Il referendum sulla TAV? Una cavolata

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di Roberto Bin

Un referendum sulla TAV? Chiamparino l’ha lanciato quasi come una boutade: se il Governo pensa di bloccare la TAV, io allora promuoverò un referendum, innescando una reazione popolare contro una decisione scellerata. Immediatamente tutti hanno detto che era proprio una bellissima idea. Anzi la Meloni ne ha rivendicato la primogenitura, e l’autorevole esponente di Forza Italia, Osvaldo Napoli, ha dichiarato: “Trovo giusto che sia consentito ai cittadini piemontesi di pronunciarsi con un referendum sul destino della TAV”. Naturalmente Di Maio ha subito raccolto il guanto della sfida: come poteva perdere l’occasione di caldeggiare il ricorso ad uno strumento di democrazia diretta!

Ma tanto consenso non cambia l’intima natura della proposta di referendum: è una cavolata. Non parlo del profilo politico, che non mi compete, ma di quello giuridico. Vediamo perché.

Chi voterebbe? Questa è una domanda cruciale, perché dalla risposta conseguirebbe un’altra fondamentale indicazione: chi lo dovrebbe indire?

Se, per esempio, si decidesse che a votare sono solo i cittadini della bassa Val di Susa, quelli da tempo mobilitati contro la TAV, basterebbe che fossero i loro Comuni ad organizzare la consultazione. Il risultato sarebbe scontato, ma ci direbbe qualcosa di definitivo? Naturalmente no. E se a votare fossero tutti i Comuni della Val di Susa – cioè non solo quelli della bassa, che potrebbero essere favorevoli a mantenere l’attuale pesante traffico commerciale su gomma che, in fin dei conti, è pure una risorsa, ma anche quelli dell’alta Val di Susa, per i quali i TIR sono solo un problema e basta – la storia sarebbe probabilmente molto diversa. Per consultare tutta la popolazione regionale o una porzione di essa dovrebbe essere la Regione ad attivarsi, ed è probabilmente questo che aveva in mente Chiamparino, che della Regione Piemonte è il presidente. Anche Osvaldo Napoli è ai piemontesi che si riferisce infatti. Come tutte le Regioni, anche il Piemonte ha una legge che disciplina l’indizione di referendum consultivi, ma è una vecchia legge (legge reg. 4/1973) che non prevede se non la consultazione per le modifiche territoriali dei Comuni. C’è però l’art. 83 dello Statuto, che prevede che “Il Consiglio regionale, a maggioranza assoluta dei membri assegnati, può deliberare di sottoporre a referendum consultivo iniziative legislative o determinati provvedimenti amministrativi, nei limiti e secondo modalità fissate con legge”: già, ma la legge dov’è? Il sistema regionale di ricerca delle leggi piemontesi non ci offre una risposta, probabilmente perché non c’è.

Ma sorge subito una domanda: perché dovrebbe essere consultata la sola popolazione piemontese e non gli altri? Perché i cittadini di Domodossola o Cuneo, per dirne una, dovrebbero aver maggior diritto di esprimersi sul tema della TAV che quelli di Milano o di Trieste, che pure sarebbero interessati al corridoio ferroviario di cui la TAV è un tassello? Che autorità avrebbe una decisione compiuta dagli elettori piemontesi?

I costi della TAV non sono sostenuti soltanto dai cittadini piemontesi, ma da tutti noi; e tutti noi trarremmo potenzialmente vantaggio dalla nuova opera e dal sistema di trasporti di cui farebbe parte. Per cui tutti i cittadini italiani devono aver diritto di esprimersi sulla sua convenienza. Quindi un referendum nazionale?

I nostri costituenti, si sa, sono nati (e morti) troppo presto per arricchire la loro cultura teorico-politica e istituzionale con le nuove e decisive visioni elaborate dalla famiglia Casaleggio e da Grillo. Di conseguenza hanno guardato alla democrazia diretta con la tradizionale prudenza, come integrazione, non certo sostituzione, della vecchia democrazia rappresentativa e parlamentare. L’art. 1 Cost. afferma che la sovranità appartiene al popolo, che però la può esercitare solo “nelle forme e nei limiti” previsti dalla Costituzione stessa. L’art. 75 prevede il referendum, ma solo quello per l’abrogazione delle leggi, che una minoranza di elettori può promuovere; e quello per opporsi a una riforma costituzionale votata dal Parlamento, anche questo promosso da cittadini o gruppi parlamentari di opposizione. Non esiste il referendum consultivo a livello nazionale (avrebbe dovuto essere una delle novità introdotte dalla riforma voluta da Renzi). Quando Craxi nel 1989 volle spendere un bel po’ di soldi per chiedere agli italiani se volevano conferire un mandato costituente al Parlamento europeo (gli italiani, allora ardentemente europeisti, risposero all’88% di sì, ma ovviamente senza alcuna conseguenza), dovette far approvare alle Camere (che lo fecero all’unanimità) una apposita legge costituzionale (n. 2 del 1989).

Vogliamo immaginare che Di Maio proceda per la stessa via, e inizi un processo per l’approvazione di una legge costituzionale per chiederci se siamo favorevoli o contrari alla TAV? Oppure vogliamo che siano i cittadini di Mondovì (Regione Piemonte), o di Oulx (Alta Val di Susa) o di Bussoleno (Bassa Val di Susa) a decidere di un’opera strategica di trasporto europeo? No, è chiaro, il referendum non si può fare e, anche potendo, non sarebbe affatto uno strumento idoneo. Ci sono cavoli che fioriscono anche d’estate.

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