La finta decarbonizzazione dell’ex Ilva di Taranto

di Luciana Cardelli

In questi giorni, è stato reso noto il parere istruttorio della Commissione per il rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale dell’impianto ex Ilva di Taranto, in risposta all’istanza presentata da Acciaierie d’Italia S.p.A., oggi Acciaierie d’Italia S.p.A. in Amministrazione Straordinaria.

Il rinnovo dell’autorizzazione dovrebbe servire a tre scopi: adeguare lo stabilimento jonico ai parametri di sicurezza per l’ambiente e la salute, indicati dalla Corte di Giustizia UE il 25 giugno 2024 nella causa C-626/2022 riferita proprio all’ ex Ilva; promuovere la definitiva e totale decarbonizzazione del processo produttivo in funzione degli obiettivi di mitigazione climatica del Green Deal europeo; offrire le basi di credibilità del rilancio dell’impresa nel mercato dell’acciaio “sostenibile”.

Nulla di tutto questo, però, è indicato nell’istanza di rinnovo formulata dai gestori. Il che è totalmente illegittimo, perché contrario alle indicazioni della Corte UE. Di questo, infatti, prende atto proprio il citato parere istruttorio, il quale, però, scade in una seconda illegittimità. Invece di preannunciare il rigetto dell’istanza o pretenderne una sua radicale riformulazione, ne suggerisce l’accettazione con l’auspicio che in futuro, nei dodici mesi successivi, il gestore si impegni a integrare le lacune evidenziate per di più non con indicazioni dettagliate, ma con un “piano” per arrivare a dettagliarle. Insomma, un vero e proprio “decidere che si deciderà” è la soluzione offerta. Il che consuma un ulteriore contrasto con la Corte di Lussemburgo, la quale aveva detto a chiare lettere che tutte le prescrizioni devono essere già contenute e dettagliate nel rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale e non certo dopo, per di più nella forma puramente ottativa di un “piano” che si andrà a realizzare non si capisce bene quando.

L’esito di questa strategia dilatoria è ben chiaro: legittimare la continuità della produzione di acciaio a sei milioni di tonnellate all’anno, senza decarbonizzare alcunché per i prossimi decenni. È difficile sostenere che siffatto scenario sia pensato a garanzia della salute degli abitanti tarantini, oppure che rispetti i riformati artt. 9 e 41 della Costituzione, ossia il tutelare l’ambiente nell’interesse anche delle generazioni future e il promuovere l’iniziativa privata senza recare danno alla salute e all’ambiente, o, infine, che esso persegua le traiettorie di decarbonizzazione europee e italiane, in coerenza anche con la sentenza della Corte europea dei diritti umani nel caso “Verein Klimaseniorinnen”, che impone la tutela dell’art. 8 CEDU.

In definitiva, la nuova autorizzazione integrata ambientale si preannuncia incostituzionale e contraria anche alla CEDU, oltre che alla Corte di Giustizia UE. Le prove di questa contrarietà sono almeno cinque.

In primo luogo, come accennato, nulla si dice e nulla è calcolato sulla decarbonizzazione dell’impianto.  La produzione siderurgica è mantenuta con il ciclo del carbone e, quindi, nella costante crescita delle emissioni di CO2. Ma non solo. Nella proposta del gestore e nel parere della Commissione istruttoria, nulla viene detto sul calcolo complessivo e dettagliato di questa crescita di emissioni totali di gas serra dell’intero stabilimento e non è indicato neppure il cronoprogramma di una loro (ipotetica) riduzione. In definitiva, la CO2 è totalmente ignorata sicché dei gas serra non si ha informazione alcuna con l’effetto di non avere informazione alcuna neppure sulla loro pericolosità e sul loro impatto sanitario, ancorché gli studi scientifici siano in grado di quantificare con precisione il rapporto tra emissioni prodotte ed effetti mortali delle stesse, in base al calcolo del c.d. “mortality cost”.

In secondo luogo, del tutto assente è qualsiasi pur minimo accenno alla valutazione di compatibilità della produzione a carbone con le traiettorie italiane di riduzione delle emissioni climalteranti. Continuare a utilizzare carbone emettendo CO2 favorirà od ostacolerà gli impegni italiani con l’Europa e con l’Accordo di Parigi sul clima? Non è dato sapere. Il che si pone in conflitto con la tutela intertemporale e intergenerazionale dei diritti umani presidiati dall’art. 8 CEDU, richiesta invece dalla Corte di Strasburgo, in “Verein Klimaseniorinnen”, per qualsiasi processo di riduzione delle emissioni. Se si considera, poi, che l’Italia è pure priva del calcolo del proprio Carbon Budget residuo, indicato dalla Corte europea quale presupposto stesso della decarbonizzazione, si comprende bene che lo scenario rasenta il surreale.

La terza prova riguarda il carbon coke. La proposta di autorizzazione contempla la produzione di “coke metallurgico” e, ancora una volta, senza specificare un limite in tonnellate annue per lo stesso. Com’è noto, però, l’effetto immediato di inquinamento di un ciclo siderurgico non deriva dalla produzione finale di acciaio, con le sue connesse emissioni di gas serra, ma da quella di carbon coke. Di conseguenza, con questa ulteriore lacuna, oltre a non conoscere il “mortality cost” delle emissioni di gas serra, non si conoscerà mai neppure il “mortality cost” per inquinamento da carbon coke.

Il fondamentale diritto dei cittadini tarantini ad essere informati sul “mortality cost” (da gas serra e da carbon coke), quale quarto profilo di legittimità, è stato totalmente estromesso dalle prescrizioni sull’ex Ilva, nonostante sempre la Corte europea di Strasburgo abbia adottato una “sentenza pilota” indirizzata all’Italia (ovvero un tipo di decisione indispensabile per eliminare problemi strutturali di violazione della Convenzione e indicare le misure necessarie per non ripeterli), imperniata anche sull’inderogabile obbligo statale di garantire la «comunicazione completa e accessibile volta a informare il pubblico sui rischi sanitari potenziali o effettivi e sulle azioni intraprese o previste per gestirli» (sentenza del 30 gennaio 2025, Cannavacciuolo e altri c. Italia, ricorso n. 51567/14 e altri, paragrafo 500).

L’ultimo tassello investe i contenuti della decarbonizzazione che si “auspicherebbe”, nelle indicazioni del parere istruttorio, di far “pianificare”, da parte del gestore, in futuro: decarbonizzare gli altoforni bruciando… plastica. Proprio così, si abbandonerebbe il carbon coke, per dar spazio alla plastica, più precisamente ai polimeri negli altiforni. Solo che la riduzione della CO₂, conseguibile con questa tecnica sostitutiva, è ridicola: meno dell’1% delle emissioni totali dello stabilimento rispetto al ciclo attuale.

Insomma, ancora una volta, nessuna decarbonizzazione. Potrà, una simile situazione palesemente contraria alla logica, prima ancora che al diritto UE, alla Costituzione e alla CEDU, ottenere l’approvazione del Ministero?

I tristi precedenti della saga ex Ilva insegnano che tutto è possibile. Questa volta, però, il contesto è diverso: con la sentenza della Corte UE, con la riforma costituzionale sull’ambiente e con le due sentenze CEDU “Verein Klimaseniorinnen” e “Cannavacciuolo”, nell’emergenza climatica galoppante (anche se messa sotto sordina proprio dal Ministero dell’ambiente), sarà difficile continuare a far finta di nulla. Sarà difficile dimostrare che siffatte inverosimili e beffarde lacune porranno comunque fine alla condizione di Taranto come  “zona di sacrificio”, nel significato reso dal Rapporto del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, ovvero di «peggiore negligenza immaginabile dell’obbligo di uno Stato di rispettare, proteggere e realizzare il diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile» (Human Rights Council, Report of the Special Rapporteur on the issue of human rights obligations relating to the enjoyment of a safe, clean, healthy and sustainable environment, A/HRC/49/53, 12 gennaio 2022, p. 11).

Please follow and like us:
Pin Share
Condividi!

Lascia un commento

Utilizziamo cookie (tecnici, statistici e di profilazione) per consentire e migliorare l’esperienza di navigazione. Proseguendo con la navigazione acconsenti al loro uso in conformità alla nostra cookie policy.  Sei libero di disabilitare i cookie statistici e di profilazione (non quelli tecnici). Abilitandone l’uso, ci aiuti a offrirti una migliore esperienza di navigazione. Cookie policy

Alcuni contenuti non sono disponibili per via delle due preferenze sui cookie!

Questo accade perché la funzionalità/contenuto “%SERVICE_NAME%” impiega cookie che hai scelto di disabilitare. Per porter visualizzare questo contenuto è necessario che tu modifichi le tue preferenze sui cookie: clicca qui per modificare le tue preferenze sui cookie.