Fondo monetario europeo: avanti adagio

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di Andrea Pisaneschi
La Commissione Europea ha presentato il 6 dicembre una road map per “l’approfondimento dell’Unione economica e monetaria dell’Europa”. Tale road map, attuativa del discorso di Junker sullo stato dell’Unione del 2017, è anche attuativa dell’impegno assunto dai 25 Stati membri di incorporare le disposizioni contenute nel trattato sul coordinamento e sulla governance nell’ordinamento giuridico dell’Unione (trattato che recepiva il c.d. six pack e introduceva il fiscal compact) entro cinque anni dalla data della sua stipulazione (cioè il 1 gennaio 2018).

1. Il pacchetto si compone di quattro iniziative principali: una proposta relativa alla istituzione di un Fondo Monetario Europeo al posto dell’ E.S.M. (Europen Stability Mechanism) una proposta che mira a incorporare il trattato sul coordinamento e sulla governance di cui sopra nell’ordinamento europeo; una comunicazione sui nuovi strumenti di bilancio le cui proposte verranno presentate nel maggio 2018 con ulteriori due proposte; una comunicazione relativa alla nuova funzione di un Ministro Europeo delle Finanze. In relazione a questo ultimo punto la Commissione auspica un’ intesa circa il ruolo del Ministro entro il primo semestre del 2019, allo scopo di poter istituire tale figura come componente della prossima Commissione.
Per quanto interessanti possano essere dal punto di vista teorico queste ultime due comunicazioni, è bene ricordarsi che il bilancio europeo è pari a circa l’1% del prodotto interno lordo degli Stati aderenti. E’ più facile creare figure giuridiche che spostare risorse economiche, ma è anche vero che senza risorse una politica economica comune non si può fare, indipendentemente dall’esistenza di un Ministro Europeo delle Finanze.

2. Delle proposte la trasformazione del E.S.M. in un Fondo Monetario Europeo è quella che avuto maggiore eco sulla stampa, anche perché la precedente iniziativa tedesca tesa ad attribuire all’ E.S.M, sottraendoli alla Commissione, i compiti di verifica sul patto di stabilità e sul fiscal compact –ovvero sui bilanci nazionali- anche se aveva il sapore di una provocazione, sembrava mettere comunque degli stop alle ipotesi di riforma più fantasiose.
La soluzione proposta per l’E.S.M. fa alcuni passi avanti rispetto allo stato attuale, non accoglie la proposta tedesca, ma non corre troppo, anche per evitare facili bocciature. Di fatto rappresenta l’Europa di oggi, che può procedere ma a piccoli passi, utilizzando i momenti di crescita economica per proporre un pò di avanzamento.
Il nome, Fondo Monetario Europeo, evoca – nel bene e nel male – altre istituzioni storiche, ma non deve confondere. Il nuovo F.M.E. poco ha a che vedere con il Fondo Monetario Internazionale, che è principalmente uno standard enforcer (cioè un organo con il fine, attraverso la utilizzazione di soft law, di verificare la compliance da parte di Stati ed istituzioni finanziarie delle principali regole poste da standard setters internazionali come il Comitato di Basilea o il Financial stability Board) al quale sono attribuiti anche funzioni di prestito agli Stati. Il F.M.E non sarebbe certamente uno standar enforcer, compito che spetta ad altre istituzioni europee.
Come si vuole modificare dunque l’E.S.M, al di la del nome ?
L’E.S.M. è attualmente costituito come istituzione finanziaria internazionale di natura intergovernativa, basata in Lussemburgo e governata dal diritto internazionale (è infatti basata su un trattato internazionale) con lo scopo di poter utilizzare risorse finanziarie allo scopo di mantenere la stabilità finanziaria dell’eurozona. È dotata di un capitale di circa 700 miliardi di euro, in parte sottoscritti –ancorchè non completamente versati- direttamente dagli Stati dell’eurozona, e in parte raccolti nei mercati finanziari attraverso l’emissione di strumenti obbligazionari garantiti dagli stessi Stati. L’E.S.M. può prestare denaro a Stati che si trovino in difficoltà finanziarie, ma può anche provvedere alla ricapitalizzazione di istituzioni o intermediari finanziari. Le condizioni dell’aiuto sono negoziate tra lo Stato e la Commissione U.E. il F.M.I. e la B.C.E, sono sottoposte normalmente a strette regole di condizionalità (riforme strutturali) che vengono poi tradotte in un Memorandum of Understanding (MOU) nel quale lo Stato si impegna a ricevere l’aiuto in cambio di interventi riformatori scadenzati anche temporalmente. Quando fu introdotto, in maniera urgente e per sostituire i precedenti firewalls che non avevano funzionato, ottenne il risultato voluto: bloccare la speculazione nei confronti dei titoli di Stato dei paesi più deboli dell’eurozona, riportare il differenziale tra i titoli di Stato dei differenti paesi dell’Unione ad un livello fisiologico, indirettamente salvando anche il sistema bancario. Tutto il sistema bancario europeo, in presenza di una contrazione dell’economia, aveva investito in titoli di Stato che però avevano perso valore in seguito all’innalzamento degli spreads. Se gli spreads non si fossero calmierati la gran parte delle banche avrebbe avuto ulteriori, e forse irrisolvibili, problemi di capitalizzazione .

3. Il risultato ottenuto, quindi, non è stato poca cosa, ma non è stato poca cosa neppure il prezzo pagato per ottenerlo. La costituzione di una nuova organizzazione intergovernativa, composta esclusivamente dai ministri delle finanze, il cui braccio armato operativo è dato da tre organi tecnici, FMI, Commissione e BCE, di cui uno non è tra l’altro un’ istituzione europea, rendeva tale organizzazione più simile ad un comitato di creditori che non ad un organo che agisce per un interesse comune, anche considerando che il voto non è capitario ma in relazione alle quote versate. Le dure condizioni imposte alla Grecia non hanno portato risultati (ma in altri paesi hanno funzionato) e hanno posto problemi di compatibilità con le regole costituzionali; ci si è posti il problema se la salvaguardia dei bilanci giustificasse un arretramento così profondo dei diritti fondamentali nel cuore dell’Europa, e se l’Europa stessa, anziché essere la storica portatrice della cultura dei diritti e della solidarietà, significasse ormai solo stabilità finanziaria ad ogni prezzo; le ricette economiche apparivano le tradizionali ricette dei Fondo Monetario Internazionale, senza una valutazione, anche giuridica, di impatto sulle normative anche costituzionali dei paesi che dovevano subirle. In definitiva, pur essendo indiscutibilmente necessario il rispetto delle regole di condizionalità, le modalità di applicazione di queste regole avevano appalesato molti limiti.

4. La riforma fondamentalmente questi problemi doveva risolvere, e, al di là del nome che poco significa, il bicchiere rispetto a tali profili appare mezzo pieno. Il nuovo F.M.E viene inserito nel diritto europeo, e questo è certamente un passo avanti, così come un passo avanti è stato fatto con i meccanismi di voto. Permane il voto collegato alle quote sottoscritte, temperato tuttavia per alcune decisioni da maggioranze qualificate, rinforzate – che vanno dall’ 80% all’85%- e all’unanimità. Ad esempio per la concessione degli aiuti agli Stati e l’approvazione dei MOU è prevista una maggioranza dell’85% (questo significa che a Germania e Francia che hanno insieme quasi il 50% delle quote dovranno aggiungersi altri paesi presumibilmente come Italia e Spagna, oltre ad un paese con quote minori). Anche questo significa qualcosa: il fondo non deve essere totalmente dominato dai creditori diretti, che altrimenti l’interesse europeo diviene automaticamente interesse del paese economicamente più esposto. E’ sparito il Fondo Monetario Internazionale dalla redazione dei MOU e dal loro monitoraggio, e anche questo è un passo in avanti. I MOU dovranno essere redatti da Commissione, B.C.E e F.M.E. e dovranno essere conformi al diritto europeo e preceduti da una valutazione di impatto sociale. Questi due aspetti sono rilevanti. Ciò significa, ad esempio, che i MOU dovranno sottostare alla normativa sulla better regulation europea, che prevede una valutazione di impatto economico ex ante. Anche la valutazione di impatto sociale è una –giusta- correzione conseguente alle critiche mosse ai MOU e anche ad alcune dichiarazioni di incostituzionalità di tali strumenti da parte delle Corti costituzionali (come ad esempio il Portogallo). La compartecipazione del F.M.E nella stipulazione dei MOU ha anche l’obbiettivo di scaricare un poco la responsabilità della B.C.E., che in queste situazioni ha sempre due cappelli non sempre compatibili (di Banca centrale, con i connessi poteri di politica monetaria, e di verificatore dell’adempimento del paese). L’accountability del F.M.E. si sostanzia in report annuali al Parlamento Europeo e nella possibilità, da parte del Parlamento, di richiedere discussioni, anche a porte chiuse, relativamente all’impatto sociale dei MOU. Queste relazioni saranno disciplinate da un protocollo tra Parlamento e F.M.E secondo il modello che ha già regolato la c.d. responsabilità democratica della BCE. Anche i Parlamenti nazionali riceveranno i report e potranno inviare al F.M.E le loro “reasoned observations”.

5. Probabilmente queste misure non saranno sufficiente per coloro i quali aspirano ad una irreale centralità del Parlamento in queste decisioni, ma ancora una volta si tratta di un passo in avanti che mira a risolvere le critiche che questo strumento ha subito da quando è stato istituito ad oggi. Non viene creata una istituzione molto diversa da ciò che era, e d’altronde era impensabile procedere a trasformazioni ardite di questo strumento. La proposta di utilizzare il fondo per altre funzioni all’interno del bilancio europeo, oggettivamente andava contro alla sua natura di “Fondo salva Stati”. Anche la possibilità di finanziare il fondo con una tassa federale, ipotesi suggestiva per staccare definitivamente il fondo dai creditori, e di trasformarlo anche in un fondo per la crescita, prevede una condivisione di rischi e di politiche economiche che attualmente non c’è. Avanti adagio, pare essere il motto dell’Europa di oggi. E bisogna accontentarsi.

 

 

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