La Corte di Giustizia CE esclude di poter intervenire sugli atti della Commissione quando questa dispone di un’ampia libertà di valutazione: deve limitarsi a verificare se non sia incorsa in errore manifesto o in sviamento di potere. L’errore è considerato manifesto quando è desumibile dal provvedimento impugnato, senza bisogno di una istruttoria apposita. La discrezionalità è stata ritenuta non soggetta a verifica da parte del giudice.L’orientamento della giurisprudenza italiana è diverso. Senza richiamarne la motivazione, ci si limiterà a qualche osservazione.
Nel settore dei servizi, con gli strumenti oggi disponibili, i tempi si sono ridotti in misura non prevedibile fino a poco fa, mentre i tempi della giustizia, anche di quella amministrativa, non si può dire che si siano abbreviati. Se sorge un problema di giustizia, ci vuole un tempo non breve per la soluzione anche quando la rapidità sarebbe decisiva. L’impugnativa di un provvedimento amministrativo, in caso di sospensione dell’esecutorietà, può portare alla sua attuazione, se riconosciuto legittimo, quando le condizioni sono mutate oppure, se la sospensione non c’è stata, all’annullamento di un atto illegittimo già parzialmente eseguito.
Si sono richiamati i servizi, ma gli inconvenienti possono investire anche altri settori, in particolare i lavori pubblici. Disposta la sospensione del provvedimento impugnato, a sentenza intervenuta è capitato che si sia dovuto rivedere il progetto non foss’altro per i costi, aumentati nel frattempo, così da richiedere un aggiornamento della copertura finanziaria. Di conseguenza, più ampia è la sfera di indagine del giudice, maggiori sono i rischi.
I principi di diritto nel tempo non sono mutati; sono alcune condizioni di ordine economico e sociale a non essere più le stesse.
Tempo a dietro qualcuno fece presente che, attraverso un controllo sulla motivazione, talvolta il Giudice finiva con l’interferire con la discrezionalità. Si prospettava, pertanto, l’opportunità di domandarsi se qualche limite non fosse necessario. Secondo l’art.113 della Costituzione è “sempre” ammessa la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi. I criteri per individuarli nella Costituzione non sono indicati e non sono facilmente desumibili nemmeno dalla discussione in Assemblea Costituente, interessata soprattutto alla regolazione del potere di annullamento degli atti dell’Amministrazione. La discussione, in pratica, si è svolta sul presupposto della nozione di interesse legittimo dell’epoca.
Sulla incompetenza e la violazione di legge, come era prevedibile, questioni di principio non potevano sorgere; non altrettanto sull’eccesso di potere, data l’elasticità della figura la cui individuazione è stata lasciata al giudice che doveva tutelarla.
Non dovrebbe essere senza significato che il Giudice comunitario si sia limitato i poteri di intervento in questo ambito. Si potrà osservare che i due ordinamenti, quello comunitario e quello statale, hanno funzioni diverse così da richiedere prudenza nel trovare collegamenti. Senonché sembra che l’orientamento della Corte di Giustizia non sia fondato sui caratteri dell’ordinamento comunitario, ma sul rapporto tra discrezionalità e giurisdizione, nel senso che un controllo sull’esercizio della discrezionalità sarebbe incompatibile con la giurisdizione.
In questi ultimi venti anni i nuovi mezzi di comunicazione hanno cambiato radicalmente la situazione, sopratutto nei settori economici e finanziari.
I nuovi strumenti richiederebbero interventi, se non rapidi, almeno ridotti rispetto agli attuali, sufficienti per valutare tutte le condizioni di fatto con criteri anche di opportunità, oltre che formali. Anche gli organi operativi vengono a trovarsi in difficoltà. Un giudice potrebbe non essere il soggetto più adatto al controllo dal momento che deve seguire i criteri generali, fissati dalla norma in forma astratta, per procedere a giudizi sulla prevalenza di interessi, tra di loro non sempre compatibili. C’è da domandarsi se sia ancora il caso di mantenere controlli giurisdizionali fondati su principi elastici, o di attenersi alle valutazioni di opportunità dell’organo competente, con risultati economici spesso migliori.
Vale la pena di ripeterlo: in caso di ricorso, il Giudice può disporre la sospensiva, qualunque sia il motivo fatto valere. In caso di operazioni di peso finanziario notevole, dopo la sentenza ci si può trovare nella necessità di rinegoziarne le condizioni, sacrificando altre operazioni o aumentando il debito. Di conseguenza più ampia è la sfera di intervento del Giudice, – sembra il caso di sottolinearlo – maggiore diventa il rischio di effetti pregiudizievoli. In altre parole, è ancora preferibile, in alcuni settori, consentire la sospensiva, con l’esecuzione dell’opera a costi maggiori, rispetto alla eventualità che l’opera non sia eseguita da chi ne avrebbe avuto il diritto, ma con la possibilità di essere risarcito del danno? In questo caso l’onere complessivo per il committente sarebbe presumibilmente inferiore, tenuto conto che il costo minore dell’opera compenserebbe il risarcimento in favore dell’impresa danneggiata.
Andrebbero, naturalmente, rivisti alcuni principi. Per cominciare, che significa oggi “discrezionalità”?
A suo tempo se ne è discusso anche per la sua inerenza alla “funzione”. Oggi l’esame dovrebbe essere aggiornato, data la diversità delle condizioni.
Certi principi si sono formati quando giudice amministrativo era il solo Consiglio di Stato, i cui tempi per la definizione delle controversie erano proporzionati a quelli dei rapporti giuridici coinvolti. Forse anche per questo è stato consentito al Giudice di intervenire su alcuni aspetti dell’attività amministrativa soggetti ad una disciplina elastica. All’organo competente era rimessa la individuazione degli interessi rilevanti e la loro comparazione ponderale. Si è ritenuto, come conseguenza, che per la verifica della legittimità dell’azione amministrativa il controllo del Giudice intervenisse sulla individuazione degli interessi rilevanti, sui criteri per la loro valutazione e per la messa a confronto.
Non è stato colto, o non è stato considerato rilevante, che in questo modo si consentiva al giudice di inserirsi nella sfera della discrezionalità che, per essere fondata sulla valutazione complessiva degli interessi, in linea di principio sarebbe dovuta appartenere solo al soggetto operante che con quegli interessi entrava in contatto. Non sono mancati casi in cui, per la difficoltà di definirne la sfera, il giudice ha finito per fissare direttamente i criteri per l’esercizio corretto delle valutazioni, pur trovandosi nella posizione non adatta.
Come si è già rilevato, il giudice è chiamato a giudicare sui criteri, secondo i quali il potere viene esercitato, sotto i profili fatti valere col ricorso, staccati dagli altri, applicati nel provvedimento con una visione complessiva e coordinata. Si arriva così ad un giudizio che può finire con l’essere condotto con criteri non coincidenti con quelli che il soggetto competente si era trovato a seguire. Di questo probabilmente ha tenuto conto il Giudice comunitario collegando il problema, più che al rapporto tra ordinamenti, a quello tra giurisdizione e discrezionalità.
Non è prevedibile che la figura dell’interesse legittimo possa essere ridimensionata dallo stesso Giudice che a suo tempo l’ha definita.
La questione potrebbe essere sottoposta alla Corte costituzionale per accertare se la forma attuale di tutela sia ancora compatibile con la collocazione nuova che hanno assunto gli interessi per la rapidità della loro evoluzione.
Sono restati investiti dallo stesso problema anche rapporti, definibili come tradizionali, soggetti ad una disciplina radicata da tempo.
Le c.d. concessioni balneari ne sono un esempio. Negli ultimi decenni il loro rilievo economico è aumentato notevolmente. In sede di rinnovo sono sorte questioni in termini che non è il caso di ricordare perchè ormai ben noti.
In discussione è l’applicabilità della Direttiva Bolkestein. Su di un punto non si dovrebbero avere dubbi, che la sua applicabilità alle concessioni balneari deve essere accertata dalla Corte di Giustizia. Anche se la Direttiva non fosse ritenuta applicabile, le conclusioni non dovrebbero essere diverse.
I beni del demanio possono essere utilizzati ai fini pubblici, a cui sono destinati, con la collaborazione dei privati attraverso una concessione. Nella scelta del privato dovrebbe essere rispettato il principio di uguaglianza dal momento che il concessionario si trova ad operare in un mercato nel quale principio fondamentale è la parità della posizione degli interessati. Anche secondo la stessa normativa italiana, indipendetemente da quella comunitaria, sarebbe necessaria la gara tra gli interessati (tanto più quando al concessionario viene richiesto un corrispettivo particolarmente favorevole). Chi sostiene il contrario sino ad oggi non ha indicato la norma o il principio in base al quale le concessioni andrebbero rinnovate senza gara, lasciando così all’amministrazione concedente la scelta del concessionario e la determinazione del corrispettivo. Si è fatto valere che gran parte degli investimenti, fatti nel tempo, non sono stati ancora ammortizzati, senza tenere conto che, per questa parte, il precedente concessionario andrebbe indennizzato (in proposito c’è stato chi è andato a verificare che gli impianti sono stati aggiornati con una rapidità non consueta).
La soluzione potrebbe essere trovata anche in tempi più brevi di quella comunitaria. Se qualcuno, che ha fatto offerta più favorevole, impugnasse il rinnovo della concessione al concessionario precedente, la questione potrebbe essere portata alla Corte costituzionale sul cui orientamento non sembra che potrebbero esserci dubbi.