Le prime elezioni per le ex Province in Sicilia

di Felice Blando

Il Presidente della Regione ha indetto per domenica 27 aprile, in Sicilia, le elezioni di secondo livello per scegliere i presidenti e i consiglieri dei Liberi consorzi comunali e i componenti delle assemblee delle Città metropolitane. Sarà un passo avanti rispetto alla gestione commissariale e chiuderà una vicenda sui cui, negli ultimi anni, si sono riversati un numero vertiginoso di atti normativi, amministrativi e sentenze. Le Province sono state abolite e sui Liberi consorzi, che avrebbero dovuto prendere il loro posto, non si fece nessun passo avanti. Riemerse ma non del tutto, le stesse Province, commissariate, sono rimaste soltanto per pagare il personale e per realizzare poco altro.

In Sicilia, ai sensi dello Statuto del 1946 (art. 15), le Province avrebbero dovuto essere soppresse e sostituite da Liberi consorzi di comuni. Le Province regionali della Sicilia sono state cancellate nel 2013 (l.r. sic. n. 7) e nell’anno successivo nel resto del Paese («legge Delrio»). A quel tempo, non essendo ancora in voga la motosega dell’attuale presidente dell’Argentina, si fece ricorso all’accetta, per abbattere i costi della politica. La bandiera ideologica era del Movimento 5 stelle, che della politica sapeva poco, ma che dell’antipolitica, a quel tempo in particolare, era il campione. Gli altri partiti, debilitati e confusi, non volendo apparire aggrappati alle poltrone e dissipatori del denaro pubblico, si sono adeguati. La legge Delrio, oltre a prevedere importanti modifiche dell’ordinamento delle Province, in aderenza con lo spirito del tempo ha abolito le relative indennità di carica (eccetto per il Presidente della Provincia).

La L.r. sic., n. 15 del 2015, a sua volta, ha istituito in Sicilia i liberi Consorzi comunali e le Città metropolitane. La riforma, che mutava l’assetto degli enti locali, mirava a mantenere la elettività degli organi e la indennità delle cariche dei medesimi: operazione che non è andata porto per l’esito negativo dei giudizi di costituzionalità della legge. La Corte costituzionale ha evidenziato che il «modello di governo di secondo grado, adottato dal legislatore statale, diversamente da quanto sostenuto dalla Regione, rientra, tra gli “aspetti essenziali” del complesso disegno riformatore che si riflette nella legge stessa. I previsti meccanismi di elezione indiretta degli organi di vertice dei nuovi “enti di area vasta” sono, infatti, funzionali al perseguito obiettivo di semplificazione dell’ordinamento degli enti territoriali, nel quadro della ridisegnata geografia istituzionale, e contestualmente rispondono ad un fisiologico fine di risparmio dei costi connessi all’elezione diretta». Concludendo, quanto alla possibilità per la Regione di distaccarsi dalle scelte compiute a livello nazionale nell’esercizio della propria competenza esclusiva in tema di enti locali, la Consulta ha affermato che «Le disposizioni sulla elezione indiretta degli organi territoriali, contenute nella legge n. 56 del 2014, si qualificano, dunque, come norme fondamentali delle riforme economico-sociali, che, in base all’art. 14 dello statuto speciale per la regione siciliana, costituiscono un limite anche all’esercizio delle competenze legislative di tipo esclusivo» (sent. n. 168 del 2018).

Ciò non ha impedito al legislatore regionale di proporre, come nel 2023 (ddl. n. 319-97), una modifica dell’ente intermedio introducendo di nuovo l’ente Provincia, con la previsione dell’elezione diretta per il Presidente e il Consiglio provinciale, con il passaggio dal regime di gratuità delle cariche al regime di onerosità. La frammentazione della maggioranza che regge il governo Schifani ha però paralizzato questo ulteriore tentativo di riforma.

Due riflessioni finali. La prima. I partiti, dopo l’abolizione del finanziamento pubblico (l. n. 13/2014), si sono messi alla «ricerca» di forme alternative di remunerazione dei professionisti della politica. Cosicché, senza nessuna remora, discostandosi dal modello nazionale, la trasformazione delle Province operata in Sicilia mirava a moltiplicare e creare «posti di lavoro» aggiuntivi. La seconda. Nell’era di una politica priva di spazio e qualità morali, i partiti dovrebbero farsi portatori almeno di buona amministrazione locale, recuperando il rapporto con le realtà territoriali come organizzazioni capaci di buona amministrazione. I partiti dovrebbero impegnarsi con proposte concrete, basate su analisi complete dei fattori e delle condizioni esistenti, delle cui assumersi come soggetto politico la responsabilità culturale e amministrativa. In queste condizioni, il ritorno delle Province, enti intermedi, come sono stati sempre definiti, di area vasta, potrebbe ridare utilità alla logica della sussidiarietà, del principio per il quale se un ente più prossimo ai cittadini è in grado di farsi carico e di risolvere i loro problemi, gli altri, lo Stato e le regioni, devono lasciar fare.

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