Pillole di storia sconosciute o indigeste

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di Luigi Ventura

Come non essere d’accordo con Miguel Gotor che, sul giornale la Repubblica del 31 dicembre 2022, scrive “Perché l’MSI non fu democrazia”, a chiosa di una affermazione, per mio conto incauta, della Presidente del Consiglio.

Certo che il Movimento Sociale era fascista e lontano dai valori democratici, pur essendo ammesso, come dirò, al sistema democratico. Le argomentazioni e i casi puntuali sui quali il giornalista afferma giustamente di poterne continuare l’elenco sono solo parte delle prove storiche. Ho vissuto abbastanza nell’Università e nel mondo per poterlo affermare e poter continuare negli argomenti e in una puntuale casistica, che eviterò perché assolutamente inutile, riandando anche con la memoria ai tempi del liceo, dell’università, dell’inizio della mia carriera accademica a Messina, e ricordando certi personaggi e il clima che si viveva negli anni Sessanta e Settanta.

Semmai è patetico affermare che quel partito fosse democratico. Più dignitoso sarebbe affermare la verità, anche per quanto riguarda le formazioni successive al Movimento Sociale, cosa che in parte ha già fatto Gianfranco Fini, con estrema dignità, quand’era, oltre che Ministro, leader di Alleanza Nazionale, ed accentuare i punti ineluttabili di cambiamento, praticando una propria politica legittimamente conservatrice senza, magari, segnali ed ammiccamenti al passato.

La storia ha già emesso il suo verdetto e la storia, in quanto scienza, non la si riscrive. Semmai la si supera e si va avanti.

È opportuno segnalare alcuni punti per la vicenda italiana.

Assieme all’armistizio dell’8 settembre 1943, il decreto legislativo 2 agosto 1943, la nomina di Umberto, figlio di Emanuele III, a luogotenente del Regno, mediante il decreto luogotenenziale n. 151, che, assieme al decreto n. 98 del 1946, costituiscono la c.d. Costituzione “provvisoria”, in senso schmittiano, in quanto “decisione fondamentale”, la successiva abdicazione di Emanuele III, verificatasi un mese prima dalla elezione dell’Assemblea Costituente e del referendum istituzionale, per dare una sorta di legittimazione perduta alla monarchia.

Il vile abbandono di Roma da parte del Re (che già aveva compiuto un colpo di Stato “sfiduciando” e facendo arrestare Mussolini) e del Governo Badoglio, verso Brindisi e poi Salerno.

Non si dimentichi la guerra civile verificatasi nel nostro Paese anche a seguito della costituzione della Repubblica fantoccio di Salò. La lotta di resistenza, la quale, più che un valore di carattere militare, ha avuto il senso della legittimazione di tutto ciò che storicamente è avvenuto fino a legittimare la stessa Costituzione italiana ancora vigente, che oltretutto, un grande Costituzionalista come Carlo Lavagna, considerava idonea a reggere un sistema socialista.

Ma vi è di più. La tragedia tedesca è finita come tale, con il suicidio di Hitler e con la fine della guerra. Seguì la relativa spartizione in due Stati. Oltre a Norimberga, è stato introdotto il Berufsverbot, che valeva sia per i comunisti, almeno fino alla caduta del muro di Berlino e all’unificazione della Germania stessa, sia per i nazisti, com’è tuttora in vigore. Insomma, in Italia, tra storia, politica e soluzioni tipicamente italiane, non c’è stata una crasi con i fascisti, che si sono presentati alle elezioni del 1948 come partito che si richiamava a quegli “ideali”.

La Resistenza ha evitato storicamente che la tragedia italiana si trasformasse in tragicommedia. 

Tutte queste pillole di storia dimostrano il perché in Italia non ci sia stato un processo come quello di Norimberga a carico dei gerarchi fascisti e della Repubblica di Salò. In Germania, invece, debellata e distrutta dalle potenze alleate, che hanno provocato una resa incondizionata, non si è avuto né l’occasione, né il tempo di fare politica, come in Italia, anche perché Hitler ha resistito nella sua follia fino all’ultimo giorno della sua vita.

Altro discorso riguarda il perché la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, e la legge Scelba di essa attuativa, siano state disattese. E la prima risposta è l’amnistia firmata da Togliatti, Ministro della Giustizia, con l’accordo dei partiti del CLN. Togliatti che sarà defenestrato, assieme ai partiti della sinistra, per ordine degli americani al Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi.

Non si dimentichi la volontà degli alleati vincitori di favorire ciò che poi dai giuristi italiani sarà descritta come conventio ad excludendum, dei comunisti da un lato, e dei neo-fascisti dall’altro. Occorreva, cioè, che all’estrema destra dei partiti, destinati poi a governare per cinquant’anni, ci fosse una forza estrema, di modo che lo swing of pendulum potesse oscillare con il perno della DC tra mezze ali di destra e mezze ali di sinistra.

Si ricordi anche la creazione politico-retorica dell’“arco costituzionale” da cui erano esclusi i neo-fascisti.

Tuttavia, non posso dimenticare, avendola vista con i miei occhi a tredici anni, perché ero in vacanza-premio a Roma nel 1960, la carica della “celere” contro i manifestanti lavoratori che protestavano avverso il tentativo di formare il Governo Tambroni (DC), con l’appoggio del MSI; ma vidi anche la carica dei carabinieri a cavallo nei pressi dei Fori Imperiali.

Così come non posso dimenticare i morti di Genova nella stessa occasione storica.

Si rammenti che la “celere” era stata posta in essere dal Ministro Scelba, proprio l’autore della legge antifascista sopra citata.

Ancora, ricordo che negli anni Settanta, durante un periodo elettorale, era affisso un manifesto di color verde, credo del partito repubblicano, che accusava il capo del Movimento Sociale di crimini contro gli italiani, per le sue responsabilità concrete nella Repubblica di Salò; il che corrispondeva al vero. Tutto inutile, c’era stata l’amnistia.

Purtroppo, la storia, a prescindere dalle Indicazioni Nazionali, che si studia più o meno approfonditamente, giunge sino alla Prima guerra mondiale all’incirca, o giù di lì, e quindi i cittadini vedono il fascismo, il post-fascismo e l’anti-fascismo, come oggetto di propaganda politica, e non come, per l’appunto, storia (e persino cronaca) vissuta dal nostro Paese. Tutto ciò non aiuta la “digestione” alla gran parte della “pancia” dell’elettorato.

Piuttosto che attardarci sulla ineluttabilità della storia, di cui fa parte anche la decisione del corpo elettorale attuale, aiutata dalla legge elettorale dissennata e dalle divisioni in gran parte pretestuose dell’opposizione, che avrebbe potuto, se coesa, vincere le elezioni, bisogna che il Governo e la maggioranza mettano mano all’attuazione dei programmi per cui hanno ricevuto il voto e la prima cosa che mi viene in mente è l’abolizione sbandierata, ma non attuata, del taglio delle accise sui carburanti.

E vorrei aggiungere soltanto che viene evocato il poco tempo avuto per affrontare i temi del bilancio: bastava far compiere il lavoro a chi lo sa fare, uno dei migliori Presidenti del Consiglio nella storia, Draghi, e poi andare ad elezioni. Così come mi stupisce, notizia del 14 gennaio 2023, la presa di coscienza da parte della Presidente del Consiglio, che bisogna fare “scelte impopolari”. È il colmo per forze populiste.

Di questo si dovrebbe occupare il Ministro Valditara, piuttosto che attaccare l’uso frequente di parole straniere (durante il fascismo definite barbarismi) per poi terminare con un doppio barbarismo anglo-francese: radical chic. E la storia, se conosciuta, avrebbe evitato lo sfondone del Ministro Urso, da lui stesso giustificato con la necessità di parlare a braccio. Male: quando si parla delle cose serie occorre avere un “calepino”, come ce li hanno molti professori universitari.

Ma di più. Bisogna concentrarsi, tuttavia, sulle scelte politiche e soprattutto sull’orgia di riforme annunciate targate “destra” che fa venire in mente l’ossimoro “conservatori-riformisti” e sono perfettamente d’accordo con un grande giornalista e storico, Paolo Mieli, che, sul Corriere del 7 gennaio 2023, in modo geniale, richiama e consiglia un gigante come Lenin “meglio meno, ma meglio” a chiosa di un articolo che condivido del tutto.

Ho sempre sostenuto che toccare la Costituzione porta male. L’ho fatto già con la riforma del centrosinistra targata Bassanini, che, nella sua forma di regolamento di condominio, ha fatto rivoltare nella tomba quel grande letterato e latinista di Concetto Marchesi (il quale aveva dato stile all’intero complesso normativo costituzionale) e ha dato grande lavoro alla Corte costituzionale che l’ha dovuta riscrivere. Condivido, pertanto, l’affermazione del collega costituzionalista Michele Ainis, che su La Repubblica del 7 gennaio 2023, sia nel contenuto dell’articolo, sia sul fatto incontestabile che le c.d. bicamerali portano “iella”, visto il fallimento di tre tentativi e che, giustamente, argomenta che la riforma dell’autonomia differenziata esclude elettori e Camere, anche perché la sua attuazione viene condotta attraverso DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri). E, al riguardo, condivido le affermazioni di un Maestro, come Sabino Cassese, sullo spoil system (Corriere.it 9 gennaio 2023), e quelle osservazioni, come lui stesso sostiene, sono valide per ogni tipo di governo. È perfettamente dannoso scimmiottare gli U.S.A.

Tornerò, se mi sarà possibile, sul contenuto delle riforme, come ho fatto, frantumandole, con le riforme del centro sinistra targato Renzi.

Per quanto riguarda la riforma della giustizia, presterò la dovuta attenzione per il rispetto di un ex magistrato, e quindi di un tecnico, al di là delle sue idee politiche, ma mi vien da dire di trovare allucinante un “quasi fuori onda” del ben noto capitano di porto, che afferma in Parlamento “noi siamo stati eletti da voi”, loro, i magistrati, “non li ha eletti nessuno”. Doppio sfondone: 1) il Parlamento non elegge il Governo, né i Ministri, concede solo la fiducia; 2) i Magistrati sono tali perché vincono un concorso, serio e difficile, cosa che lo stesso non potrebbe mai fare, perché non laureato, mentre i magistrati in servizio o in pensione possono essere eletti in Parlamento. Mi vien da dire che il porto di destinazione di questo Asso della politica potrebbe essere collocato sul Gran Sasso, o, per evitare equivoci, sul Cervino, in compagnia di altri vecchi arnesi attuali di una storia senza gloria.

Rammento poi, a me stesso e a tanti mass media che discutono sulla flat tax, propugnata dal Governo, l’esistenza dell’art. 53 della Costituzione, che impronta, mi par di poter dire inderogabilmente, la tassazione al principio di progressività che, da sempre, volendo superare l’esame di diritto costituzionale, non va confusa con proporzionalità. Capito?

Poi c’è l’eterno ritorno dell’odontotecnico, malato di federalismo per scissione, inesistente in natura, contro cui occorrerebbe una presa di coscienza forte, dura delle regioni del Sud, dei popoli e delle istituzioni.

Sullo sfondo rimane un altro eterno ritorno, il presidenzialismo. Osservo soltanto che tutti i Presidenti della Repubblica (meno tre) sono stati più determinanti per la tenuta del sistema democratico e per il rispetto della Costituzione di moltissimi Presidenti del Consiglio.

Il Presidente, per dirla con Carlo Esposito, rimane il “reggitore dello Stato nelle crisi di sistema” e non a caso, a controbilanciare questa funzione, sono previsti i reati presidenziali di alto tradimento e di attentato alla Costituzione.

Non è possibile, pertanto, che si sia sfiorati da tentativi di colpi di Stato, dall’essere accostati a scandali internazionali, né tradire il giuramento di fedeltà alla Repubblica (mi riferisco al “meno tre” sopra detto).

Il Capo dello Stato non può scendere nell’agone politico, né essere uomo di parte, né condurre vicende contrarie all’etica repubblicana.

Le figure emblematiche del ruolo di “resistenza” a garanzia della Costituzione, da me teorizzato molti anni fa, sono Pertini e Mattarella, ma anche Ciampi, Scalfaro e Napolitano.

Insomma, il Capo dello Stato non può essere sfiorato dal dubbio che possa essere contiguo a forze non democratiche. E difatti, i primi Capi dello Stato, De Nicola ed Einaudi (il quale, per il mio Maestro, prof. Martines, rimase sempre il prototipo del ruolo), erano di fede monarchica, ma sono stati perfetti guardiani della Repubblica e della Costituzione.

A questo ruolo, da costituzionalista e da cittadino, non metterei mano. Rimane, tuttavia, la mia convinzione da giacobino che, prima dell’Ottocento, in Italia, purtroppo, non ha potuto agire con le sue invenzioni il dr. Joseph-Ignace Guillotin. Le pillole di storia sarebbero state di colore e contenuto diversi.

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