Dove siamo? Tra tecniche di legislazione, sciopero dei magistrati e demanio marittimo

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di Glauco Nori

È forse il momento di soffermarsi sul criterio da seguire nel formulare le norme; considerati i risultati, quello adottato sinora fa sorgere qualche dubbio.

In Italia non mancano giuristi di dottrina e capacità tali da garantirne la perfezione formale. Non sempre, peraltro, vengono interpellati dalle gerarchie operative perché spesso il loro primo obiettivo è di evitare responsabilità, anche a costo di sacrificare l’efficienza. Può poi capitare che i giuristi diano suggerimenti che perdono di utilità per il ritardo, pur se ineccepibili dal punto di vista tecnico.

Quello che si dirà non è certo nuovo, ma sembra ugualmente utile per richiamare l’attenzione.

Ogni norma mira a risolvere un problema attinente alla vita sociale. Sembrano tutti d’accordo, ma talvolta si dà l’impressione di dimenticarlo. La norma programmata andrebbe, pertanto, messa in relazione all’ambiente nel quale dovrà operare, economico, sociale, culturale: qualcuna, utile per un ambiente, potrebbe non andar bene per un altro.

Una volta definita la situazione sociale interessata, tra gli interventi possibili andrebbe adottato quello che è prevedibile possa trovare attuazione più facilmente. Questa fase viene spesso sottovalutata, se non omessa. Una norma potrebbe anche produrre danni se non adatta alle condizioni dell’ambiente interessato, danni evitabili qualora, seppure formalmente meno soddisfacente, incontrasse un consenso maggiore.

Questo criterio sarebbe da seguire in particolare nei rapporti con l’amministrazione pubblica. Se le esigenze del momento richiedono interventi rapidi e tecnicamente complessi, entra in gioco l’efficienza di chi dovrà portarla ad attuazione. A questo proposito sarebbe da verificare quanto un certo modo di legiferare possa incidere sulla moltiplicazione delle leggi. Non sono poche quelle che non sono attuate per la mancanza delle norme strumentali, mancanza che talvolta è stata considerata quasi una giustificazione di fronte all’opinione pubblica meno informata, facendo finire in seconda linea gli interessi che nell’inefficienza trovano la loro realizzazione.

Tempo a dietro (ne è passato a sufficienza per fargli perdere di attualità) una legge, per risolvere alcuni problemi, stanziò mezzi finanziari rilevanti. Le prime domande degli interessati furono respinte con motivazione non convincenti. Quando qualcuno cercò di far cambiare l’orientamento, dagli organi responsabili fu risposto, naturalmente in via riservata, che, data la complessità della materia, si era considerato prudente dire di no; se poi gli interessati si fossero rivolti al giudice amministrativo, che probabilmente avrebbe accolto i loro ricorsi, si sarebbero eseguite le sentenze. Si sarebbero evitati i rischi di responsabilità patrimoniale che, dati gli importi in discussione, sarebbe stata rilevante.

Talvolta, dunque, alla inefficienza sono da sommare i rapporti tra amministrazione e giudici. C’è stato un tempo in cui si esaurivano all’interno della c.d. classe dirigente; poi si sono allargati e per questo ne sono diventati più evidenti alcuni risvolti.

Quando, poi, è coinvolta la discrezionalità, le cose si complicano ulteriormente. “Discrezionale”, attribuito al potere, suscita diffidenza nel pubblico che gli connette il pericolo di un esercizio scorretto. Per essere discrezionale, si pensa che il potere possa essere esercitato come si vuole.

Lasciando da parte i tecnicismi, perché possa risultare più chiaro per i non esperti, si può dire che il potere è discrezionale quando va esercitato tenendo conto della situazione del momento, che non può essere ricondotta in uno schema predeterminato dalle norme in misura sufficiente. Si rimette all’Amministrazione di scegliere la via che al momento appare la più utile.

Al giudice amministrativo è affidato il controllo sulla motivazione per verificarne la sufficienza a dimostrare la ragionevolezza e la coerenza. C’è il rischio che finisca con l’essere coinvolto il merito, non la sola legittimità, quando Il giudice applica criteri che è lui stesso a definire. Questo, naturalmente, se il provvedimento è impugnato; in tutti gli altri casi resta l’annullamento da parte della stessa amministrazione che lo ha emesso. Si è sostenuto che il controllo sarebbe in ogni caso di natura formale perché il merito è lasciato all’Amministrazione che dovrà riprovvedere. Anche in questo caso si dovrà attenere alla decisione circa i profili ritenuti rilevanti dal Giudice in base ad una valutazione diversa da quella di chi ha provveduto. Nella giurisprudenza si trovano casi singolari: partendo dal difetto di motivazione, il Giudice amministrativo è arrivato a disporre la nomina di un alto grado dell’esercito.

La distribuzione dei poteri col tempo sembra si sia squilibrata ulteriormente. Per la loro qualificazione magistrati del Consiglio di Stato continuano ad essere chiamati a dirigere uffici legislativi ministeriali o ad essere inseriti, in posizione non defilata, nei gruppi di consulenti dei vertici dello Stato. Il passaggio ad incarichi di rilievo politico è in discussione a proposito della magistratura ordinaria; se ne parla molto meno per quella amministrativa. Si è sentito dire che le due posizioni vanno tenute distinte e che quello che vale per l’una non vale automaticamente per l’altra. Sembra non sia considerato rilevante che i poteri della Magistratura amministrativa incidono sulla gestione della c.d. cosa pubblica e quindi anche sulla realizzazione degli obiettivi di governo che membri di quella magistratura hanno contribuito ad elaborare.

Non dovrebbe essere riportato nella normalità che al vertice di quest’ultima pervengano magistrati, di valore professionale indubbio, ma che hanno frequentato a lungo la politica diretta, anche in posizione di ministri. Si obietta che la loro correttezza istituzionale è fuori discussione, ma certamente non è fuori discussione che al cittadino comune possa venire qualche dubbio che, seppure infondato, costituisce un danno per le istituzioni.

Il problema non è di soluzione facile e Il momento non sembra il più adatto per affrontarlo. Dalla giurisprudenza comunitaria potrebbero desumersi suggerimenti utili.

“…mentre il giudice comunitario esercita un sindacato generale e completo sulla sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art.85, n.1, il sindacato che esso esercita sulle valutazioni economiche complesse fatte dalla Commissione si limita necessariamente alla verifica dell’osservanza delle norme di procedura e di motivazione, nonché nella esattezza materiale dei fatti, dell’errore manifesto di valutazione e di sviamento di potere” (Deere c. Commissione, C/7/95, sent.28 maggio 1998, punto 34). Il Giudice, in altre parole, non dovrebbe intervenire su quelle valutazioni della situazione di fatto della quale l’Amministrazione ha conoscenza diretta. Come la Corte di Giustizia non ha avuto difficoltà a individuare i limiti ai suoi poteri, lo stesso potrebbero fare i Giudici italiani: anche la giurisdizione dovrebbe essere una figura dai tratti comuni.

Che alcuni canoni stiano sfumando trova una conferma nello sciopero dei Magistrati. Lo sciopero, se non ci si allontana dalla sua nozione tradizionale, è uno strumento a disposizione del prestatore nell’ambito del rapporto di lavoro. Anche i Magistrati, una decina di anni fa, se ne sono serviti per opporsi ad una minaccia di riduzione dei loro stipendi.

Per la sua natura tecnica, la giustizia deve essere affidata a soggetti appositamente qualificati. Il diritto di sciopero può essere esteso a tutela di pretese sulla qualità del servizio e non sulle condizioni di lavoro? C’è chi lo ritiene rilevando che col tempo il diritto di sciopero avrebbe cambiato la sua fisionomia. Ammesso che sia così, qualche dubbio dovrebbe sorgere quando alla forzatura di un concetto giuridico contribuisce chi dovrebbe applicare il diritto. I rapporti che nascono dal servizio che si presta andrebbero tenuti distinti da quelli attinenti alle condizioni del rapporto di prestazione. Solo per rendere meglio l’idea: potrebbero i chirurghi scioperare perché l’ente non ha messo a disposizione gli strumenti più avanzati che consentirebbero interventi d’avanguardia, quando il loro impegno lavorativo è lo stesso?

Sulla qualità del servizio della giustizia i Magistrati non dovrebbero avere pretese maggiori dei cittadini utenti perché anche essi sono interessati in quanto cittadini e non in quanto prestatori. Il risultato dello sciopero può far pensare che la gran parte, seppure senza dichiararlo, abbia percepito l’incongruenza.

Il settore pubblico attraversa un momento difficile anche in rapporti che fino a poco fa erano rimasti defilati. Sono tornate d’attualità le concessioni balneari. Secondo alcuni, si sarebbe messa indebitamente di mezzo l’Unione Europea, allontanando così la questione dal diritto italiano.

I beni demaniali, come dovrebbe essere noto, sono soggetti all’uso di tutti “e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano” (art.823 c.c.), leggi che naturalmente debbono rispettare la Costituzione. A questi usi, definiti speciali, dovrebbero essere ammessi gli interessati attraverso procedimenti di selezione che ne garantiscano la parità di trattamento.

Le concessioni risalgono nel tempo, alcune anche di molto, e all’inizio avevano un termine di scadenza. Con giustificazioni varie, molte sono state prorogate ripetutamente, senza rinnovare il procedimento di aggiudicazione. Sostenendo che sarebbe fuori luogo dover cambiare orientamento solo perché ce lo chiede l’Europa, si dà per scontato, almeno così sembra, che secondo il diritto italiano tutto sarebbe a posto. Per la legge italiana l’uso individuale di un bene pubblico non può diventare un diritto del singolo, impedendo il concorso periodico con i possibili interessati. Si tratta di un principio in materia di concessioni che non dovrebbe richiedere commenti ulteriori. Come si è detto, fino ad oggi, e per lungo tempo, il rinnovo dei concorsi è stato evitato. In pratica la situazione sarebbe diventata legittima perché la sua illegittimità è durata a lungo e l’argomento comunitario porta altrove l’attenzione.

Anche se saranno in pochi ad essere d’accordo, sarebbe comunque il caso di parlarne perché, in particolare in questa materia, andrebbe evitata la formula ricorrente “la verità è”.

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1 commento su “Dove siamo? Tra tecniche di legislazione, sciopero dei magistrati e demanio marittimo”

  1. l’eccellente editoriale tocca i punti nevralgici dei quali nulla si sente e si scrive anche nei mediaa e nei maggiori quotidiani. Sarebbe forse utile che al riguardo anche il mondo accademico se ne facesse carico uscendo alla scoperto.

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