“Guidate con prudenza!”. Quello che il Governo potrebbe fare con la Concessione ad Autostrade

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di Edoardo Caruso[*]

L’attuale Governo ha manifestato con forza l’intenzione di procedere alla revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia (Aspi) dopo i terribili fatti di Genova del 14 agosto. È questa una soluzione percorribile? Andiamo con ordine.

Il rapporto concessorio è regolato da una Convenzione Unica (nel senso che riguarda tutti i tratti autostradali gestiti in concessione da Aspi in Italia, ovvero circa 2850 su un totale di quasi 5.900 km di autostrade), stipulata nel 2007 al fine adeguare il contenuto delle precedenti convenzioni a quanto previsto dai commi 82 ss. dell’art. 2 del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262.

La Convenzione Unica disciplina, a diverso titolo, le conseguenze della conclusione anticipata del rapporto (la scadenza attuale è il 2042) a seconda che si tratti:

  1. della revoca decadenziale o sanzionatoria di cui all’art. 9, resa possibile in casi di gravi inadempienze del concessionario ad alcuni degli obblighi previsti dalla stessa Convenzione fra i quali “il mantenimento della funzionalità delle infrastrutture concesse attraverso la manutenzione la riparazione tempestiva delle stesse”;
  2. di altra forma di cessazione anticipata del rapporto (sotto forma di recesso, revoca, risoluzione) a prescindere dalla causa della cessazione. L’art. 9-bis fa espresso riferimento all’inadempimento del Concedente e a fatti e/o atti estranei alla sua volontà, anche di natura straordinaria e imprevedibile, ivi inclusi i mutamenti sostanziali del quadro legislativo o regolatorio; tuttavia, anche alla luce del tenore letterale della disposizioni, potrebbero ritenersi ammissibili anche i presupposti della revoca classica, ovvero i (documentati) motivi di interesse pubblico.

Come anticipato, oltre che nei presupposti, le due ipotesi si distinguono per le conseguenze.

Invero, in entrambi i casi il concedente, affinché la cessazione abbia effetto, deve pagare al concessionario un importo molto vicino ai ricavi che, si presume, quest’ultimo potrebbe ottenere dalla concessione fino alla sua scadenza (“un importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi della gestione, prevedibile dalla data del provvedimento dì decadenza sino alla scadenza della concessione, al netto dei relativi costi, oneri, investimenti ed imposte prevedibili nel medesimo periodo, scontati ad un tasso di rendimento di mercato comparabile e maggiorato delle imposte” da corrispondere a fronte della percezione dell’importo). Ma solo nel caso di revoca sanzionatoria l’importo verrà decurtato – a titolo di penale – di una somma pari al 10% dello stesso; solo in tale ipotesi, inoltre, viene fatto salvo “il maggior danno subito dal Concedente per la parte eventualmente eccedente la predetta penale forfettaria”.

I primi calcoli di cui si legge in articoli di stampa parlano di una cifra che dovrebbe essere corrisposta ad Aspi di circa 15-20 miliardi. Senza dimenticare che, in entrambi i casi sub. a e sub b., sarà necessario un accordo per determinare l’importo; in assenza le parti dovranno attivare le procedure conciliative previste dalla disciplina vigente oppure si ritroveranno davanti al Tribunale Civile di Roma.

Ai proclami del Governo, esternati dal Premier e dal Ministro del lavoro, è seguita, in data 17 agosto, una lettera del MIT al concessionario con la quale si è formalmente contestato ad Aspi il suo grave inadempimento: l’avvenuto crollo del viadotto e le conseguenze luttuose – è la tesi sostanziale – costituiscono prova in re ipsa dell’inadempimento manutentivo. L’art. 8 della Convenzione prevede, infatti, che la procedura di decadenza sia preceduta da un contraddittorio in cui il Concedente comunica gli “elementi dell’accertamento” dell’inadempimento, fissando un termine congruo entro cui l’altra parte provveda in ordine a tali inadempimenti ovvero fornisca le proprie giustificazioni. Nel caso di specie il Governo ha individuato in 15 giorni il “termine congruo”, mentre con riguardo agli elementi di accertamento dell’inadempimento ha richiamato, come si accennava, la “oggettiva considerazione del collasso dell’infrastruttura, delle vittime accertate e degli ingenti danni riportati ai beni anche di soggetti terzi, senza considerare l’interruzione del sistema di viabilità e quindi la compromissione della funzionalità delle infrastrutture concesse”.

Senza considerare il fatto che molti degli elementi richiamati sono mere conseguenze dell’eventuale inadempimento, privi di alcuna valenza dimostrativa, vale la considerazione di senso comune che nemmeno il “collasso dell’infrastruttura” è di per sé idoneo a dimostrare l’inadempimento del concessionario; non è ancora chiaro, infatti, (e non potrebbe essere altrimenti, senza i dovuti riscontri tecnici) se il crollo sia dipeso da un difetto di manutenzione o da un difetto di progettazione (Autostrade sostiene di aver sempre svolto tutte le attività di monitoraggio e controllo “sulla base dei migliori standard internazionali”).

L’assenza di riferimenti, nelle lettera del MIT, a specifici e circostanziati inadempimenti del concessionario si presta a una riflessione ulteriore.

E’ noto che nel rapporto concessorio tra concedente e concessionario si crea anche una relazione controllante/controllore, giuridicamente rilevante; ne segue che  il concedente deve essere sempre in grado di verificare che il privato, che assume la gestione di un servizio e/o di un bene pubblico, rispetti gli obblighi formalizzati e fissati in convenzione. L’incapacità o l’impossibilità dell’amministrazione – tanto a livello centrale quanto locale – di svolgere con efficienza ed efficacia tale ruolo di controllo è, a parere di chi scrive, uno dei profili maggiormente critici del sistema delle privatizzazioni, almeno come realizzato in Italia.

Con riguardo ai tragici fatti di Genova occorrerà verificare, allora, se e come le strutture ministeriali competenti abbiano espletato il dovere di monitorare le attività di manutenzione – anche straordinaria – del gestore (a questo scopo il concedente può effettuare accessi, ispezioni e richiedere informazioni e documenti). Se, a seguito delle indagini, lo svolgimento di tale attività del Ministero non dovesse risultare adeguata, lo scenario più probabile sarebbe quello paventato dal Prof. Clarich e dall’ex Ministro delle infrastrutture Di Pietro (vale a dire un concorso del MIT nelle responsabilità per omesso controllo), piuttosto che quello anticipato dall’attuale Ministro Toninelli (il MIT mera parte offesa che si costituisce parte civile).

Una considerazione ulteriore merita la disciplina della cessazione anticipata nella Convenzione con Aspi (si tenga presente che in altre concessioni autostradali le previsioni sul punto sono parzialmente diverse).

Un giudizio definitivo su tale questione sarebbe possibile solo dopo un’attenta analisi del piano economico finanziario (PEF) dell’opera, vale a dire il documento che, attraverso la comparazione tra costi e ricavi attesi, consente di capire a quali condizioni e in quanto tempo il concessionario sarà in grado di rientrare degli investimenti effettuati; da cui la possibilità di calcolare i potenziali margini di profitto e/o gli effettivi profitti già realizzati. Purtroppo il PEF è fra i documenti ancora secretati.

In ogni caso si ha l’impressione di una disciplina sulla cessazione anticipata del rapporto eccessivamente sbilanciata a favore del privato. Tale valutazione,  meritevole di ulteriori approfondimenti, si basa su un confronto – con tutti i limiti che tale operazione presenta – fra la disciplina sulla cessione anticipata della Convenzione con Aspi e quella corrispondente prevista, per le concessioni in generale, dal Codice dei contratti pubblici (art. 176 del d.lgs. 50/2016) che, è bene precisare, non trova applicazione al caso de quo perché intervenuto successivamente alla stipula della concessione e applicabile solo ai contratti successivi alla sua entrata in vigore.

Tale ultima normativa – richiamata quindi solo con funzione di confronto – contiene una regolamentazione sulla cessazione anticipata più equilibrata di quella che si rinviene nella Convenzione con Aspi.

Essa prevede, infatti, in caso di risoluzione per inadempimento del concessionario, l’applicazione dell’articolo 1453 del codice civile (“Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”); negli altri casi (inadempimento dell’amministrazione concedente ovvero revoca per motivi di pubblico interesse), che al concessionario spetti il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori al netto degli ammortamenti, le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione e un indennizzo a titolo di risarcimento del mancato guadagno pari al 10 % dei ricavi prospettati nel PEF.

Occorrerebbe pronunciarsi con numeri alla mano, ma le due situazioni (quella regolata dalla Convenzione e quella prefigurata dal Codice) sembrano ben diverse.

Certo l’eccessiva onerosità per il Concedente di un eventuale cessazione anticipata potrebbe far sorgere delle perplessità sulla conformità della Convenzione Unica del 2007 con il d.l. 262/2006 ai sensi del quale le sue clausole avrebbero dovuto essere adeguate ad assicurare anche “l’introduzione di meccanismi tesi alla migliore realizzazione del principio di effettività della clausola di decadenza dalla concessione”.

Ma torniamo al nostro caso. Allo stato attuale, ben farebbe il Ministro Di Maio a prendere in considerazione la proposta di Autostrade (che al momento sembra essere di mezzo miliardo da elargire in favore dei familiari delle vittime e dei feriti più la ricostruzione del ponte in 8 mesi) o comunque a valutare soluzioni alternative alla revoca; si consideri, peraltro, che la decadenza è una sorta di extrema ratio, in quanto la Convenzione, salvo che il fatto costituisca reato, prevede un sistema di sanzioni pecuniarie amministrative che possono raggiungere fino a 150 milioni (v. art. 7 comma 1 lett. d).

Non si tratterebbe, come ha sostenuto il Vicepremier, di accettare elemosine, ma di ponderare con attenzione cosa sia più in linea con i reali interessi del Paese; oltre che, come hanno rispettivamente osservato Marcello Clarich e Roberto Bin, di evitare di esporsi a possibili azioni contabili per danno all’erario o ad azioni penali per il reato di aggiotaggio.

Il tutto senza dimenticare le difficoltà operative che la soluzione decadenziale porterebbe con sé. Si pensi non solo alla gestione delle lunghe e complesse procedure per l’espletamento di una o più gare aventi ad oggetto l’affidamento di ben 3 mila km di autostrada; ma soprattutto alle strutture di Anas che, nel giro di alcuni mesi, potrebbero trovarsi a dover gestire, senza adeguata organizzazione, più della metà delle autostrade italiane.

Peraltro, neppure la soluzione della decadenza parziale, limitata alla sola tratta Genova-Savona, pare allo stato attuale ragionevole. Al di là delle perplessità di natura giuridica (dal momento che, come detto, la convenzione con Aspi è unica), non si capisce il senso “strategico” di una tale soluzione: o si ritiene il gestore attuale del tutto inaffidabile e si decide di estrometterlo dalla gestione di ogni tratta, oppure si individuano altre soluzioni, magari meno attrattive di immediati consensi, ma più sicure e più vantaggiose per il bene comune.

In attesa che la giustizia faccia il suo corso, più che per trovare un capro espiatorio per soddisfare la sete giustizialista o di vendetta (si veda sul punto l’articolo di Chiara Saraceno Il dolore e il diritto di dire no su La Repubblica del 18 agosto 2018), questa triste vicenda potrebbe costituire l’abbrivio per una seria e più generale riflessione sullo strumento concessorio e sul suo utilizzo.

A tale strumento si ricorre per affidare a privati la costruzione e la gestione di beni e servizi pubblici fondamentali, primi fra tutti gli ospedali. Non infrequenti sono, tuttavia, i casi in cui le Amministrazioni si trovano imbrigliate in condizioni contrattuali che – ab origine o per fatti sopravvenuti – sono tali da non risultare convenienti per la miglior tutela dell’interesse pubblico; ciò può dipendere anche dalla oggettiva difficoltà per le strutture amministrative (che devono fare i conti con ataviche carenze di personale specializzato per i blocchi assunzionali e con il divieto di rivolgersi a consulenti esterni) di confrontarsi con operazioni negoziali molto complesse i cui drivers finiscono per essere i grandi studi legali specializzati che in molti casi assistono le imprese private.

Non sarebbe allora inopportuno, dopo che nelle ultime riforme della pubblica amministrazione ci si è mossi soprattutto a tutela dell’affidamento dei privati e della stabilità dei rapporti con l’amministrazione, che l’attuale Governo gialloverde cambiasse prospettiva introducendo strumenti normativi che facilitino percorsi di riallineamento all’interesse pubblico dei rapporti concessori, fermo restando un ragionevole bilanciamento con gli interessi dell’impresa privata. Soprattutto dal momento che, come i tragici fatti di Genova ci dicono, questi rapporti riguardano servizi pubblici sistemici, sensibili e strategici quali la gestione di autostrade o di ospedali.

Ad esempio, si potrebbe pensare a una disciplina legislativa che, a prescindere da una formale clausola convenzionale, consenta un riequilibro finanziario e/o prestazionale quando le condizioni contrattuali risultino sbilanciate o non più adeguate alla migliore tutela dell’interesse pubblico; in tal caso lasciando alla controparte privata la possibilità di optare fra le nuove condizioni contrattuali e la cessazione anticipata del rapporto con il rimborso di tutti gli oneri sostenuti.

 

[*] Assegnista di ricerca in diritto amministrativo presso l’Università di Ferrara

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1 commento su ““Guidate con prudenza!”. Quello che il Governo potrebbe fare con la Concessione ad Autostrade”

  1. Ringrazio l’autore della bella analisi, chiara e convincente. Ha ragione insieme al prof. Clarich e all’ex-ministro Di Pietro di evidenziare le responsabilità del governo. La sicurezza (in genere e stradale in particolare) dei singoli è il primo obiettivo del patto sociale, quindi della costituzione. Lo stato assume un obbligo di risultato, mentre il concessionario ha solo obblighi contrattuali e di mezzo. L’ipotesi di una rinazionalizzazione dell’aspi è scandalosa, perché come può sostenere il MIT di sapere gestire l’infrastruttura se non sa nemmeno controllare il gestore? L’anas pubblica all’incapacità aggiunge il vizio dei soldi in più. Si faccia invece una commissione d’inchiesta sulle concessioni in essere, che avrebbero oltre le condizioni economiche inconsuete (un margine eccessivo) pure delle clausole occulte! Quello a cui assistiamo da una settimana sono i soliti discorsi di ripassarsi la carta che brucia, non ci sarà alcun responsabile. Indegno il tentativo commentato più all’estero che sui media nazionali di incolpare la politica europea di rigore dei conti, mentre l’UE in realtà co-finanzia massicciamente le infrastrutture italiane che alla fine sono lo specchio del paese. Non basta quindi l’analisi tecnica di una situazione giuridica. Tutto si sgretola mentre tutti fanno finta di rispettare le regole, proprie o imposte dall’UE. La stessa critica vale per gran parte del dibattitto pubblico, finto, senza rigore, cinico, senza verifica della verità, ingannevole, senza sanzione, perché in democrazia tutti i voti hanno lo stesso peso e che intanto vince alla fine chi grida più forte o possiede i mezzi più potenti. L’Italia è l’avanguardia, c’è solo da temere che altri seguano.

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