di Gianmario Demuro
1. Quali sono i legami tra l’opinione pubblica, il diritto a essere informati, il populismo e l’uso recente dei referendum? Temi in apparenza molto distanti che, invece, possono essere legati da un filo sottile, da una trama fine, da un immenso equivoco che li tiene insieme.
Partiamo dal concetto di opinione pubblica e dalla sua centralità nei sistemi democratici e da ciò che il signor Pulitzer, quello del premio, scriveva: “Un’opinione pubblica bene informata è la nostra Corte Suprema. Perché a essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare e gli errori del governo.” Frase nota che, scritta alla fine dell’ottocento, condensa il ruolo di ogni opinione pubblica in democrazia, un ruolo di mantenimento della verificabilità e della plausibilità di ogni scelta pubblica. Senza opinione pubblica A. V. Dicey non avrebbe potuto fondare la sua teoria della democrazia nel testo Diritto e opinione pubblica nell’Inghilterra dell’Ottocento, Il Mulino 1997; senza opinione pubblica non avremmo potuto costruire un giudice quasi-imparziale, la Corte suprema di cui scrive Pulitzer, pronta a giudicare il governo della cosa pubblica. In particolare, il nucleo forte dell’idea liberale della democrazia anglosassone è fondato sul ruolo fondamentale che l’informazione deve necessariamente svolgere se si vuole garantire un governo che possa essere sottoposto a un controllo democratico oltre a quello del Parlamento. Ruolo che l’opinione pubblica non riesce più a svolgere da molto tempo per l’avvicendarsi di una serie di fattori che stanno diventando via via strutturali. Il primo, ispirandoci alla biologia, possiamo definirlo di riduzionismo democratico in contesti ad asimmetria informativa. Detto in maniera più semplice sono sempre di più i governi che, prima di sottoporsi al giudizio della pubblica opinione, usano il referendum per darsi un indirizzo politico. Se, ad esempio, guardiamo alla decisione di indire il referendum da parte del governo conservatore nel caso Brexit, essa fu presa per darsi un indirizzo chiaro ma, a più di un anno dalla decisione di lasciare l’Ue, il pronunciamento popolare non ha portato a nessuna soluzione concreta se non, come ha dichiarato al Corriere della Sera del 11 novembre ’17 Lord Kerr, il Governo “può cambiare opinione in ogni momento”.
2. Un referendum che avrebbe dovuto dare un indirizzo chiaro ha, invece, raggiunto un risultato politico opaco, che oscilla ora tra No Brexit, Soft Brexit, Hard Brexit. Probabilmente, se questo esito fosse stato prospettato agli elettori avremmo potuto avere una decisione diversa. Una decisione portata da un’opinione pubblica informata può, certamente, essere una decisione più vicina al ruolo di una opinione a garanzia democratica. In questo senso l’uso del referendum in una condizione di asimmetria informativa comporta solamente la parvenza di una decisione perché soddisfa solamente al bisogno di persuasione momentanea senza poter dare una soluzione. Un uso, sostanzialmente, in stile populista che allontana l’opinione pubblica dalla decisione politica e rafforza il conflitto che si serve dell’esasperazione della democrazia diretta.
In una prospettiva di asimmetria informativa l’uso del referendum, soprattutto quello consultivo, può anche favorire l’illusione che la decisione sia stata presa senza dare un senso compiuto all’indirizzo politico che dovrà seguire. In questo caso l’esempio che può essere fatto è quello dei due referendum consultivi che si sono tenuto in Lombardia e Veneto sull’espansione dell’autonomia in quelle regioni. Naturalmente, la decisione referendaria non poteva essere su quali materie potevano essere devolute, su quale finanziamento è possibile da parte dello Stato, su quali margini autonomia possono decidere le regioni. In un ambiente di scarsa informazione si è chiesto ai rispettivi elettori se il Governo regionale fosse investito del compito di chiedere l’applicazione dell’articolo 116, comma 3 della Costituzione. Il risultato è stato favorevole a una maggiore autonomia, ma in quale contesto informativo possiamo dire che si è svolto?
L’opinione pubblica informata è la base di ogni democrazia pluralista perché in un conflitto politico regolato dalla Costituzione chi non ha informazioni non può fare scelte consapevoli.
Concordo su tutto, ma temo che queste considerazioni siano ormai sempre meno adatte allo stato della struttura della società corrente. Infatti questi concetti si basano implicitamente sul prerequisito che esistano una verità «validate» da relativamente poche fonti riconosciute dal sistema. Settant’anni di democrazia hanno abiutato i Cittadini a esprimersi liberalmente e perciò a diventare essi stessi sorgenti di informazione. L’effetto collaterale da taluni indesiderato è che non esiste più una «certificazione di verità» unitaria e tutte le verità valgono allo stesso modo. La verticalità si è spostata di 180 gradi e ora ciascun Cittadino si sente giustamente libero di scegliersi le informazioni e le fonti che più gradisce. Gli intellettuali, le testate giornalistiche, le sorgenti scientifiche, gli opinion leaders non stanno più al vertice: tutti sono generatori di opinioni «certe», di convincimentifortemente propri. La democrazia si è trasformata da organizzazione verticistica pre-democratica a organizzazione effettivamente più democratica. Purtroppo gli strumenti e i processi di selezione delle informazioni del passato non funzionano quasi più. Fortunatameente ce ne sono di nuovi, ma tutt’altro che sperimentati e affinati. Inoltre la democrazia si è fatta granulare, quasi incompatibile con Stati troppo grandi e incapaci di normare in dettaglio vaste complessità territoriali. Le persone, come sempre, ascoltano molto più volentieri le persone «vicine» rispetto a quelle «lontane», i gruppi non sono più territorialmente circoscritti e le comunità sono più «vicine» solo perchè si scambiano informazioni riconoscendosi pari in gruppi relativamente piccoli. Ho l’impressione che sia inutile e controproducente tentare di ridare credibilità a fonti «certificate» da verttici che non sono più credibili (peraltro non necessariamente per loro demerito). Forse bisogna iniziare studiare come funziona la democrazia granulare che già esiste nei fatti da più di due decenni, ma non ce ne siamo ancora accorti.