani della costituzione in corso di legislatura della suddetta formazione parlamentare (M. Podetta, La nuova disciplina dei Gruppi al Senato tra demagogia riformista, dubbi costituzionali e distorsioni applicative, in Costituzionalismo.it, n. 1/2020, p. 139 ss.).

A tal proposito, non sorprende dover prendere atto di come uno fra gli allora paventati problemi applicativi delle modifiche introdotte con riguardo alla disciplina dei Gruppi non abbia tardato a manifestarsi concretamente, diventando in questi giorni tema di stretta attualità.

Volendo entrare subito nel merito della vicenda contingente, non paiono in effetti esserci molti dubbi rispetto alla necessità di sciogliere il Gruppo “Italia Viva – P.S.I.” qualora il senatore Nencini decidesse di “andarsene” portando con sé il simbolo grazie al quale era stata ritenuta possibile la sua costituzione nel settembre 2019.

Così almeno a voler prendere sul serio il complesso delle nuove regole restrittive sulla costituzione dei Gruppi (delle quali, invero, come ho già sostenuto, credo si possa peraltro arrivare a dubitare non solo dell’opportunità, ma anche della legittimità costituzionale, con riguardo innanzitutto al rispetto del principio di rappresentanza, ma anche in definitiva del libero esercizio del mandato parlamentare).

Accogliendo la logica assunta dal riformatore e interpretando correttamente le nuove disposizioni introdotte (operazione peraltro non semplice, poiché le stesse si rivelano in qualche caso non del tutto intelligibili) non sembrerebbe infatti nel caso di specie potersi procedere diversamente. Certo, bisogna prendere atto che questo significherebbe poter arrivare a identificare l’esistenza di un Gruppo con un suo solo componente, dando peraltro a quest’ultimo il potere di tenere da solo in scacco gli altri membri; del resto l’interpretazione contraria, che vorrebbe invece considerare la costituzione di un nuovo Gruppo come un fatto concluso all’indomani della sua formazione, permetterebbe ai senatori che hanno aderito ad una nuova formazione politica  di poter approfittare della disponibilità anche di un solo senatore che poteva disporre di un simbolo presentato alle elezioni per potersene poi “disfare” (magari espellendolo) senza conseguenze alla prima occasione utile.

La verità è che il descritto problematico effetto – anche – della soluzione qui accolta discende in realtà dalla distorta applicazione della nuova disciplina sui Gruppi sin dal momento della formazione del Gruppo “Italia Viva – P.S.I.”, il quale, stando proprio alle nuove regole, non avrebbe dovuto poter essere costituito (perlomeno in tale veste e forma, v. infra). A non prendere sul serio le nuove regole sui Gruppi, dunque, è stato da subito lo stesso Senato che, per evitare di assumere una decisione invero perniciosa ed impedire alla neonata formazione politica “Italia Viva” di costituirsi in Gruppo al Senato (così come alla Camera) pur avendone i “numeri”, ha, alla prima occasione in cui esse venivano messe alla prova, nella sostanza disatteso alle nuove regole che si era al termine della legislatura precedente dato pressoché all’unanimità.

Si capisce che se le nuove regole sulla costituzione dei Gruppi fossero state applicate per quello che dicono (e vorrebbero significare), sarebbe peraltro automaticamente “disinnescata” la – comunque in ottica sistematica non accoglibile (come sostenuto in modo condivisibile dal Professor Curreri) – formalistica interpretazione del sesto comma dell’articolo 14 del Regolamento del Senato secondo la quale dovrebbe ammettersi il possibile scioglimento di un Gruppo solo qualora i componenti di un Gruppo regolarmente costituito si riducano nel corso della legislatura ad un numero inferiore a dieci, ipotizzando così la possibilità per “Italia Viva” di rimanere costituita come Gruppo anche in caso di fuoriuscita del senatore Nencini (e perdita dell’aggancio al simbolo P.S.I.).

La “vicenda Nencini” ha se non altro il merito di riportare all’attenzione del dibattito politico e dottrinale le criticità applicative della nuova disciplina sui Gruppi al Senato, che non si riducono a quella menzionata relativa alle conseguenze della variazione della composizione di un Gruppo, ma riguardano ad esempio anche il legame ravvisabile tra un senatore e un simbolo e la stessa individuazione della titolarità di un simbolo, nel caso di specie peraltro – almeno in parte – “risolte” grazie alla storica militanza di Riccardo Nencini nello P.S.I. (del quale è stato in passato anche Segretario) e alla unità di vedute di quest’ultimo con Enzo Maraio, attuale Segretario di quella forza politica.

Più in generale, il fatto che la “vicenda “Italia Viva – P.S.I.”” sia ritornata sotto i riflettori consente una volta di più di problematizzare anche altre criticità applicative delle nuove regole, connesse ad esempio alla non sempre agevole identificazione dei singoli partiti o movimenti politici che si sono presentati alle elezioni (del Senato, secondo quanto richiesto dal quarto comma dell’articolo 14 del Regolamento del Senato anche laddove al secondo e terzo periodo si riferisce solo genericamente alle “elezioni”), nonché alla possibile creazione di un mercato dei simboli.

 A fronte di questo quadro l’auspicio personale sarebbe dunque quello che si potesse cogliere l’occasione quantomeno per ripensare nel complesso le nuove regole sui Gruppi introdotte al Senato, piuttosto che pensare ad una loro estensione sic et simpliciter anche alla Camera, come pure è stato invece da più parti auspicato.

Sapendo però di non potere fare affidamento su tale eventualità, vorrei continuare – se si vuole un po’ provocatoriamente – a pormi nella prospettiva assunta dal riformatore regolamentare con riguardo alla “stretta” sui Gruppi (che, beninteso, guarda ad un problema reale fornendo però risposte che non paiono condivisibili), per evidenziare un ulteriore problematico profilo applicativo della nuova disciplina, relativo questa volta all’elemento “nominalistico”. Se Nencini decidesse di lasciare il Gruppo “Italia Viva – P.S.I.” portando con sé il simbolo “P.S.I.”, sol per il fatto che il suddetto Gruppo non potrebbe più recare tale sigla nel proprio nome dovrebbe potersi concludere che secondo le nuove regole esso dovrebbe essere sciolto. Il punto, sempre prendendo sul serio le nuove regole introdotte, è però che in realtà quel Gruppo non avrebbe dovuto poter assumere tale denominazione sin dall’origine. Se infatti è vero che anche in virtù delle nuove regole sulla costituzione dei Gruppi non si può pensare di vietare in assoluto la possibilità a un Gruppo di variare, magari in modo minimo, la propria denominazione (rispetto al nome del/dei corrispettivo/i partito/i o movimento/i presentato/i alle elezioni, anche se in effetti qualche questione anche in tal senso potrebbe porsi), è altrettanto vero che nel caso di specie pare potersi facilmente concludere che una sensata applicazione delle regole introdotte, le quali richiedono che un Gruppo formato in corso di legislatura “corrisponda” a formazioni politiche passate dal vaglio elettorale (in proposito, può essere utile ricordare che il Gruppo “Italia Viva – P.S.I.” è stato costituito ai sensi del terzo – e penultimo – periodo del comma 4 dell’articolo 14 del Regolamento del Senato, espressamente richiamato a tal proposito dal terzo comma del successivo articolo 15), avrebbe dovuto impedire di scegliere una denominazione che si allontanasse così tanto da quella di “P.S.I.”, la cui aggiunta accanto al nome “Italia Viva” rappresenta invece solo uno stratagemma per dare una parvenza di legittimità all’operazione compiuta.

Ecco, proprio sfruttando quest’ultimo aspetto il Senato potrebbe trovare terreno fertile per dare, qualora davvero lo volesse, effettività a queste regole introdotte contro il trasformismo parlamentare. Già di per sé l’obbligo di mantenere nel nome di un Gruppo costituito in corso di legislatura il solo riferimento al/ai corrispettivo/i partito/i o movimento/i presentato/i alle elezioni cui “corrisponde” sarebbe infatti un efficace deterrente all’aggiramento delle rigide regole autoimpostesi: possiamo dire che Matteo Renzi e gli altri senatori confluiti assieme a lui nel Gruppo “Italia Viva – P.S.I.” avrebbero accettato a cuor leggero di entrare a far parte di un Gruppo denominato – “solo” – “P.S.I.”?

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