Libertà dalla vaccinazione: un’idea manifestamente infondata!

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di Gladio Gemma*

Nella scomposta ed irragionevole polemica dei nemici della obbligatorietà della vaccinazione contro il covid – no-vax dichiarati o loro gregari (tra cui intellettuali e giuristi) – è stata avanzata una tesi manifestamente infondata: il principio di libertà consentirebbe soltanto la raccomandazione a vaccinarsi, una sola opera di persuasione, ma vieterebbe l’imposizione di un obbligo vaccinale. Vediamo perché si tratta di un’idea assolutamente priva di fondamento. Partiamo da un’affermazione di ordine concettuale, che sembra incontestabile. Dove è riconosciuta la libertà, non opera il dovere – assumiamo tale termine nel senso di vincolo, senza che sia rilevante in questa sede la distinzione fra dovere ed obbligo (quale discussa e trattata a livello di formalismo concettuale) – laddove si impone il secondo è fuori gioco la prima. Detto in termini banali, se esiste la libertà di matrimonio, non può esistere un dovere di sposarsi, se esiste il dovere di pagare i tributi, non c’è libertà di non adempiere l’obbligazione tributaria. Quando è sancita una libertà, per rimanere agli esempi poc’anzi addotti, lo Stato (o il diritto) è indifferente nei confronti delle azioni degli individui, perché non è interessato ai risultati delle stesse: che un individuo si sposi o meno, che contragga matrimonio con una persona od altra, non è rilevante, anche se possono derivare danni da una eventuale scelta matrimoniale infelice. Ben diversamente, se viene imposto un tributo, lo Stato è interessato all’acquisizione di una certa somma e non può consentire che questa rimanga invece nel patrimonio del privato con facoltà di quest’ultimo di non pagare. È vero che esistono anche i diritti funzionali, ad esempio quelli inerenti alla potestà genitoriale, ma comunque anche in questi casi, ove operi il dovere, recede la libertà: un genitore ha il dovere, non la libertà, di curare il figlio ammalato o di mandarlo a scuola, pena una sanzione in caso di inosservanza.   
Quanto detto, è ovvio, non significa piena, illimitata, facoltà dello Stato di imporre doveri, e quindi non esclude la illegittimità dell’imposizione di obblighi (anche, ma non solo) qualora sia lesa la libertà. Ma, posto che la libertà riconosciuta fin dagli inizi del costituzionalismo non è illimitata, può ritenersi illegittima una limitazione di libertà non in quanto tale, ma in quanto essa sia lesa in misura inaccettabile e non giustificata da pur validi interessi individuali o collettivi.        
Venendo ai trattamenti sanitari obbligatori, occorre applicare anche in questo ambito un canone razionale della vita collettiva, che è stato recepito anche dal diritto e dai giuristi: il bilanciamento dei principi o degli interessi (assumiamo per comodità la sinonimia). Più esattamente, i trattamenti sanitari obbligatori, funzionali alla tutela della salute e di tanti altri interessi (costituzionali), sono espressamente e incontestabilmente previsti dall’art. 32, 2° c., della Costituzione (e chi lo nega è un asino!). Certamente però l’imposizione di detti trattamenti può incontrare un limite, nell’operazione di bilanciamento, (anche) nella libertà personale. Ciò può avvenire o qualora la limitazione fosse eccessiva, cioè esorbitante in rapporto al fine perseguito: ad esempio, a parere di chi scrive, l’imposizione di una quarantena per molti mesi od anni nei confronti di persone pur vulnerabili onde proteggerli dal virus risulterebbe eccessiva, pur in presenza di un fine meritorio. Ora però, come si può ben vedere, non può opporsi ai trattamenti sanitari una violazione di libertà a prescindere, oltre tutto sarebbe assurdo ritenere inammissibile l’esercizio di un potere prefigurato da una disposizione costituzionale, ma solo una grave, eccessiva, menomazione della libertà personale.
Giunti a questo punto, si può affermare che l’opposizione all’obbligatorietà della vaccinazione anticovid – ovviamente da introdurre mediante atto legislativo, ex art. 32, 2° c., Cost. – in nome della libertà personale è un’assurdità logica e giuridica. Infatti questa tesi dei no-vax (e loro alleati) non tiene conto della necessità del bilanciamento dei principi (o degli interessi) ed allora è assurda, perché va contro quel canone logico e giuridico indiscusso.  E questa omissione, non a caso, risulta bene nei discorsi dei no-vax e loro gregari. Oppure, si ragiona in termini di bilanciamento, ed allora risulta l’assurdità solo se si pensi un momento ai termini del confronto. Soltanto una mancanza del senso del ridicolo può indurre a sostenere che una misura, quale la vaccinazione, che confronta soltanto un piccolo dispendio di tempo ed una forata, con eventuale fastidio di breve durata (e ciò spesso non si verifica), possa essere una così grave lesione della libertà da far prevalere il diritto di rifiutare detta misura con le conseguenze pesanti di morte di persone, direttamente od indirettamente provocate dall’epidemia, di ricoveri ospedalieri, di danni all’economia, ecc. Il (ben piccolo) male della vaccinazione (obbligatoria) è ben minore del grande, grandissimo, male della diffusione del virus. Nel nostro caso deve operare il dovere e deve recedere la (ben poco menomata) libertà personale.     
Potrei fermarmi qui, ma devo aggiungere un’altra notazione polemica.     
Gli avversari dell’obbligatorietà vaccinale hanno invocato, a sproposito, la libertà di cura. Occorre sottolineare che tale invocazione è, anch’essa, manifestamente infondata. Chi abbia un minimo di informazione sulle vicende della libertà di cura sa che essa si è affermata in un dibattito, che l’ha vista contrapposta al dovere di cura, sostenuto, soprattutto allorché si sia in presenza di malattie ad esito infausto (se non curate). Va detto che la tesi del dovere di cura legittimante trattamenti anche coercitivi, pur se ormai minoritaria, non è una tesi manifestamente infondata, poiché sostenuta con argomenti non privi di serietà. Comunque nel processo culturale e politico-giuridico, che ha condotto ad un ampliamento della sfera della libertà nel campo bioetico anche andando oltre a quanto opinavano i costituenti, si è affermata la convinzione, secondo cui l’individuo abbia una certa disponibilità del proprio corpo, con la facoltà di rifiutare le cure, in quanto lo Stato (e il diritto) debba disinteressarsi della cura del suo essere corporeo (anche in caso di rischio per la sua vita). Attenzione, però! Che io sappia (e qualche volta mi sono occupato della tematica della libertà del corpo e della salute in occasione di qualche mio scritto, benevolmente pubblicato) nessun giurista, dicasi nessuno, né la giurisprudenza (costituzionale e non) hanno mai configurato la libertà di cura, con rifiuto di terapie, nei termini di una facoltà di danneggiare la società, di nuocere alla salute altrui. La libertà di cura è stata sempre pensata e riconosciuta con riferimento a malattie, che investono la sola sfera individuale del paziente. Ad esempio, un individuo che soffra per le ulcerazioni provocate dalle vene varicose, oppure un altro (non giovane) che soffra di disturbi della prostata con grave menomazione della qualità della sua vita, hanno il diritto di rifiutare le cure, pur ben utili contro le loro sofferenze, perché non è investita la salute e la qualità della vita altrui (nel caso di disturbi di prostata qualche fastidio potrebbe essere lamentato da una moglie, il cui marito si alza spesso la notte, ma è bene che lo Stato non se ne occupi!). 
La libertà di cura intesa in modo aberrante quale facoltà di far ammalare gli altri può essere sostenuta solo se si configuri in termini anarco-individualisti il diritto di nuocere ad altri.  Per dirla in modo brutale, con la stessa logica (illogica) con cui si sostenga una libertà di cura in termini così asociali, si potrebbe giustificare la pedofilia in nome della libertà sessuale (pur giustamente riconosciuta oggidì, se limitata alla sfera personale o interpersonale, purché con consenso).     
Concludo questo scritto polemico con le icastiche parole, di un amico, bravo giurista ed uomo dotato di impegno civile, Gustavo Ghidini, il quale ha scritto che “stupisce che anche commentatori non ascrivibili ad ottuse frange fanatiche si siano stracciati le vesti per il vulnus alla “libertà” e alla “democrazia” che sarebbe inflitto dall’obbligo di vaccinazione e persino dalla condizionalità del green pass per accedere ad ambienti affollati e/o chiusi”, soggiungendo, “Ma vogliamo scherzare? Quei supremi valori civili sono offesi da ben altro! Da cancellazioni ed arbitrarie restrizioni del diritto di libera espressione, della libertà di stampa, di voto, di associazione, da vessatorie misure di controllo dei lavoratori, eccetera. Non certo da un paio di vaccini approvati, né da altre misure precauzionali che la stragrande parte della comunità internazionale addita come idonee a ridurre nettamente il rischio di contagiare se stessi e gli altri” (v. Gustavo Ghidini, Tra libertà e doveri di protezione), nel Corriere della Sera, 28 agosto 2021, pag. 30).   

* già ordinario di diritto costituzionale – Università di Modena e Reggio Emilia

La vignetta di Tullio Altan è stata pubblicata da Il Piccolo 1° novembre 2015
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