di Andrea Guazzarotti 
La serie imbarazzante di gaffe commesse dall’Alto rappresentante dell’UE Kaja Kallas induce a riflettere criticamente sulla scelta dell’UE di porre al vertice della diplomazia europea una figura così poco qualificata. La Kallas si sarebbe recentemente spinta ad affermare sarcasticamente che le suonasse “nuovo” che Russia e Cina fossero tra le vincitrici della Seconda Guerra mondiale e che, negli ultimi cento anni, la Russia non sarebbe mai stata attaccata da nessuno Stato, provocando reazioni avverse non solo dai vertici di queste due potenze, ma anche degli USA (Gaiani).
Si badi, fra l’altro, che i Trattati europei attribuiscono sulla carta poteri “ubiquitari” all’Alto rappresentante: oltre a porsi alla guida della Politica estera e di sicurezza comune dell’UE (PESC), nel cui ambito assume il ruolo di vertice dell’Agenzia europea per la difesa, l’Alto rappresentante è vicepresidente di diritto della Commissione, partecipa ai lavori del Consiglio europeo (di cui è “mandatario” per la PESC) ed è anche presidente del Consiglio “Affari esteri” (unico caso in cui tale presidenza non spetti a uno dei ministri nazionali, secondo la “rotazione paritaria” semestrale). L’Alto rappresentante è nominato separatamente dal Consiglio europeo, sia pure con l’accordo della Presidente della Commissione, e l’eventuale mozione di censura del Parlamento europeo a tutta la Commissione non ne determina l’automatica cessazione dalla carica, per la quale è richiesta, diversamente da tutti gli altri Commissari, l’espressa decisione del Consiglio europeo (art. 18 TUE).
Dunque, com’è possibile che, con tante istituzioni coinvolte nella sua scelta (Consiglio europeo, Commissione, Parlamento europeo) e tante responsabilità, l’attuale Alto rappresentante esibisca credenziali così fragili nell’esperienza diplomatica e, più in generale, nella conoscenza della storia recente dell’Europa?
La prima impressione potrebbe essere però fuorviante: non si tratta solo di una scelta “di personalità” dotate di «competenza generale», distintesi per il «loro impegno europeo» e che «offrono tutte le garanzie di indipendenza» (art. 17.3 TUE). Si tratta di una scelta geopolitica. La maggioranza dei vertici dei governi degli Stati membri, titolari del potere di designazione tanto della Presidente della Commissione, quanto dell’Alto rappresentante, hanno compiuto una scelta evidentemente orientata dal posizionamento assunto nei confronti della Russia e ispirata dalla contingenza della guerra in Ucraina. Fra l’altro, la nomina di una ex premier estone al vertice della diplomazia europea va a fare sistema con quella di un ex premier lituano a Commissario europeo per la difesa e lo spazio (posizione mai esistita prima) e con quella di un ex premier lettone a Commissario per l’economia (sebbene quest’ultimo avesse già ricoperto tale ruolo cruciale nella precedente Commissione Von der Leyen I). È evidente che il Consiglio europeo, con una scelta a maggioranza che ha visto opporsi tra gli altri la premier italiana Meloni, ha deciso di dare una chiara virata alla sua politica estera puntando all’Est europeo e all’esacerbazione dei rapporti con la Russia di Putin. Del tutto improbabile che l’attuale “egemonia” dei baltici nelle istituzioni europee sia frutto di una loro effettiva egemonia strategica all’interno del sistema politico europeo, ammesso che ne esista uno, o dei rapporti diplomatici tra cancellerie europee. Più che altro, sembra trattarsi di uno scimmiottamento della strategia degli USA, che prepararono le ostilità con la Russia nominando ai vertici dell’amministrazione federale personalità “geopoliticamente connotate” come Victoria Nuland. Niente a che vedere, insomma, con il ruolo che seppe assumersi l’Olanda delle Province Unite del XVI-XVII secolo nel coalizzare contro la Spagna imperiale le maggiori monarchie europee nella guerra che condusse alla sua indipendenza dall’Impero spagnolo, oltre che alla nascita del nuovo ius publicum europeum della pace di Vestfalia.
Si tratta, evidentemente, di un uso strumentale – da parte delle cancellerie europee che contano – delle facoltà di nomina dei vertici delle istituzioni europee, in modo da imprimere una torsione geopolitica a un modello nato su schemi “tecnocratici” (si veda la già citata formulazione dell’art. 17.3 TUE sulle qualità personali dei membri della Commissione). Quello che rende, in effetti, più preoccupante lo sbilanciamento a est in chiave antirussa è il pieno e aperto sostegno alla nomina della Kallas della Polonia di Donald Tusk, uno Stato il cui peso demografico, economico e strategico all’interno dell’UE, sommato al forte legame con gli USA e con il Regno Unito, getta una luce più preoccupante sull’equilibrio geopolitico che va cristallizzandosi nell’UE.
Nella suggestiva ricostruzione che del Sacro Romano Impero delle origini fece Carl Schmitt, all’imperatore spettava un potere del tutto peculiare, intriso della sua missione religiosa affidata concretamente dal Papa: la carica di imperatore non comportava, «nel quadro della fede cristiana medioevale, una posizione di potere in sé assoluta [;] [e]ra un’opera del kat-echon, con compiti e missioni concrete, che si collegava ad un regno o una corona [;] un incarico proveniente da una sfera radicalmente diversa da quella della regalità. […] Di conseguenza l’imperatore poteva anche, al termine di una crociata, abdicare al trono con tutta modestia e umiltà, senza perderci nulla [;] [a]bbandonando l’elevata carica di imperatore, egli ritornava a quella naturale di re della propria terra» (Schmitt, p. 46s.).
La missione imperiale è stata attribuita, oggi, all’UE targata Repubbliche baltiche, le quali, al termine della crociata, potranno con tutta modestia e umiltà tornare docilmente nei ranghi. Il problema è capire, oggi, chi davvero esercita quel potere di affidare “la missione imperiale”. Probabilmente un mix di classe politica e deep state statunitense, assieme con le potenti lobby della finanza e dell’industria bellica (quella a favore della quale è stata istituita l’Agenzia europea per la difesa [ENAAT 2021, p. 12], formalmente guidata da Kaja Kallas). Essendo l’UE un dispositivo di spoliticizzazione delle scelte di governo comuni, l’integrazione europea ha funzionato negli ultimi decenni come un potente trasformatore delle classi politiche del Vecchio Continente, sempre meno autonome rispetto al vero centro dell’Impero (gli USA), sempre meno responsabili verso i propri elettorati e sempre più verso le lobby, da cui spesso provengono o in cui finiscono, grazie al meccanismo delle “porte girevoli” (l’attuale Cancelliere tedesco è stato per quasi 10 anni al soldo di BlackRock, il mega-fondo d’investimento statunitense che detiene partecipazioni azionarie chiave nelle industrie della difesa europee, tra cui Leonardo). Oggi, quel dispositivo di spoliticizzazione ci sta facendo incamminare tutti sul ciglio del precipizio per l’assurda pretesa di spoliticizzare … addirittura la guerra (Guazzarotti), compreso il rischio nucleare, guerra cui ci vorrebbero preparare ectoplasmi politici del calibro di Macron e Mertz, ai minimi del consenso popolare nei loro Paesi, mentre a capo della sedicente diplomazia europea pericolosamente volteggia l’Alta rappresentante Kaja Kallas.
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