Ma cosa prevede davvero il “decreto Salvini” sull’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo?

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di Antonella Buzzi e Francesco Conte

Il decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132, noto alle cronache come “decreto Salvini”, ha introdotto delle significative modifiche in materia di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo.In particolare, il decreto ha abrogato l’art. 5 bis del D.Lgs. n. 142/2015, che prevedeva le modalità di iscrizione all’anagrafe per i richiedenti asilo accolti nei centri di accoglienza governativi e SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). Inoltre, all’art. 4 del D.Lgs. n. 142/2015 ha aggiunto il comma 1 bis, in base al quale il permesso di soggiorno per richiesta asilo non costituisce “titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286” (pur costituendo, per espressa previsione del decreto, “documento di riconoscimento”).

Come osservato anche dal Prof. Emilio Santoro, tali previsioni, ad ogni modo, non hanno introdotto alcun divieto di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo (forse a discapito delle intenzioni del governo), che anzi, a parere di chi scrive, continua ad essere un precipuo dovere degli ufficiali d’anagrafe.

D’altronde, il D.L. n. 113/2018 non ha modificato il D.Lgs. 142/2015 nella parte in cui impone al richiedente asilo di comunicare alla Questura il proprio domicilio o la propria residenza e tutte le successive mutazioni, il che presuppone che il richiedente asilo possa avere residenza nel territorio dello Stato. Ciò che cambia, rispetto alla disciplina previgente, attiene esclusivamente alle modalità dell’iscrizione. Precedentemente, infatti, in ragione della particolare condizione dei richiedenti asilo (spesso privi di documenti di identità) erano state previste modalità semplificate (e speciali) di iscrizione anagrafica che oggi sono state abrogate: la conseguenza è la mera riespansione dell’applicazione della normativa generale sull’iscrizione anagrafica degli stranieri.

Chi scrive ritiene, dunque, che tornino a trovare applicazione, anche per i richiedenti asilo, le disposizioni generali contenute nel T.U. immigrazione (D.Lgs. n.286/1998) il quale prevede che le “iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione” (art. 6, settimo comma), puntualizzando altresì che “in ogni caso la dimora dello straniero si considera abituale anche in caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza”. Orbene, a mente dell’art. 43 del codice civile, la residenza coincide esattamente con la “dimora abituale” (definizione ovviamente contemplata nei medesimi termini anche nel regolamento anagrafico della popolazione residente, D.P.R. n. 223/1989. all’art. 3).

Ne consegue che, in assenza di altri “titoli”, la residenza per lo straniero viene a coincidere con il centro di accoglienza in cui sia ospitato da almeno tre mesi.

Per altro verso, anche in assenza di specifica richiesta o dichiarazione resa dall’interessato, l’iscrizione anagrafica resta un dovere posto dalla legge in capo all’ufficiale d’anagrafe che, in extrema ratio, deve provvedervi d’ufficio, essendo incaricato di provvedere “alla regolare tenuta dell’anagrafe della popolazione residente”, “responsabile della esecuzione degli adempimenti prescritti per la formazione e la tenuta degli atti anagrafici”, nonché incaricato di ordinare “gli accertamenti necessari ad appurare la verità dei fatti denunciati dagli interessati, relativi alle loro posizioni anagrafiche, e di disporre indagini per accertare le contravvenzioni alle disposizioni previste dalla legge” (art. 4 L. n. 1228/1954). Pertanto, qualora l’ufficiale d’anagrafe accerti che non siano state rese le dichiarazioni circa la residenza o la dimora alle quali sia i cittadini italiani che stranieri sono tenuti ai sensi dell’art. 13 del DPR 223/1989, deve invitare gli interessati a fornirle. Nel caso di mancata  dichiarazione, infine, l’ufficiale di anagrafe provvede ai conseguenti adempimenti (art. 15 DPR 223/1989) e cioè procede d’ufficio all’iscrizione o alla variazione.

In definitiva, il “decreto Salvini” ha certamente reso più farraginosi i meccanismi di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo i quali, pur essendo tenuti a rendere dichiarazioni sulla propria dimora abituale, sono privati di un “titolo” che ne consentiva l’immediata ed agevole ricostruzione. Nondimeno, gli ufficiali d’anagrafe continuano ad essere tenuti a procedere alle relative iscrizioni, sulla base di più dispendiose indagini circa l’effettività ed abitualità della dimora. Il che complica – e non poco – l’applicazione delle previsioni di legge con l’ulteriore conseguenza di sicuri rallentamenti nell’aggiornamento delle iscrizioni anagrafiche, a discapito della tanto decantata sicurezza.

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