Italia razzista?

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di Ginevra Cerrina Feroni*

Gridata ai quattro venti da parte dell’opposizione, dalla sua base ai suoi vertici, cui fa corona anche una corte mediatica plaudente di “filosofi”, giornalisti e giuristi convergenti su una medesima posizione ideologica è, da qualche mese, la narrazione di un’Italia destinata al suo ineluttabile dissolvimento. Diventata disumana e, soprattutto, razzista. Il “sonno della ragione che genera mostri”, indotto, ovviamente, da un Ministro degenere e spregiudicato, adesso indagato dalla magistratura, su ignari e sprovveduti italiani, avrebbe generato davvero un mostro. Il più crudele dei mostri: il razzismo. Razzismo imperante, Italia razzista, mobilitazioni contro il razzismo. Una accusa sconcertante.

Fin dai banchi di scuola ci era stato insegnato che l’Italia era un Paese diverso, che non era l’America e neppure il Sud Africa. Che, soprattutto, aveva nel suo DNA una forte propensione all’inclusione. Ed è vero. Basterebbe solo dare un’occhiata alla storia repubblicana di questi 70 anni. Ma tant’é! Ragionevole, dunque, tentare di fare chiarezza, provare a ricontestualizzare un concetto usato e abusato in questo recente clima politico pericoloso e surriscaldato. Dove, addirittura, si si sono azzardati paralleli grotteschi tra la situazione politica attuale e quella che, allora, aveva anticipato e favorito in Germania e in Italia l’avvento del nazismo e del fascismo. Un tentativo di focalizzare il significato reale del termine di razzismo stimolato proprio dalla questione dell’accoglienza dei migranti.

Utile riflettere sul sistema messo in atto dai Governi negli ultimi anni. Sinteticamente, porti e frontiere aperti per tutti, indistintamente. Non solo per vittime incolpevoli che fuggono da Paesi dilaniati da guerre e distruzioni e, ovviamente, meritevoli di ogni tutela, ma anche per chi non avrebbe diritto alcuno all’asilo politico, per balordi e criminali sfidanti le leggi, per scafisti senza scrupoli. Per tutti, un’entrata facile. E, poi, per coloro (una minoranza) che hanno ottenuto lo status di rifugiati, nessun serio programma nazionale di inserimento e di reale integrazione, nessun percorso lavorativo garantito a loro favore. Per gli altri, libertà di fare perdere le proprie tracce – secondo una consolidata prassi, vedi, da ultimo, caso Diciotti – di fuggire altrove e/o di rimanere in Italia in incognito, sovente a delinquere. Oppure, migranti divenuti schiavi in campi lager italiani gestiti da mafie e camorre dove si lavora di notte e di giorno per due-tre euro all’ora senza tutele, senza diritti. E dove, qualche volta, si muore.

E poi il sistema degli affidamenti a cooperative, alcune delle quali assolutamente inadempienti a svolgere, decorosamente, le mansioni loro affidate, come ci dicono gli scandali che periodicamente vengono portati alla luce. Immigrati stipati in una stanza, dove si mangia, si dorme e si bivacca tra degrado e sporcizia. Senza prospettive, senza speranza. A tali cooperative deleghe in bianco consegnate dai Governi degli ultimi anni. Nessun controllo, nessuna sanzione. Un business dell’accoglienza che ha arricchito molti, violando le più elementari regole di tutela della dignità umana costituzionalmente riconosciute.

Oggi, finalmente, tutto comincia ad apparire nella sua cruda verità. Alcuni ritengono che, numeri alla mano, il problema immigrati nelle città italiane non esista. Sarebbe solo una questione di “errata percezione” sull’entità del fenomeno. Peccato che neppure si sappia, con certezza, il numero degli irregolari in Italia: 600.000? 700.000? E, comunque, visto che si tratterebbe solo di un’errata percezione, potrebbe essere consigliabile un giro a piedi per le degradate periferie italiane delle grandi città o per i vari Bronx dentro i centri storici, ad esempio di Napoli, Palermo, Catania. Ed allora ci si potrebbe anche rendere conto che è stata l’inadempienza delle istituzioni ad avere provocato in questi anni non razzismo, ma sentimenti diffusi, più che comprensibili, di paura, di precarietà, di insofferenza in chi si è sentito abbandonato da parte dello Stato.

Walter Veltroni in un articolo apparso su Repubblica il 29 agosto ha scritto: “È la sinistra, nella storia, che ha cambiato il mondo. Sono state le lotte contro lo schiavismo, per la liberazione delle donne, contro l’alienazione e lo sfruttamento, per i diritti civili e umani contro le discriminazioni. È questo sistema di valori che ha reso la vita di ognuno sulla terra più libera e migliore”. Eccoci al punto. È proprio questo sistema di valori, cui fa riferimento Veltroni, ad essere stato pesantemente violato nella politica sull’immigrazione di questi ultimi anni. Ed è proprio in questo sistema di violazioni, di emarginazione, di inadempienze gravi, ammantato però dalla retorica di un buonismo umanitario delle porte aperte a tutti e senza regole, che, forse, possiamo andare a ricercare il significato, il più autentico, di razzismo. E prenderne atto. Laicamente.

* Articolo già pubblicato su Il Messaggero del 10 settembre 2018

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1 commento su “Italia razzista?”

  1. Molto interessante, e’ la descrizione vera di come i Governi precedenti hanno gestito il grande problema ddll’immigrazione, altro che accoglienza!

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