Sull’auto-attribuzione da parte del Presidente della Repubblica del potere di promulgazione parziale dei testi legislativi

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di Salvatore Curreri

Non è la prima volta che il Presidente Mattarella, nel promulgare un disegno di legge di conversione di un decreto legge, scrive al Presidente del Consiglio e/o ai Presidenti delle Camere per segnalare taluni specifici profili d’incostituzionalità.

Prima del comunicato dello scorso 23 febbraio, in relazione al decreto legge n. 198/2022 (c.d. mille proroghe), lo aveva fatto altre quattro volte: il 24 luglio 2018 (decreto legge n. 55/2018 contenente disposizioni sulle popolazioni del centro Italia colpite dal terremoto del 2016), l’8 agosto 2019 (decreto legge n. 53/2019 recante disposizioni in materia di ordine e sicurezza pubblica; c.d. decreto sicurezza bis), l’11 settembre 2020 (decreto legge n. 76/2020 sulla semplificazione e innovazione digitale) ed il 23 luglio 2021 (decreto legge n. 73/2021 sull’emergenza da COVID-19).

Dal 2018 una cadenza quasi annuale per quelle che la dottrina ha definito promulgazioni con motivazioni contrarie, cui aveva fatto ricorso per la prima volta Ciampi (v. lettera del 15 giugno 2002) e, ben cinque occasioni, il suo immediato predecessore Napolitano (v. le lettere del 13 ottobre 2008, 9 aprile 2009, , 22 maggio 2010, 22 febbraio 2011, 10 agosto 2012).

Né sono mancate promulgazioni con motivazioni contrarie di leggi ordinarie. All’unico caso sotto la Presidenza Napolitano (v. la lettera del 15 luglio 2009 in occasione della promulgazione della legge n. 94/2009 Disposizioni in materia di pubblica sicurezza) ne sono seguiti ben quattro sotto l’attuale Presidenza (v. le lettere del Presidente Mattarella del: 17 ottobre 2017 in occasione della promulgazione della legge n. 161/2017 che modificava il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; 30 novembre 2017 in occasione della promulgazione della legge n. 179/2017 sul c.d. whistleblowing; 29 marzo 2019 in occasione della promulgazione della legge n. 28/2019 Istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario; 26 aprile 2019 in occasione della promulgazione della legge n. 36/2019 Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa). Tutto ciò omettendo i diversi interventi di moral suasion con cui il Presidente della Repubblica fa più o meno formalmente far conoscere il proprio pensiero sull’attività legislativa di Parlamento e Governo prima o dopo che questa sia definitivamente esercitata (v. lettera del Presidente Napolitano del 23 febbraio 2012 e del 27 dicembre 2013 sul procedimento di conversione dei decreti legge a causa dell’inserimento di materie estranee al testo originario).

Alla luce di questi dati, si può ben dire che mentre il numero delle promulgazioni con osservazioni o motivazioni contrarie aumenta (sedici, di cui undici in relazione a disegni di legge di conversione di decreti legge), quello dei rinvii presidenziali dei testi di legge alle Camere si è drasticamente ridotto (appena uno a testa per Napolitano e Mattarella, contro gli otto di Ciampi, i sei di Scalfaro, per non dire dei ventidue di Cossiga che ne detiene il record).

Non pare esagerato allora concludere che mentre il potere di rinvio si atrofizza, quello delle promulgazioni “perplesse” o con motivazione contrarie si espande. Le cause di tale tendenza sono diverse e concorrenti. Innanzi tutto, la maggiore attenzione verso la copertura finanziaria delle disposizioni legislative (art. 81 Cost.) che in passato costituivano il motivo più frequente di rinvio (44 casi sui 63 totali). In secondo luogo, l’aver il Presidente della Repubblica circoscritto il proprio potere ai soli casi di palese o manifesta incostituzionalità (si vedano in tal senso gli speech del Presidente Ciampi in occasione della visita all’Università Humboldt di Berlino (26 giugno 2003 e del Presidente Mattarella il 26 ottobre 2017).  Inoltre, come si dirà, al contrario dei loro immediati predecessori, sia Napolitano che Mattarella hanno ritenuto di non rinviare i disegni di legge di conversione di decreto legge quando l’esercizio di tale potere avrebbe determinato la mancata conversione del decreto legge entro i sessanta giorni previsti in Costituzione, trasformandosi così di fatto in un potere di veto. Infine, ma non da ultimo, la promulgazione con motivazione contraria si è affermata nella prassi perché consente al Presidente di sfuggire alla secca alternativa, frutto di una rigida interpretazione dell’art. 74 Cost., tra il dover promulgare il testo, pur in presenza di dubbi di costituzionalità riguardanti però sue specifiche parti, ed il non promulgarlo a causa di essi, in tal modo impedendo l’entrata in vigore delle altre parti non oggetto di tali dubbi.

Le ragioni di tale “terza via” sono palesi e si ritrovano puntualmente nelle motivazioni dei messaggi, incluso l’ultimo del 23 febbraio: i testi legislativi sono sempre più complessi ed eterogenei, specie i decreti legge che lo sono o sin dall’inizio o a seguito dell’attività emendativa delle camere che, in fase di conversione, profittano di tale “treno veloce” per attaccarvi ulteriori “vagoni” e cioè, fuor di metafora, disposizioni estranee al loro contenuto ed alla loro ratio originaria. Il prodotto di tale disordinato legiferare sono i c.d. decreti-legge omnibus del tutto disomogenei, a causa della presenza al suo interno di disposizioni del tutto estranee, incoerenti o intruse rispetto all’oggetto, titolo, preambolo, contenuto e finalità del testo originario del decreto legge (v. Corte cost. 288/2019, 247/2019, 33/2019, 137/2018), alla ratio dominante del decreto legge nel suo complesso (Corte cost. 32/2014, 149/2020, 97/2019, 137/2018) ed ai suoi lavori preparatori (Corte cost. 288/2019, 99/2018, 5/2018). Eterogeneità che può essere, come detto, presente nel testo originario del decreto legge (Corte cost. 171/2007, 128/2008) ma anche conseguenza degli emendamenti aggiuntivi introdotto nella legge di conversione legata al decreto-legge da «interrelazione funzionale» (Corte cost. 128/2008, 93/2011, 22/2012, 34/2013, 32/2014, 251/2014, 145/2015, 154/2015, 186/2015, 94/2016, 244/2016, 181/2019, 226/2019, 247/2019, 274-5/2019, 245/2022). Una eterogeneità, infine, tanto più grave quando essa è frutto di interventi normativi diretti anche a disciplinare “a regime” materie o settori di materie.

Di fronte a siffatti testi legislativi, quando il Presidente vi ravvisi disposizioni di dubbia costituzionalità, egli ritiene preferibile promulgare l’intero testo segnalandole al Governo ed alle Camere affinché vengano rimosse anziché rifiutarsi di promulgarlo, con l’effetto – nel caso di disegni di legge di conversione di decreti legge – di annullarne gli effetti prodotti retroattivamente dal momento della sua approvazione. In altri termini, il Presidente promulga o rinvia il testo legislativo se di natura unitaria o omogenea; se invece così non è, il Presidente, è costretto ad una valutazione separata del testo, al termine della quale decide di apporre la propria firma se ritiene ciò che merita di essere promulgato prevalente rispetto a ciò che non lo merita e, per questo, viene sottoposto all’ulteriore attenzione di Parlamento e Governo.

In questa valutazione, come detto, ha nel tempo assunto un peso specifico l’esigenza di evitare che l’esercizio del potere di rinvio, nel caso di disegni di legge di conversione di decreti legge, si traduca in un sostanziale potere di veto per la materiale impossibilità da parte delle Camere di riesaminare il testo entro i sessanta giorni previsti dall’art. 77.3 Cost. Al contrario dei loro predecessori (v. i rinvii con effetto sostanziale di veto dei Presidenti Cossiga del 19 febbraio 1987, Scalfaro il 18 novembre 1994, Ciampi il 29 marzo 2002 ed il 3 marzo 2006), sia Napolitano che Mattarella hanno ritenuto il potere di rinvio precluso quando dal suo esercizio possa determinarsi di fatto la decadenza del decreto legge (contra Ainis per cui il decreto legge in tal caso non decadrebbe perché si tratterebbe di ipotesi diversa dalla sua mancata conversione).

Quella delle promulgazioni con motivazioni contrarie è un prassi comunque non priva per sua natura di criticità, dato che consente l’entrata in vigore di disposizioni di cui il Presidente ha segnalato la dubbia costituzionalità, senza che si abbia certezza sul se e quando esse verranno rimosse. Il che ha talora indotto il Presidente della Repubblica alla decisione estrema di promulgare il disegno di legge di conversione contestualmente all’emanazione di altro decreto legge che correggeva le criticità informalmente segnalate (v. lettera del Presidente Napolitano del 3 agosto 2009).

Proprio per ovviare a tali incertezze, da tempo si discute in dottrina circa l’opportunità di modificare l’art. 74 Cost. per introdurre la promulgazione parziale così da consentire al Presidente della Repubblica di chiedere una nuova deliberazione delle Camere limitatamente ad una o più parti della legge contestualmente promulgando il testo restante sempreché dotato di propria autonomia (v. il disegno di legge costituzionale A.S. 797 presentato dai sen. Ceccanti ed altri il 18 giugno 2008; v. anche il nuovo testo dell’art. 74 Cost. approvato dal Senato l’8 agosto 2014).

Si tratterebbe, a mio parere, di una proposta che permetterebbe di conformare il potere di promulgazione presidenziale, pensato dai costituenti nel presupposto che ne fossero oggetto testi legislativi unitari ed omogenei, alla prassi di una legislazione sempre più frammentaria e disordinata, dinanzi alla quale i costanti e ripetuti richiami presidenziali, se hanno consentito di rimuovere singole criticità, non hanno potuto, né potevano, rimuovere le cause strutturali.

Proprio in questa prospettiva strutturale, se da un lato, come opportunamente e saggiamente segnalato dal Presidente Mattarella, occorre trovare soluzioni parlamentari che rendano più rigorosa la disciplina sull’emendabilità dei decreti-legge e consentano al Governo di poter disporre di corsie preferenziali o “a data certa” per i suoi disegni di legge (si veda in tal senso il nuovo art. 55.5 R.S. approvato il 27 luglio 2022, così da evitare l’abuso della decretazione d’urgenza, considerata niente di più che una forma di iniziativa legislativa rafforzata (Predieri), dall’altro al Presidente della Repubblica dovrebbe essere evitato di trovarsi nell’imbarazzante situazione di dover promulgare un testo legislativo in cui ravvede motivate, seppur circoscritte, criticità costituzionali.

A tale proposta si oppone il carattere necessariamente unitario della promulgazione, peraltro affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 205/1996 in riferimento al potere di promulgazione parziale del Presidente della Regione siciliana. A parte la specificità di tale potere, conseguente all’impugnazione parziale del testo legislativo del Commissario dello Stato nell’esercizio dell’allora suo potere di controllo preventivo di costituzionalità, forse sarebbe opportuno ritenere tale pronuncia non preclusiva di una successiva più meditata riflessione che tenesse in adeguata considerazione il mutato contesto politico-legislativo. Del resto, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 1/2013 sul caso delle intercettazioni del Presidente della Repubblica, ha affermato che nella ricostruzione del ruolo e dei poteri del Presidente della Repubblica non si possa non tenere conto dell’evoluzione delle dinamiche istituzionali.

In questa direzione, forse sarebbe il caso di chiedersi se l’introduzione di tale potere di promulgazione parziale possa conseguire, anziché ad una modifica dell’art. 74 Cost., ad una sua diversa interpretazione da parte dello stesso Presidente della Repubblica (contra, invero, il Presidente Napolitano nel sopra citato messaggio del 22 maggio 2010 dove invece auspicava la suddetta modifica). Una simile lettura, oltreché trovare fondamento nelle ragioni sistemiche sopra evidenziate, tese a preservare il possibile esercizio di tale essenziale potere di controllo anziché venirne in certa misura condizionato dal cattivo modo di legiferare, potrebbe avere dalla sua anche la stessa formulazione letterale del suddetto articolo. Esso, infatti, nel disporre che “il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere, chiedere una nuova deliberazione” non presuppone affatto che tale nuova deliberazione debba interessare l’intero testo legislativo approvato, altrimenti, a ben vedere, il costituente avrebbe dovuto scrivere “chiederne una nuova deliberazione”. Da qui, quindi, la possibilità che il Presidente possa rinviare una parte del testo legislativo, promulgandone la restante. Ciò non significherebbe avallare la prassi negativa di una legislazione non unitaria e disomogenea, perché tale rimedio, anziché legittimare, contrasterebbe e finirebbe alla lunga per rimuovere le cause che, proprio in assenza di ostacoli, si è potuta sviluppare in modo pressoché incontrastato.

Quella che potrebbe sembrare una innovazione costituzionale diretta ad ampliare il potere di rinvio del Presidente della Repubblica a ben vedere costituirebbe semplicemente un suo adeguamento rispetto ad una prassi legislativa che altrimenti, al contrario, ne pregiudica l’esercizio, costringendolo a strade alternative non parimenti efficaci ed incisive.

 

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