Più bidelli, meno ricercatori: è così che si svilupperà il Paese?

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di Giuseppe Di Gaspare

Trovo degno di segnalazione il concorso per “11.655 bidelli in tutto il Lazio anno scolastico 2019 – 2020” (così il bando in Roma Lavoro n. 302 del 20 giugno scorso). Il concorso, per il momento solo annunciato, oltre il Lazio riguarda a regime un organico di 203.434 personale amministrativo ATA per il triennio 2019–2022 i per tutto il territorio nazionale (decreto del MIUR del 3 giugno 2019). La maggior parte sono destinati al profilo collaboratori scolastici (“i famosi bidelli”, spiega l’annuncio ).

Fatti due conti, supponendo un costo per addetto medio annuo di euro 20.000, moltiplicato per 200.000 unità, si arriva alla cifra di 4mld di euro. L’importo più o meno della manovra finanziaria di adeguamento del bilancio attualmente in discussione. Non si tratta però in questo caso di una misura una tantum. La spesa espletati i concorsi dopo il 2022 graverà stabilmente sul bilancio del MIUR per circa 4 mld per tutta la durata lavorativa dei neoassunti saturando il bilancio della pubblica istruzione almeno per il decennio successivo.

Data la situazione della finanza pubblica, l’aggravio strutturale di bilancio sarebbe la pietra tombale per la ricerca universitaria (i cui fondi sono già mediamente 1/3 degli altri paesi europei) . Se pensiamo che il costo di un ricercatore universitario è di circa 25.000 euro annui, non molto superiore al costo di un neo bidello, la scelta ministeriale lascia di stucco. Ovviamente servirebbero non solo ricercatori, ma anche borse di studio per “capaci e meritevoli”, per i nostri asfittici dottorati di ricerca, per i progetti di ricerca nei settori strategici in cui si compete per l’innovazione ed il lavoro futuro. Meno “cervelli in fuga”, più risorse per investimenti e quindi maggiori opportunità di arrestare il declino del paese. Il lavoro del prossimo ventennio deve essere inventato al 40% ed il luogo per farlo sembra essere – a giudizio unanime in tutto il mondo – il terreno della ricerca scientifica e della innovazione tecnologica. Dobbiamo esserci.

Anche per l’ istruzione superiore e la scuola dell’obbligo le priorità sono altre e note da tempo: competenze per insegnare “inglese ed informatica”, il sostegno alle scuole in zone disagiate per contrastare l’abbandono scolastico, l’assistenza a studenti con disabilità, la messa in sicurezza dell’edilizia scolastica.

Tutto verrebbe da dire, senza polemica, fuorché i “collaboratori scolastici”. Figura scomparsa o in via di sparizione nei paesi più progrediti i cui compiti (Svezia e Giappone) sono svolti da pensionati attivi e competenti in grado di a dare una mano alla collettività di appartenenza in cui vivono figli e nipoti. Anche da noi sarebbe possibile fare affidamento su queste risorse spontanee della società civile con il collaudato metodo della cittadinanza attiva su base volontaria con la presenza anche delle famiglie per la gestione e l’amministrazione ordinaria delle scuole.

Penso che dovremmo però darci da fare per chiedere un cambiamento di rotta. Innanzi tutto al ministro della pubblica istruzione e al presidente del Consiglio, il prof. Conte – che probabilmente ignora il decreto ministeriale . Anche la Conferenza dei rettori potrebbe dire qualcosa. Tutta la comunità scientifica avrebbe il diritto, forse anche il dovere, di farsi sentire . Vanno sollecitate prese di posizioni nell’ università, nella politica e nei media per mettere tutti davanti alle proprie responsabilità . Ne va del futuro del paese.

Ho cercato di sottoporre la questione alla trasmissione radio del terzo canale Rai del mattino “prima pagina”. Non ho avuto la parola. L’argomento non sembra susciti l’ interesse della redazione.

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