I due errori di Zaia sull’autonomia differenziata

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di Piero Cecchinato*

A distanza di due anni dal referendum veneto sull’autonomia, più ne parlo e più mi rendo conto di quanto la retorica inziale della giunta regionale abbia inquinato il dibattito.

La fuorviante narrazione sul residuo fiscale, la retorica dell’indipendenza e dei 9/10 (ossia la pretesa di trattenere sul territorio i 9/10 del gettito, come la provincia autonoma di Bolzano), mischiate ad arte con il regionalismo differenziato dell’art. 116 Cost., hanno lasciato il segno.

Luca Zaia ha commesso due errori. Il primo è stato quello di inquinare la richiesta di condizioni particolari di autonomia – richiesta costituzionalmente legittima – con pretese costituzionalmente illegittime (i 9/10 del gettito appunto, con connessa cancellazione o riduzione della perequazione). Il secondo è stato quello di non vedere che alla fine del processo vi stava un imbuto.

Primo errore. L’aver scelto, all’inizio, di incentrare la battaglia sul residuo fiscale (la differenza fra quanto lo Stato preleva in tasse sul territorio e quanto restituisce in servizi, ossia i schei che il veneto dà in più rispetto a quanto poi riceve) ha sicuramente aiutato il Governatore a radicalizzare il consenso attorno a sé dentro la Regione, ma, al contempo, ha fornito buonissimi argomenti agli avversari del regionalismo differenziato per contrastare la riforma (“Il Veneto vuole creare cittadini di serie A e serie B”, “Il Veneto vuole la frattura dello Stato”, si è detto).

Il secondo errore è legato al primo. Zaia non ha visto che alla fine del percorso vi stava l’ostacolo più grande. L’art. 116 Cost. stabilisce infatti che l’intesa stipulata fra lo Stato e la Regione interessata a maggiori forme di autonomia vada poi ratificata con legge del Parlamento da approvare a maggioranza assoluta dei componenti di entrambe le Camere (ossia la metà più uno di tutti i parlamentari, non la sola maggioranza dei votanti).

Solo dall’Umbria in giù, senza contare Toscana e Sardegna, ci sarebbero 143 Senatori da convincere, per dire.

Zaia non ha considerato di aver bisogno dei voti dei deputati di tutte le altre regioni d’Italia, a partire da quelli del Meridione, ed ha scelto invece la retorica dello scontro che ben ha fatto alla sua crescita nei consensi (perché, oggi, chi più urla, più raccoglie), ma che ha allontanato notevolmente l’obiettivo.

C’è un solo modo di portare avanti la riforma dell’autonomia differenziata, che è quello di ingraziarsi i voti dei deputati delle altre regioni, ponendo le giuste premesse.

Premesse che sono:

  1. con il regionalismo differenziato la perequazione e la solidarietà non vengono meno e il Veneto continuerà ad avere un residuo fiscale negativo, perché, come in ogni ordinamento federale, i territori che hanno di più danno di più (per non avere residuo fiscale si deve secedere);
  2. ogni riforma che avvicini, in senso federalista, il centro di spesa al cittadino va perseguita, perché incentiva il senso di responsabilità del governante (se chi spende i miei soldi si trova a Venezia è più facile che io possa andare a protestare, più difficile se si trova a Roma);
  3. le politiche per il Meridione finora non hanno dato i frutti sperati, le risorse vengono elargite in forma assistenziale (il recente libro “Morire di aiuti”, edito dall’Istituto Bruno Leoni e premiati con il Premio Sele d’Oro Mezzogiorno lo spiega purtroppo molto bene) e il regionalismo differenziato può fornire l’occasione per rendere più efficace il supporto dovuto al Sud del nostro Paese.

La battaglia di Zaia è stata invece impostata su premesse incompatibili con una visione federalista e con la stessa unità nazionale: si è voluto mettere l’accento sul mantenimento del saldo fiscale nelle regioni più ricche, mettendo in discussione il ruolo riequilibratore dello Stato (il ruolo in sé, non tanto il suo funzionamento) e ricorrendo ad argomenti propri di una visione isolazionista, con palesi strizzate d’occhio agli indipendentisti più sfegatati.

Un’impostazione che nel tempo è andata affievolendosi, ma che è rimasta ben scolpita nella mente degli avversari della riforma.

In questo contesto, solo la legge quadro annunciata dal Ministro Boccia (ossia una legge nazionale che detti i principi di attuazione dell’art. 116 Cost. a cui poi dovranno conformarsi le singole intese Stato-Regioni) potrebbe consentire di superare un ostacolo che l’impostazione politica della stessa Giunta veneta ha contribuito a rendere insuperabile.

* Avvocato a Padova

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