Sotto la felpa niente

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Il no di Salvini alla riforma costituzionale ha un motivo preciso, lo ha ripetuto anche oggi a Parma (Repubblica.it Parma del 28 novembre 2016).

Con la riforma verrebbe introdotta “la clausola di supremazia, che significa che l’ultima parola spetta sempre e comunque allo Stato centrale su questioni come tasse, immigrazione, sanità, treni, eccetera. Quindi voi in primavera potrete anche eleggere il migliore sindaco d’Italia con le migliori idee, che riduce tasse, costruisce scuole, dà case popolari solo agli italiani, ma tutto questo potrebbe essere vanificato se a Roma a qualcuno non sta bene c’è la clausola di supremazia e quindi tanti saluti a Parma e ai suoi eletti”. E poi ha aggiunto che la riforma prevede che il popolo sia sovrano nei vincoli imposti dall’Unione europea, concetto già espresso molte volte nella campagna referendaria per il NO.

Salvini però dice cose senza senso. Lo Stato centrale, grazie soprattutto alla politica iper-centralistica del Governo di centro-destra in cui stavano i ministri leghisti, ha già solidamente assicurato al centro ogni decisione su “tasse, immigrazione, sanità, treni, eccetera”: non se ne era accorto? La famosa legge sul c.d. federalismo fiscale non l’ha mai letta? E che dire della sistematica impugnazione delle leggi regionali (della Lombardia e del Veneto in primo luogo) decisa dal Consiglio dei ministri presieduto da Berlusconi e ravvivato dalla cravatta verde di ben tre ministri leghisti?

Quanto poi ai vincoli che legano l’Italia all’Europa, Salvini sbaglia del tutto obiettivo. I vincoli ci sono già nella Costituzione vigente, che lui non vuole riformare: era stata la riforma costituzionale del 2001, infatti, a inserire nel primo comma dell’art. 117 la norma che sottopone espressamente l’esercizio del potere legislativo ai “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”; ed è poi stata la riforma costituzionale del 2012 a introdurre, assieme al principio di equilibrio di bilancio, i vincoli finanziari europei come limite all’autonomia finanziaria di regioni e comuni.

Insomma, quei vincoli già esistono e la riforma ora sottoposta a referendum non c’entra nulla. Anzi, inserendo la rappresentanza di regioni e comuni nel Senato, la riforma darebbe al mondo delle autonomie la possibilità, sinora inedita, di approvare le leggi future che modificano i trattati europei, le leggi future che disciplinano le modalità di partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea (così i “nuovi” art. 70.1 e 80), nonché il compito di “verificare l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori” (art. 55). Insomma, grazie alla riforma costituzionale le autonomie guadagnerebbero sul fronte europeo molto più di quanto attualmente abbiano.

 

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