Vicende di un leader, di un regista mai nato e di un rottamatore

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di Luigi Ventura

Massimo D’Alema non ha certamente bisogno del mio endorsement per poter rappresentare, in caso di suo reingresso, un punto di riferimento, per intelligenza e prestigio politico ed intellettuale, per tante persone che si possano avvicinare di nuovo al Partito Democratico.

L’ho conosciuto come dirigente nazionale, subito acquisendo di lui una stima diretta per la sua statura da leader, prima, e da governante, poi.

Tacerò delle innumerevoli iniziative politiche. Ma non ha esitato un momento ad accettare di venire a Catanzaro in qualità di Presidente della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali (1997-1998), con un successo inimmaginabile presso un migliaio di studenti; ed è tornato come Presidente del Co.pa.si.R. a tenere una memorabile lectio che fa parte di un volume dedicato ai seminari di Diritto costituzionale di quell’anno.

È venuto ancora da parlamentare a discutere del suo libro “Controcorrente”. Fu in quel caso che dissi: “non si rottamano le persone e le personalità”. Lui rispose: “basterebbe dirlo”. Non fui d’accordo, dicendo che io, a mia volta, avevo resistito, vincendo. Ma avevo resistito ad una candidatura a me avversa, non certo caratterizzata da un linguaggio da sfasciacarrozze, alluvionando gli astanti. L’Università rimane una cosa più seria della politica politicante. Più di recente, in un’intervista televisiva (La7-L’aria che tira, 15 novembre 2022), sollecitato ancora una volta sul tema “rottamazione”, ha condivisibilmente replicato che il funzionamento della stessa è stato più quello di una “autorottamazione”, che il rinnovamento è una cosa assai complessa, più complessa di una “rottamazione”, e non implica la cancellazione della storia passata quasi fosse una vergogna. Si è visto, del resto, che “rottamare” è qualcosa che non ha funzionato.

Leggo che sarebbe per taluno “ingombrante” il suo ritorno nel PD (Corriere della Sera, 24 gennaio 2023): sì, ingombrante nel vuoto torricelliano in molte pieghe di quel partito.

È la cultura storica delle divisioni e delle scissioni che ha caratterizzato i partiti della Sinistra, fin dall’inizio, per finire in quella sorta di “compromesso storico al ribasso” che ha riunito parte della tradizione post comunista e parte di quella democristiana popolare con la “vocazione maggioritaria” del fondatore, e poi distruttore, che aveva militato nella F.G.C.I. e poi nel P.C.I., e come si accennava, dal 2007 al 2009, segretario del PD, che ha dichiarato, motivando, di non essere mai stato comunista: “si poteva stare nel P.C.I. senza essere comunisti, era possibile, è stato così” (La Stampa, 16 ottobre 1999). È così che il PD ha potuto avere, nella sua storia, anche un segretario “rottamatore”, della storia e delle tradizioni, che afferma di aver creduto nel “sogno di una cosa nuova”, quando essa è stata fondata, e che ha accusato, e continua ad accusare, altri “di aver distrutto quel sogno che poteva essere il PD… perché nel PD vedevano la fine del proprio potere” (Il Venerdì di Repubblica, 23 dicembre 2022), e che afferma di avere tra i propri miti i Bill Clinton, i Tony Blair, i Bob Kennedy, dimenticando di citare, che so, gli Enrico Berlinguer.     

L’attuale segretario dimissionario avrà le sue responsabilità come segretario di un partito che ha perso le elezioni, ma a quella carica è stato chiamato, non si è candidato, in quanto insegnava in Francia, ed ha generosamente accettato. Gliene va dato atto.

Ed ha la mia stima incondizionata Bersani, che ha solo la responsabilità di aver concesso ribalta, via streaming, a una accozzaglia di ignoranti (politicamente) ed al capocomico che non ha mai fatto ridere nessuno, che costituivano il primo Movimento pentastellato, ora, non si dimentichi, dimezzato nella sua consistenza.

Ma il punto vero è che colui che ha i geni del regista non si limita a svolgere questa funzione con i suoi numeri da prefisso telefonico ma, essendo stato nel PD dal 2018 al 2019, e prima Ministro dello Sviluppo economico dal 10 maggio 2016 al 1° giugno 2018, come indipendente, in due governi a guida PD, e che aveva prima fatto parte di Scelta civica dal 2013 al 2015. Recentemente ha brillato per aver dato l’assenso il giorno prima all’alleanza con il PD, perché quest’ultimo aveva concluso l’accordo con Sinistra italiana dopo aver detto, in una intervista, che quello era compito del PD.

Ora è alleato di Renzi, di cui si ricordi lo “stai sereno” rivolto a Letta (recentemente, Renzi ha affermato di esser stato sinceramente convinto, all’epoca, che il Capo dello Stato avrebbe dato l’incarico allo stesso Letta. Ma accompagnando tale affermazione con un “…anche se nessuno ci crede” – Il Venerdì di Repubblica, 23 dicembre 2022).

I commentatori si chiedono quanto durerà questa alleanza, vista la nuova vocazione verso il centro occupato da Forza Italia.

Perché non decide di fare il regista in casa sua, anziché occuparsi dell’ingresso della Sinistra, che sarebbe cosa del tutto naturale nel PD, e di tacciare uno dei candidati alle primarie per la segreteria del PD come “votato al fritto misto populista” per aver aperto al rientro di tanti ex nel partito e, di conseguenza, ridotto a zero la possibilità di alleanze con la sua formazione politica (Twitter, 15 gennaio 2023; La Repubblica, 16 gennaio 2023). Come giustamente gli è stato replicato, considerato il suo interesse ad occuparsi del PD, che almeno approfondisca, si informi, studi, o almeno legga per intero gli articoli e non solo i titoli. 

Ma anche Renzi, parlando del futuro, distingue un PD dalemiano, riferendosi all’ingresso possibile, quanto non del tutto probabile, del leader del PD, mostrando sarcastica contrarietà, sottolineando tutto il proprio interesse a che “il piano di autodistruzione [del Congresso PD] funzioni” (La Repubblica, 27 novembre 2022). Attenzione: se mai Conte, ormai capo dei Cinquestelle, facesse un accordo (magari è fantapolitica) con D’Alema, la partita nella Sinistra sarebbe chiusa.

Il PD sta rinnovando, nei progetti, la classe dirigente, ringiovanendola quasi in toto. E, come ha sottolineato ancora una volta D’Alema, per un partito come il PD, che ha più tradizioni, rinnovare deve significare capacità di andare avanti, ma non “rottamando” il passato, cancellandolo come una vergogna, bensì includendo e conservando, invece, la parte migliore della propria tradizione, secondo quella figura della dialettica hegeliana nota come aufhebung (intervista su La7-L’aria che tira, 15 novembre 2022). E mi colpisce positivamente, politicamente ed emotivamente il richiamo dello stesso D’Alema all’opera e alla figura di Enrico Berlinguer, quale “modello” per il nuovo PD. Modello che dovrebbe essere, quindi, parte integrante del patrimonio culturale del nuovo partito. E il candidato che secondo me vincerà ha la forza e l’intelligenza di arginare derive moderniste. Tuttavia, nel magma della politica italiana, tutto è possibile.

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1 commento su “Vicende di un leader, di un regista mai nato e di un rottamatore”

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