Sentenza Cedu su giornalisti e segreto istruttorio: si balla sotto le stelle della Convenzione…

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di Roberto Bin

Nel caso Y. c. Suiss deciso il 6 giugno 2017 la Corte europea dei diritti dell’uomo (con una sentenza non definitiva, perché appellabile alla Grand Chambre) ha respinto il ricorso di un giornalista svizzero colpito da una sanzione di 5.000 CHF. per aver pubblicato un articolo in cui svelava informazioni coperte da segreto istruttorio. Il giornalista lamentava la violazione della libertà di espressione, solennemente proclamata dall’art. 10 CEDU.

Nel 2009 aveva pubblicato su un settimanale un articolo in cui, intervistando il padre di una vittima di pedofilia, criticava il fatto che l’accusato fosse stato scarcerato, citando estratti dell’appello promosso dalla procura contro il provvedimento che metteva fine alla carcerazione preventiva, riportando i fatti nel dettaglio. Condannato in tutti i gradi di giudizio, il giornalista ricorreva alla Corte EDU nel 2012 (cinque anni per giungere alla sentenza, non male per una Corte che condanna sistematicamente l’Italia per la lunghezza dei processi…).

C’è da notare che il giornalista non aveva acquisito le informazioni illegittimamente, perché queste gli erano state comunicate dall’intervistato: però era consapevole – e non poteva non esserlo – che pubblicare atti coperti da segreto istruttorio è un reato. La Corte condivide l’opinione dei giudici svizzeri che l’articolo aveva uno scopo scandalistico, piuttosto che quello di aprire un dibattito sul tema della pedofilia e che quindi i dettagli pubblicati non erano giustificati dal pubblico interesse. Questo è il nucleo della sentenza.

La Corte europea osserva che la gran quantità di dettagli contenuti nell’articolo e derivati dagli atti di polizia non si giustifica neppure con l’obiettivo di aprire un dibattito sul funzionamento della giustizia svizzera, che anzi avrebbe potuto essere influenzata dall’atteggiamento esplicitamente colpevolista del giornalista. Sull’altro versante, la Corte ritiene che ad essere violata dall’articolo non è tanto la privacy dell’accusato, quanto quella delle vittime che, benché anonime, avrebbero potuto essere identificate e colpite nella loro vita privata (art. 8 della CEDU) proprio dai sordidi dettagli pubblicati. Le vittime sono state per altro già risarcite per il danno subito dal giornale.

Secondo la Corte di Strasburgo, la multa comminata per la violazione del segreto istruttorio, mentre protegge il funzionamento delle indagini e della giustizia, non ha particolari effetti negativi sull’esercizio della libertà di espressione dei giornalisti che intendono informare sui processi in corso. Perciò sulla materia gli Stati hanno un “margine di apprezzamento” che può essere sindacato dalla Corte europea solo se le autorità nazionali non bilanciassero ragionevolmente gli interessi in gioco.

La Corte europea non affronta di certo l’argomento per la prima volta. Nel caso più recente, Bédat c. Suisse (2016), la Svizzera è stata assolta dalla violazione dell’art. 10 CEDU per un caso alquanto simile. Anche in esso le informazioni divulgate non erano state acquisite illegittimamente, ma erano coperte da segreto istruttorio. La Corte ha osservato che la rivelazione di segreti dell’istruzione penale è punita in tutti i 30 Stati aderenti alla CEDU di cui aveva esaminato la legislazione. Un precedente di segno diverso si trova invece nel caso Dupuis et Autres c. France (2007), in cui la Corte spiega che è necessario usare grande prudenza nel giustificare la punizione dei giornalisti per l’uso di informazioni segretate, quando i giornalisti contribuiscono al dibattito pubblico agendo come “cani da guardia” della democrazia. Però la condanna delle misure assunte contro i giornalisti francesi deriva dalle particolari condizioni che si erano maturate nel caso specifico: essi avevano agito in conformità degli standard che governano la loro professione pubblicando informazioni rilevanti per comprovare la credibilità delle informazioni fornite e, soprattutto, perché le informazioni segretate erano sostanzialmente già “vecchie”.

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