Il “vincolo esterno” costituito dall’UE e dall’euro si è avvalso, almeno a partire dalla formazione del governo Monti nel 2011, della fattiva collaborazione del Presidente della Repubblica. Questa centralità del Capo dello Stato, inedita in un sistema parlamentare funzionante, ha prodotto due esiti: oltre ad attrarre su di sé gli strali delle forze “populiste” (specie alla formazione del governo “Conte 0” e alla fine del Governo Conte 1), ha anche rafforzato il progetto delle destre “tradizionali” di una revisione costituzionale in senso presidenziale.
Il vincolo esterno ha contribuito a produrre, in altre parole, uno stimolo “destabilizzante” degli equilibri istituzionali tracciati dai nostri Padri costituenti in un’altra epoca e in un altro orizzonte culturale (l’esorcismo dell’uomo solo al potere). Da questo processo di “distruzione creatrice” potrebbe anche uscire un assetto “Europafriendlich”, con un sistema presidenziale in grado di sopperire al crollo dei consensi delle forze tradizionalmente europeiste, come avvenuto nella Francia di Macron. Ci sono buone probabilità che, se l’elezione presidenziale avvenisse domani, un partito “Draghi for President” potrebbe riuscire a portare l’ex Banchiere centrale europeo alla guida dell’esecutivo italiano per un periodo sufficientemente lungo da garantire l’esecuzione degli impegni europei siglati con il PNRR.
Non va tuttavia nascosto lo scenario opposto, magari realizzabile in un futuro meno ravvicinato di quello di una presidenza “europeista”. Lo chiamerò lo scenario argentino. Italia e Argentina hanno legami dettati dall’immigrazione italiana in quel Paese latinoamericano. Ma condividono anche il dato di una pesante economia sommersa e un’elevata evasione fiscale, ovviamente in proporzioni diverse. Questo dato ha rappresentato, in Argentina, il sintomo del fallito accordo tra lo Stato e la classe del capitalismo finanziario, accordo sul quale poggia un sistema monetario funzionante (Ingham, pp. 274 ss.). Quando l’Argentina si agganciò al dollaro alla metà degli anni Novanta, perdurava da almeno cinquant’anni il fallimento del sistema fiscale nazionale (incapacità a imporre e raccogliere imposte e tasse), almeno a far data dal populismo inaugurato da Peron negli anni Quaranta del secolo scorso. Il populismo argentino è stato indubbiamente supportato dal sistema presidenziale.
La storia dell’Italia repubblicana è ovviamente diversa dall’Argentina, stante il suo radicamento nelle vicende europee del secondo dopoguerra e della costruzione dell’integrazione europea. Il “vincolo esterno” monetario dell’euro, tuttavia, può rappresentare l’equivalente funzionale dell’aggancio del peso argentino al dollaro, se non altro in termini di tentativo di reagire alla diffidenza verso lo Stato maturata nelle classi capitaliste nazionali.
Se in futuro la stabilità dell’euro dovesse essere nuovamente a rischio, in assenza di una rete di protezione federale, risulterà chiaro quello che già da tempo cova sotto la cenere: la grande massa di risparmio privato dell’Italia dovrà essere intaccata, prima che il contribuente tedesco o finlandese possa essere chiamato a contribuire al “salvataggio” dell’Italia. A quel punto, la reazione del “risparmiatore medio” italiano potrebbe inclinare al “populismo antieuropeo” e portare al colle un Presidente determinato alla rottura del “patto costituente” di Maastricht. L’esempio del peronismo argentino sarebbe più calzante di quello della Francia di Macron.